Paderno: un "Custode di Quartiere" per le persone fragili, sole, emarginate
Una nuova figura si fa spazio in una società sempre più anziana, quella del “custode sociale”. E proprio a questa figura, già sperimentata con successo in alcune realtà, è stato dedicato l’incontro organizzato giovedì sera presso Cascina Maria a Paderno d’Adda dal Comitato per l’Assistenza Domiciliare Pubblica. Relatore il dottor Ambrogio Manenti, presidente dell’associazione “Salute senza frontiere”, che ha lavorato per l’Organizzazione Mondiale della Sanità e attualmente presta la propria opera in Siria.

Parlando di realtà più avanzate nel settore socio-sanitario non si può prescindere dalla realtà di Trieste, “un’avanguardia a livello mondiale” come l’ha definita Manenti. Nella città friulana, nota soprattutto per l’esperienza basagliana che portò alla chiusura dei manicomi e proprio nella scia di quella rivoluzione, sono nate le microaree, bacini di 2.000 residenti all’interno dei quali vengono identificate le persone più fragili per essere accompagnate nella vita quotidiana e soprattutto nei momenti di maggior problematicità.
Grazie a un protocollo d’intesa tra Azienda sanitaria (quella che in Lombardia corrisponde alla Asst), Amministrazione comunale e Aler vengono identificati degli spazi aperti di accoglienza dove le persone possono recarsi durante il giorno per momenti di socializzazione. Il risultato, verificato con apposite ricerche, è che grazie a ciò sono diminuiti gli accessi ai Pronto Soccorso ospedalieri. Ma qualora sfortunatamente capitasse a qualcuno degli utenti di avere problemi che richiedano un ricovero, ecco che la microarea si attiva per seguire la persona al momento delle dimissioni.

Perno di tutta l’organizzazione è un dipendente con competenze infermieristiche dell’Azienda sanitaria, supportato da un’ampia rete di volontari.
Un’esperienza analoga, ha raccontato ancora il dottor Manenti, sta per essere realizzata nel comune di Cologno Monzese, pur con difficoltà legate a cambiamenti di Giunta e alla contrarietà di alcuni condòmini residenti nello stabile in cui è stato identificato l’appartamento da destinare alla sperimentazione.
Qualcosa di simile è l’attivazione partita in alcune regioni e realtà metropolitane, tra cui Milano, del cosiddetto “custode sociale”, una figura solitamente posta nelle case Aler che monitora le situazioni di solitudine e di emarginazione provvedendo ad attivare gli interventi necessari (aiuto domestico, cura della persona, accompagnamento, socializzazione, invio ai servizi specialistici).
Ma perché non puntare sulle Case di Comunità previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza?
“In Lombardia ne sono state avviate 130 sulle 200 previste, la scadenza per ottenere i fondi europei è il 2026”, ha riferito il dottor Manenti. “Ma il bacino di utenza di ogni singola realtà è di 50.000 abitanti, un numero decisamente troppo elevato per poter davvero essere vicini ai bisogni della popolazione”.
Il medico ha quindi sollecitato i presenti a esprimersi sulla possibilità di realizzare una microarea nella zona del Meratese.

“Da noi le situazioni di marginalità sono più rare rispetto a una realtà metropolitana, però la solitudine è un problema presente anche qui”, ha commentato la presidente del Comitato per l’Assistenza Domiciliare Pubblica, Lelia Della Torre. “Essendo pochi i grandi condomìni, più che un custode sociale si potrebbe pensare a un custode di quartiere”.
L’assessora del Comune di Paderno d’Adda, Barbara Riva, presente all’incontro insieme al collega Antonio Besana, a sua volta ha sottolineato come il nostro territorio abbia delle peculiarità molto differenti da quelle di un tessuto urbano e come il problema sia soprattutto la mobilità per gli spostamenti tra un luogo e un altro.
“Al momento la soluzione che sembra poter prendere piede sono le Case di Comunità”, ha quindi concluso l’assessora.

Carlo Sala del Comitato e il dottor Manenti
Parlando di realtà più avanzate nel settore socio-sanitario non si può prescindere dalla realtà di Trieste, “un’avanguardia a livello mondiale” come l’ha definita Manenti. Nella città friulana, nota soprattutto per l’esperienza basagliana che portò alla chiusura dei manicomi e proprio nella scia di quella rivoluzione, sono nate le microaree, bacini di 2.000 residenti all’interno dei quali vengono identificate le persone più fragili per essere accompagnate nella vita quotidiana e soprattutto nei momenti di maggior problematicità.
Grazie a un protocollo d’intesa tra Azienda sanitaria (quella che in Lombardia corrisponde alla Asst), Amministrazione comunale e Aler vengono identificati degli spazi aperti di accoglienza dove le persone possono recarsi durante il giorno per momenti di socializzazione. Il risultato, verificato con apposite ricerche, è che grazie a ciò sono diminuiti gli accessi ai Pronto Soccorso ospedalieri. Ma qualora sfortunatamente capitasse a qualcuno degli utenti di avere problemi che richiedano un ricovero, ecco che la microarea si attiva per seguire la persona al momento delle dimissioni.

Perno di tutta l’organizzazione è un dipendente con competenze infermieristiche dell’Azienda sanitaria, supportato da un’ampia rete di volontari.
Un’esperienza analoga, ha raccontato ancora il dottor Manenti, sta per essere realizzata nel comune di Cologno Monzese, pur con difficoltà legate a cambiamenti di Giunta e alla contrarietà di alcuni condòmini residenti nello stabile in cui è stato identificato l’appartamento da destinare alla sperimentazione.
Qualcosa di simile è l’attivazione partita in alcune regioni e realtà metropolitane, tra cui Milano, del cosiddetto “custode sociale”, una figura solitamente posta nelle case Aler che monitora le situazioni di solitudine e di emarginazione provvedendo ad attivare gli interventi necessari (aiuto domestico, cura della persona, accompagnamento, socializzazione, invio ai servizi specialistici).
Ma perché non puntare sulle Case di Comunità previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza?
“In Lombardia ne sono state avviate 130 sulle 200 previste, la scadenza per ottenere i fondi europei è il 2026”, ha riferito il dottor Manenti. “Ma il bacino di utenza di ogni singola realtà è di 50.000 abitanti, un numero decisamente troppo elevato per poter davvero essere vicini ai bisogni della popolazione”.
Il medico ha quindi sollecitato i presenti a esprimersi sulla possibilità di realizzare una microarea nella zona del Meratese.

I membri del comitato
“Da noi le situazioni di marginalità sono più rare rispetto a una realtà metropolitana, però la solitudine è un problema presente anche qui”, ha commentato la presidente del Comitato per l’Assistenza Domiciliare Pubblica, Lelia Della Torre. “Essendo pochi i grandi condomìni, più che un custode sociale si potrebbe pensare a un custode di quartiere”.
L’assessora del Comune di Paderno d’Adda, Barbara Riva, presente all’incontro insieme al collega Antonio Besana, a sua volta ha sottolineato come il nostro territorio abbia delle peculiarità molto differenti da quelle di un tessuto urbano e come il problema sia soprattutto la mobilità per gli spostamenti tra un luogo e un altro.
“Al momento la soluzione che sembra poter prendere piede sono le Case di Comunità”, ha quindi concluso l’assessora.
A.Vi.