Church pocket/55. Volti di Quaresima: la sete che non sai di avere. La Samaritana
Tutti abbiamo una sete profonda che spesso ignoriamo o cerchiamo di colmare con “acque sbagliate”. Non si tratta solo della sete fisica, ma di quella più sottile e invisibile: il desiderio di essere amati, di trovare un senso, di sentirsi accolti per ciò che siamo. Questa sete, quando non riconosciuta, ci porta a cercare sollievo in luoghi e modi che non saziano davvero, lasciandoci più vuoti di prima, un po’ come i carboidrati. Sant'Agostino, nelle Confessioni, ci suggerisce: "Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”. Una frase che risuona potentemente, ricordandoci che ogni nostra sete, ogni nostro desiderio in fondo è un richiamo, spesso inascoltato, verso l'unica fonte che può davvero dissetarci.
Il Vangelo di Giovanni ci racconta questo incontro inconsueto: Gesù, stanco del viaggio, si ferma presso un pozzo in Samaria. Lì, da solo, incontra una donna, una Samaritana, che viene ad attingere acqua, anche lei da sola, a un'ora insolita, dove la forte calura invita a stare a casa. Questo dettaglio svela molto di lei: è una donna emarginata, che si vergogna, probabilmente evitata dalle altre donne del villaggio a causa della sua vita personale non solita. Gesù le chiede da bere. Un gesto semplice, ma rivoluzionario: un uomo giudeo che parla a una donna samaritana, rompendo barriere culturali, del pregiudizio religioso e sociale. Da questa semplice richiesta nasce un dialogo profondo:
“Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell'acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna”.(Gv 4,13-14)

La Samaritana scopre, senza nemmeno capirlo subito, di avere una sete più grande di quella fisica: la sete di verità, di inclusione e di uno sguardo che non giudichi ma che accolga e la guardi come umana e non la identifichi con la sua condizione di vita. Anche noi, come la Samaritana, portiamo sicuramente dentro, ognuno nel suo modo proprio un'inquietudine che cerchiamo di placare in mille modi. Io mi sono reso conto che questa rubrica placa la mia costante sete di Dio. A volte, scherzando, dico ai miei amici che “avere Dio come ex marito è complicato”, alludendo al mio precedente percorso vocazionale. Nella mia umile esperienza, Cristo si è sempre seduto a quel pozzo dove andavo a orari insoliti e mi ha offerto una “fonte di acqua viva”. Questa rubrica è arrivata dopo aver rinunciato alla cattedra di religione cattolica alla ricerca di una situazione lavorativa che mi garantisse una stabilità economica, proprio come quell’incontro per la Samaritana, in un momento in cui ero reduce da antichi dissapori tra me e il Padreterno. Scrivere queste riflessioni non è solo un esercizio intellettuale per mantener fresca la teologia, ma un modo per restare in dialogo con quella sete che non si spegne mai del tutto, perché in fondo, come diceva Agostino, il nostro cuore resta inquieto finché non riposa in Dio.
La Samaritana aveva avuto cinque mariti e conviveva con un altro uomo. Forse in ognuna di quelle relazioni cercava una risposta al suo bisogno di essere vista, amata, riconosciuta. Ma nessuno di quei legami poteva davvero spegnere la sua sete più profonda. Tuttavia, Gesù non la giudica. Non le rinfaccia i suoi errori, non la fa sentire sbagliata. Con delicatezza e verità, le svela ciò che lei stessa ignorava: il vero bisogno non era quello di riempire un vuoto, ma di lasciarsi riempire da un'acqua che non finisce, quella della grazia. Gesù non giudica la Samaritana. La guarda per ciò che è, non per ciò che ha fatto. La incontra nella sua fragilità e le offre una nuova identità: da donna emarginata a testimone della verità. La sua reazione è straordinaria: lascia la brocca al pozzo, simbolo della sua vecchia sete, e corre a raccontare a tutti ciò che ha vissuto. Non importa più la vergogna, il giudizio degli altri. Ha incontrato Qualcuno che l'ha dissetata davvero.
La Quaresima è il tempo favorevole per fermarsi al nostro “pozzo interiore” e chiederci: di cosa ho veramente sete? Quali acque sto cercando di bere? E soprattutto: sono disposto a lasciarmi incontrare da Chi può trasformare la mia sete in una sorgente di vita eterna? Perché, in fondo, anche noi siamo un po’ come quella donna del pozzo: assetati di un’acqua che, a volte, non sappiamo nemmeno di desiderare. Come scriveva Dante Alighieri nella Divina Commedia: “In la sua volontade è nostra pace”. Forse la vera pace nasce proprio quando smettiamo di cercare l’acqua nei luoghi sbagliati e lasciamo che sia Dio stesso a colmare la nostra sete più profonda.
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Il Vangelo di Giovanni ci racconta questo incontro inconsueto: Gesù, stanco del viaggio, si ferma presso un pozzo in Samaria. Lì, da solo, incontra una donna, una Samaritana, che viene ad attingere acqua, anche lei da sola, a un'ora insolita, dove la forte calura invita a stare a casa. Questo dettaglio svela molto di lei: è una donna emarginata, che si vergogna, probabilmente evitata dalle altre donne del villaggio a causa della sua vita personale non solita. Gesù le chiede da bere. Un gesto semplice, ma rivoluzionario: un uomo giudeo che parla a una donna samaritana, rompendo barriere culturali, del pregiudizio religioso e sociale. Da questa semplice richiesta nasce un dialogo profondo:
“Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell'acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna”.(Gv 4,13-14)

La Samaritana scopre, senza nemmeno capirlo subito, di avere una sete più grande di quella fisica: la sete di verità, di inclusione e di uno sguardo che non giudichi ma che accolga e la guardi come umana e non la identifichi con la sua condizione di vita. Anche noi, come la Samaritana, portiamo sicuramente dentro, ognuno nel suo modo proprio un'inquietudine che cerchiamo di placare in mille modi. Io mi sono reso conto che questa rubrica placa la mia costante sete di Dio. A volte, scherzando, dico ai miei amici che “avere Dio come ex marito è complicato”, alludendo al mio precedente percorso vocazionale. Nella mia umile esperienza, Cristo si è sempre seduto a quel pozzo dove andavo a orari insoliti e mi ha offerto una “fonte di acqua viva”. Questa rubrica è arrivata dopo aver rinunciato alla cattedra di religione cattolica alla ricerca di una situazione lavorativa che mi garantisse una stabilità economica, proprio come quell’incontro per la Samaritana, in un momento in cui ero reduce da antichi dissapori tra me e il Padreterno. Scrivere queste riflessioni non è solo un esercizio intellettuale per mantener fresca la teologia, ma un modo per restare in dialogo con quella sete che non si spegne mai del tutto, perché in fondo, come diceva Agostino, il nostro cuore resta inquieto finché non riposa in Dio.
La Samaritana aveva avuto cinque mariti e conviveva con un altro uomo. Forse in ognuna di quelle relazioni cercava una risposta al suo bisogno di essere vista, amata, riconosciuta. Ma nessuno di quei legami poteva davvero spegnere la sua sete più profonda. Tuttavia, Gesù non la giudica. Non le rinfaccia i suoi errori, non la fa sentire sbagliata. Con delicatezza e verità, le svela ciò che lei stessa ignorava: il vero bisogno non era quello di riempire un vuoto, ma di lasciarsi riempire da un'acqua che non finisce, quella della grazia. Gesù non giudica la Samaritana. La guarda per ciò che è, non per ciò che ha fatto. La incontra nella sua fragilità e le offre una nuova identità: da donna emarginata a testimone della verità. La sua reazione è straordinaria: lascia la brocca al pozzo, simbolo della sua vecchia sete, e corre a raccontare a tutti ciò che ha vissuto. Non importa più la vergogna, il giudizio degli altri. Ha incontrato Qualcuno che l'ha dissetata davvero.
La Quaresima è il tempo favorevole per fermarsi al nostro “pozzo interiore” e chiederci: di cosa ho veramente sete? Quali acque sto cercando di bere? E soprattutto: sono disposto a lasciarmi incontrare da Chi può trasformare la mia sete in una sorgente di vita eterna? Perché, in fondo, anche noi siamo un po’ come quella donna del pozzo: assetati di un’acqua che, a volte, non sappiamo nemmeno di desiderare. Come scriveva Dante Alighieri nella Divina Commedia: “In la sua volontade è nostra pace”. Forse la vera pace nasce proprio quando smettiamo di cercare l’acqua nei luoghi sbagliati e lasciamo che sia Dio stesso a colmare la nostra sete più profonda.
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Rubrica a cura di Pietro Santoro