Sono dazi nostri!
Sto, come tanti, assistendo all'estenuante balletto mediatico apparecchiato in salsa piccante su dazi e contro-dazi (facile il parallelismo con qualcos'altro di anatomico)
Non so se questo mio scritto potrà essere pubblicato prima del fatidico e non casualmente molto preannunciato start della generalizzata applicazione dei dazi da parte della capelluta (e pure qualcos'altro che termina in ...uta) Amministrazione Usa ne ritengo di avere competenze particolari, se non quelle di cittadino che cerca di informarsi, ma mi sentirei di articolare almeno un paio di considerazioni. In attesa di chiunque voglia serenamente confrontarsi.
Intanto quello che noto da parte di certa politica e relativi commentatori mediatici, alias presunti esperti, è che non si chiarisce mai l'antefatto e cioè se quello che l'inqualificabile tycoon Usa definisce un semplice pareggiare analoghi dazi pregressi a loro sfavorevoli corrisponda al vero o meno.
In molti, per fortuna non tutti, i salotti televisivi hai voglia nel dissertare su ogni aspetto variamente collegato ma, maledizione, mai che ci sia una parola chiara e definitiva sulla fondatezza o meno dell'affermazione di cui scrivo sopra.
E questo mi sembrerebbe un segnale in sé già sospetto ma una cosa sicuramente nessuno potrà negare e cioè che al di là dell'entità variabile delle percentuali già vigenti i dazi sono realmente uno strumento che quasi tutti i Paesi applicano a protezione delle proprie produzioni.
Ne consegue, blin...comunicazione di servizio, che il tanto decantato e quasi divinizzato “libero mercato” già ora non esiste ma al massimo esiste una sua versione cosiddetta “temperata”, alla faccia delle dogmatiche versioni elargite al “popolino”.
Prima considerazione di buon senso: in Economia occorre perlomeno diffidare delle costruzioni dogmatiche.
Un'altra cosa poi mi sembrerebbe ad occhio nudo già evidente: i dazi finiscono comunque col penalizzare gli strati più poveri e più precari dei Popoli ( e i precari sicuramente comprendono anche sempre più larghi strati del cosiddetto ceto medio impoverito).
Infatti sono in pratica tasse aggiuntive che fin quanto gravano sui beni di lusso possono al massimo semmai portare a qualche sfizio in meno per i più ricchi ma se riguardano generi di primaria importanza è ovvio che pesano in modo molto grave sui loro già precari essenziali bisogni.
Della serie, al di là di ogni interesse nazionale o di consorterie varie, possono sicuramente costituire un ulteriore elemento di discriminazione verso il basso.
Senza considerare l'effetto ulteriormente penalizzante dovuto alla più che probabile riduzione occupazionale derivante, almeno in una prima fase (quanto prolungata?), dalla perdita di mercati consolidati e quindi uno smacco anche e soprattutto per la piccola-media impresa.
Della serie: questo sistema per com'è oggi articolato finisce in un modo o nell'altro per scaricare le sue strutturali distorsioni sui più fragili, mentre occorrerebbe esattamente il contrario mirando ad un maggior effettivo prelievo sui ceti più ricchi.
Questa è e sarà sempre una questione ineludibile se si vuol realmente perseguire nel concreto una giustizia sociale più equa.
E chi è vittima e subisce invece un sistema che funziona al contrario dovrebbe esserne sempre più cosciente a partire dall'esercizio di un voto consapevole che rimane uno dei pochi strumenti di cambiamento dove il voto del più povero e precario, se esercitato, vale tanto quello del più ricco e potente.
In sostanza recuperando la quasi metà del non voto convogliandolo su chi realmente persegue una lotta alle disuguaglianze – ad ognuno un coerente e doveroso approfondimento - si potrebbe realmente incidere sulla realtà.
In caso contrario le maggiori vittime di questo sistema diverrebbero, a loro insaputa, i suoi più grandi alleati.
Non so se questo mio scritto potrà essere pubblicato prima del fatidico e non casualmente molto preannunciato start della generalizzata applicazione dei dazi da parte della capelluta (e pure qualcos'altro che termina in ...uta) Amministrazione Usa ne ritengo di avere competenze particolari, se non quelle di cittadino che cerca di informarsi, ma mi sentirei di articolare almeno un paio di considerazioni. In attesa di chiunque voglia serenamente confrontarsi.
Intanto quello che noto da parte di certa politica e relativi commentatori mediatici, alias presunti esperti, è che non si chiarisce mai l'antefatto e cioè se quello che l'inqualificabile tycoon Usa definisce un semplice pareggiare analoghi dazi pregressi a loro sfavorevoli corrisponda al vero o meno.
In molti, per fortuna non tutti, i salotti televisivi hai voglia nel dissertare su ogni aspetto variamente collegato ma, maledizione, mai che ci sia una parola chiara e definitiva sulla fondatezza o meno dell'affermazione di cui scrivo sopra.
E questo mi sembrerebbe un segnale in sé già sospetto ma una cosa sicuramente nessuno potrà negare e cioè che al di là dell'entità variabile delle percentuali già vigenti i dazi sono realmente uno strumento che quasi tutti i Paesi applicano a protezione delle proprie produzioni.
Ne consegue, blin...comunicazione di servizio, che il tanto decantato e quasi divinizzato “libero mercato” già ora non esiste ma al massimo esiste una sua versione cosiddetta “temperata”, alla faccia delle dogmatiche versioni elargite al “popolino”.
Prima considerazione di buon senso: in Economia occorre perlomeno diffidare delle costruzioni dogmatiche.
Un'altra cosa poi mi sembrerebbe ad occhio nudo già evidente: i dazi finiscono comunque col penalizzare gli strati più poveri e più precari dei Popoli ( e i precari sicuramente comprendono anche sempre più larghi strati del cosiddetto ceto medio impoverito).
Infatti sono in pratica tasse aggiuntive che fin quanto gravano sui beni di lusso possono al massimo semmai portare a qualche sfizio in meno per i più ricchi ma se riguardano generi di primaria importanza è ovvio che pesano in modo molto grave sui loro già precari essenziali bisogni.
Della serie, al di là di ogni interesse nazionale o di consorterie varie, possono sicuramente costituire un ulteriore elemento di discriminazione verso il basso.
Senza considerare l'effetto ulteriormente penalizzante dovuto alla più che probabile riduzione occupazionale derivante, almeno in una prima fase (quanto prolungata?), dalla perdita di mercati consolidati e quindi uno smacco anche e soprattutto per la piccola-media impresa.
Della serie: questo sistema per com'è oggi articolato finisce in un modo o nell'altro per scaricare le sue strutturali distorsioni sui più fragili, mentre occorrerebbe esattamente il contrario mirando ad un maggior effettivo prelievo sui ceti più ricchi.
Questa è e sarà sempre una questione ineludibile se si vuol realmente perseguire nel concreto una giustizia sociale più equa.
E chi è vittima e subisce invece un sistema che funziona al contrario dovrebbe esserne sempre più cosciente a partire dall'esercizio di un voto consapevole che rimane uno dei pochi strumenti di cambiamento dove il voto del più povero e precario, se esercitato, vale tanto quello del più ricco e potente.
In sostanza recuperando la quasi metà del non voto convogliandolo su chi realmente persegue una lotta alle disuguaglianze – ad ognuno un coerente e doveroso approfondimento - si potrebbe realmente incidere sulla realtà.
In caso contrario le maggiori vittime di questo sistema diverrebbero, a loro insaputa, i suoi più grandi alleati.
Germano Bosisio