Prevenire senza reprimere
Prevenire senza reprimere Egregio direttore, letto l'editoriale continuo a mantenere una serie di perplessità. Non entro nella vicenda del bar (che di suo non ha poteri repressivi, se non auto-repressivi – chiudere prima di una certa ora), ma mi riferisco alla questione del bullismo. Sono andato a rileggere l'intervento della madre del bambino bullizzato. E ricordavo bene: si parla di scuola primaria e di metà del percorso scolastico, quindi 8 – 9 anni, 10 in casi molto particolari. Per carità, sono pienamente d'accordo con il fatto che il responsabile debba, in qualche modo, pagare un “prezzo” per quanto successo. Ma pensare che la soluzione sia reprimere ed escludere (sospensione, bocciatura già decisa), allora stiamo superando qualsiasi genere di risposta proporzionale. A livello di adulti, la nostra costituzione parla di rieducazione del condannato. Ciò dovrebbe valere a maggior ragione per un bambino (ebbene sì, alla primaria ci vanno i bambini). Applicare misure repressive miranti ad escludere, lasciare il bullo a casa in un ambiente che potrebbe essere non adatto per il messaggio che si vuol far passare, addirittura porterebbe più conseguenze negative che positive. E pari problema deve interessare chi si è posto dalla parte del bullo. Perché si tratta di una mancanza di empatia piuttosto evidente. E' quindi necessario un intervento forte (temo che quello delle docenti rischi di rimanere non abbastanza incisivo), ma nella direzione della rieducazione, non della repressione. Se a 8 – 9 anni la nostra risposta resta reprimere ed escludere, temo che il futuro di questi bambini sarà davvero gramo.
Cordialmente
Cordialmente
Carlo Gibertini
In tutta la sua pur apprezzabile lettera c'è preoccupazione per il bullo. E nessuna per il bullizzato. Se ne rende conto?
