Church pocket/53. Volti di Quaresima: quando la ricchezza pesa più del cuore. Il giovane ricco

Il successo, nel nostro mondo moderno, è spesso misurato da ciò che possediamo: case più grandi, automobili, vestiti più alla moda, vacanze da condividere sui social. Eppure, quante volte raggiungiamo quell'obiettivo tanto ambito solo per scoprire che la felicità promessa non arriva? C'è ancora un senso di vuoto, una silenziosa insoddisfazione che ci spinge a chiederci: e ora? Come scrive Goethe ne I dolori del giovane Werther: “Ci sono momenti in cui vorrei dal profondo del mio cuore di poter essere libero da tutto questo peso dell'esistenza, e sento anche nel profondo del mio cuore questa leggerezza infinita”. Questa frase descrive l'emozione di voler avere tutto e di essere schiacciati da ciò che dobbiamo consumare. L'incontro con il giovane ricco è la storia di molti di noi: vogliamo tutto; vogliamo essere in pace con la nostra coscienza, ma il nostro cuore è pesante. La sua domanda a Gesù non è banale: “Maestro, quale bene devo fare per avere la vita eterna?” (Matteo 19:16). Una domanda profonda che espone un'inchiesta onesta ma anche una trappola nascosta: l'illusione confortante che l'azione stessa basti per trovare la felicità.
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Immaginiamolo: un giovane, con occhi vivaci, forse anche ben vestito, sicuro di sé, ma con una scintilla negli occhi che cerca qualcosa di più. Va da Gesù, un predicatore di strada, con la polvere sui sandali e parole che scavano nel cuore. “Che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?” chiede forse con una preghiera per una risposta facile. Gesù lo guarda, e in quello sguardo c'è tutto: tenerezza, verità, una muta carezza. “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. Il giovane annuisce, con sorpresa ma anche con sollievo: “Questi li ho osservati tutti, allora cosa mi manca ancora?”. Ed ecco la parte più importante. Con occhi che vedono non solo in superficie ma attraverso le cose, Gesù gli dice: “Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi e dai poveri; e avrai un tesoro in cielo; e vieni, seguimi.” Il giovane esita per un momento, poi abbassa lo sguardo. Non dice nulla, ma i suoi passi pesanti dicono tutto. Se ne va triste. Non arrabbiato, non polemico. Solo triste. La tristezza di chi sa cosa è importante ma non è capace di lasciare andare ciò che gli impedisce di essere libero.
Nessuno ha bisogno di essere miliardario per vedersi in questo giovane. Le nostre “ricchezze” che ci impediscono di seguire Gesù non sono solo denaro o possedimenti. Altre volte sono più sottili, e più profonde nel cuore come, nel mio caso, il bisogno di controllo con conseguente nessuna fiducia in nessuno. Chi non ha una “ricchezza” che trova difficile lasciare indietro? Forse è un rancore di lunga data, una visione di noi stessi, un'abitudine che ci consola ma ci trattiene. Forse la vera indagine oggi è: “Cosa è difficile per me lasciare andare?” Cosa sto stringendo così forte da non poter creare spazio per Dio?
La Quaresima non è solo la stagione dei “sacrifici” e del digiuno. È un'opportunità per imporre un ordine, per alleggerire lo zaino del cuore. Non si tratta di perdere ma di guadagnare libertà. Chi sa mettere giù ciò che li trattiene. Sa fare spazio per ciò che conta. In fondo la Pasqua è quel passaggio dalla schiavitù alla libertà. 
Gesù non chiamò il giovane ricco alla povertà come punizione ma come libertà. Perché i tesori più preziosi non possono essere posseduti; solo vissuti. E così questa Quaresima può essere una scelta: rilasciare ciò che ci appesantisce, recuperare la leggerezza della vera gioia. Come dice Ugo Foscolo: “Troverai poca gioia nell'urna, se non lasci nessuna eredità di affetti”. La vera ricchezza non consiste in ciò che guadagniamo, ma nei semi d'amore che seminiamo nei cuori degli altri. E forse, solo quando lasciamo andare ciò che ci lega, possiamo davvero apprezzare ciò che fiorisce: relazioni autentiche, azioni che durano, amori che trascendono il tempo.

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Rubrica a cura di Pietro Santoro
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