La iena Luigi Pelazza assolta dal giudice. Era accusato di diffamazione. Gli atti in Procura
Luigi Pelazza, storico inviato de “Le Iene”, è stato assolto questa mattina dall'ipotesi di reato di diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicità: la sentenza è stata letta a Palazzo di giustizia dal giudice monocratico Gianluca Piantadosi.

Classe 1969, residente nel meratese, era stato rinviato a giudizio davanti al Tribunale di Lecco in composizione monocratica per l'ipotesi accusatoria prevista dall'articolo 595 del codice penale per un post pubblicato sulla propria bacheca Facebook nel 2018, in merito ad un'inchiesta che aveva seguito al tempo: con un servizio mandato in onda a gennaio di 7 anni fa, la “iena” aveva acceso i riflettori su un caso di presunta “circonvenzione” di un 96enne genovese da parte di alcuni cittadini di nazionalità rumena. All'indomani della messa in onda, allertata l'autorità giudiziaria e i servizi sociali, era stato quindi aperto un fascicolo nei confronti di quattro stranieri potenzialmente coinvolti, poi archiviato nel 2020 in fase di indagini preliminari dal gip del Tribunale di Genova per infondatezza della notizia di reato, su richiesta del sostituto procuratore Gabriella Dotto.
Ora la Procura della Repubblica di Lecco contestava al conduttore di aver pubblicato (nel marzo del 2018) sul proprio profilo Facebook un link al servizio mandato in onda soli due mesi prima con la descrizione “Nonno Giuseppe non c'è più. Un gruppetto di rumeni si era stabilito in casa di quest'uomo di 96 anni, prendendogli le chiavi dell'appartamento e i risparmi di una vita”. A querelare l'inviato di Italia 1 per diffamazione e a costituirsi parte civile nel procedimento oggi conclusosi, eramp stato due (all'epoca dei fatti moglie e marito) dei rumeni che frequentavano la casa del 96enne.
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale incardinatasi davanti al dottor Piantadosi la linea portata avanti dai due difensori dell'inviato – gli avvocati Stefano Toniolo e Federico Giusti del foro di Milano, oggi sostituiti dall'avvocato Susanna Gallazzi - era volta ad escludere che Pelazza avesse scritto di suo pugno il post ritenuto diffamatorio: “All'epoca il mio manager aveva dei ragazzi preposti alla gestione delle mie pagine social. Io pubblico veramente poco di persona, normalmente me ne disinteresso. Per quanto riguardava il lavoro facevano tutto loro” aveva dichiarato lo stesso Pelazza nel corso del proprio esame in aula, aggiungendo che i contenuti social creati per condividere i servizi con i propri followers, venivano passati al setaccio dell'ufficio legale di Mediaset esattamente come il servizio stesso.
Nella scorsa udienza, in fase di requisitoria, il vpo Mattia Mascaro, rappresentante della pubblica accusa, aveva chiesto la condanna per l'imputato alla sola pena pecuniaria (pari a una multa di 900 euro). In quella sede si erano espresse per la condanna anche le parti civili (gli avvocati Alessio Conti e Andrea Tonnarelli, oggi sostituiti per delega orale dal collega lecchese Marco Rigamonti), che avevano chiesto anche un risarcimento del danno da quantificarsi fra i 35 e i 58 mila euro.
Quest'oggi, nel corso della lettura del dispositivo di sentenza di assoluzione per non avere commesso il fatto, il giudice ha anche disposto la trasmissione degli atti alla Procura per valutare la posizione dell'effettiva autrice del post incriminato per l'ipotesi di reato di diffamazione aggravata.

Classe 1969, residente nel meratese, era stato rinviato a giudizio davanti al Tribunale di Lecco in composizione monocratica per l'ipotesi accusatoria prevista dall'articolo 595 del codice penale per un post pubblicato sulla propria bacheca Facebook nel 2018, in merito ad un'inchiesta che aveva seguito al tempo: con un servizio mandato in onda a gennaio di 7 anni fa, la “iena” aveva acceso i riflettori su un caso di presunta “circonvenzione” di un 96enne genovese da parte di alcuni cittadini di nazionalità rumena. All'indomani della messa in onda, allertata l'autorità giudiziaria e i servizi sociali, era stato quindi aperto un fascicolo nei confronti di quattro stranieri potenzialmente coinvolti, poi archiviato nel 2020 in fase di indagini preliminari dal gip del Tribunale di Genova per infondatezza della notizia di reato, su richiesta del sostituto procuratore Gabriella Dotto.
Ora la Procura della Repubblica di Lecco contestava al conduttore di aver pubblicato (nel marzo del 2018) sul proprio profilo Facebook un link al servizio mandato in onda soli due mesi prima con la descrizione “Nonno Giuseppe non c'è più. Un gruppetto di rumeni si era stabilito in casa di quest'uomo di 96 anni, prendendogli le chiavi dell'appartamento e i risparmi di una vita”. A querelare l'inviato di Italia 1 per diffamazione e a costituirsi parte civile nel procedimento oggi conclusosi, eramp stato due (all'epoca dei fatti moglie e marito) dei rumeni che frequentavano la casa del 96enne.
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale incardinatasi davanti al dottor Piantadosi la linea portata avanti dai due difensori dell'inviato – gli avvocati Stefano Toniolo e Federico Giusti del foro di Milano, oggi sostituiti dall'avvocato Susanna Gallazzi - era volta ad escludere che Pelazza avesse scritto di suo pugno il post ritenuto diffamatorio: “All'epoca il mio manager aveva dei ragazzi preposti alla gestione delle mie pagine social. Io pubblico veramente poco di persona, normalmente me ne disinteresso. Per quanto riguardava il lavoro facevano tutto loro” aveva dichiarato lo stesso Pelazza nel corso del proprio esame in aula, aggiungendo che i contenuti social creati per condividere i servizi con i propri followers, venivano passati al setaccio dell'ufficio legale di Mediaset esattamente come il servizio stesso.
Nella scorsa udienza, in fase di requisitoria, il vpo Mattia Mascaro, rappresentante della pubblica accusa, aveva chiesto la condanna per l'imputato alla sola pena pecuniaria (pari a una multa di 900 euro). In quella sede si erano espresse per la condanna anche le parti civili (gli avvocati Alessio Conti e Andrea Tonnarelli, oggi sostituiti per delega orale dal collega lecchese Marco Rigamonti), che avevano chiesto anche un risarcimento del danno da quantificarsi fra i 35 e i 58 mila euro.
Quest'oggi, nel corso della lettura del dispositivo di sentenza di assoluzione per non avere commesso il fatto, il giudice ha anche disposto la trasmissione degli atti alla Procura per valutare la posizione dell'effettiva autrice del post incriminato per l'ipotesi di reato di diffamazione aggravata.
F.F.