Church pocket/52. Volti di Quaresima: tra pentole e mestieri. Marta
Se pensiamo che la santità sia fatta solo di silenzi mistici e sguardi assorti verso l’infinito, Marta di Betania è qui per smentirci. Immagiamola così: grembiule annodato in vita, cucchiaio di legno in mano e una lista mentale infinita di cose da fare. Mentre sua sorella Maria si gode il privilegio di ascoltare Gesù, comodamente seduta, Marta corre su e giù per la casa, sicuramente borbottando: “Se non faccio tutto io, chi lo fa?”. La scena mi ricorda sempre Natale in casa Cupiello, con quella celebre battuta: “Lucari', è una serva tua madre? Tua madre non serve!”. Sembra quasi una commedia familiare: la sorella spirituale e la sorella pratica. Ma la domanda vera potrebbe essere questa: davvero Marta ha capito meno di Maria? O forse la sua fatica ci insegna cosa significhi amare Dio nella quotidianità?
Il Vangelo di Luca (Lc 10,38-42) racconta: “Marta era tutta presa dai molti servizi” mentre Maria, seduta, pendeva dalle labbra di Gesù, ascoltandone i suoi insegnamenti. Marta, forse un po' stanca, si rivolge direttamente a Gesù: “Signore, non ti importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Gesù, a sorpresa, le risponde con dolce fermezza: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”. Povera Marta: cornuta e mazziata! Di primo impatto queste parole sembrano una condanna. In realtà non lo sono: sono un invito a riequilibrare il cuore. Il problema non è il fare, ma il modo in cui si serve. Marta, lasciandosi prendere dall'ansia e dalla preoccupazione, perde di vista il senso vero del suo fare: la presenza di Gesù.
Quanti di noi si riconoscono in Marta? Sempre di corsa, impegnati in mille attività, figli, oratorio, scuola di musica, corso di inglese, palestra, coro – anche all'interno della Chiesa: organizzare eventi, preparare incontri. Tutto importante, tutto sempre urgente. Ma, come Marta, rischiamo di dimenticare la motivazione per cui stiamo facendo tutto questo. Il rischio è vivere una fede fatta solo di doveri, un cristianesimo pieno di azioni e vuoto di emozioni. Il teologo Nouwen ci ricorda che “la vita attiva può facilmente diventare una vita piena di preoccupazioni e di ansie se non trova la sua sorgente in una vita contemplativa”. Anche Benedetto XVI, nell'enciclica Deus Caritas Est, sottolinea che "l’attività non è tutto; al contrario, il fare deve scaturire dall’essere con Cristo". E Papa Francesco, nell'Evangelii Gaudium, ci invita a non cadere nella tentazione del "pelagianesimo attivista", dove si confonde l'efficacia pastorale con la vera fecondità spirituale.
La Quaresima è il tempo favorevole per fermarsi e chiedersi: sto solo facendo cose per Dio o sto anche stando con Dio? Non è una questione di scegliere cosa, ma di vivere le attività come una forma di preghiera, una perenne liturgia. Marta, pur nella sua fatica e presa dalle faccende, non smette di cercare Gesù: si lamenta con Lui, non richiama la sorella seduta, si sfoga, e lo coinvolge nella sua vita con quell’istanza. E già questo è un atto profondo di fede. Marta non è "meno santa" di Maria. La vera santità nasce dall'equilibrio tra azione e contemplazione. Marta è santa proprio perché ha saputo trasformare il suo servizio in un atto d'amore, pur tra distrazioni e fatiche. Il suo cuore, anche quando è agitato, resta rivolto a Gesù. In fondo, la lezione di Marta è semplice e profonda: non c'è vera fede senza servizio, ma il servizio senza l'ascolto di Dio rischia di diventare solo attivismo vuoto, filantropia. Tra pentole e preghiere, Marta ci insegna che ogni gesto può diventare sacro se fatto con il cuore rivolto al Signore. Come ricorda la Lumen Gentium, “l'Eucaristia è fonte e culmine di tutta la vita cristiana” (Lumen Gentium, 11). Questo passaggio sottolinea che l'intera esistenza del cristiano trova il suo significato e la sua pienezza nell'incontro con Cristo, specialmente attraverso l'Eucaristia. Essa non è solo un rito da celebrare, ma il cuore pulsante da cui sgorga ogni azione e verso cui tutto converge. Marta ci insegna proprio questo: il servizio non è fine a se stesso, ma deve sempre scaturire da quella fonte che è l'amore di Dio e condurre tutto e tutti a Lui. Le nostre opere, anche le più ordinarie, acquistano più valore quando sono radicate in questa sorgente di grazia. In definitiva, forse anche noi, come Marta, potremmo sentirci rivolgere la domanda di Natale in casa Cupiello: "Lucari', tua madre non serve?" Ma stavolta con un sorriso: sì, Marta serve eccome. Serve non solo a preparare il pranzo, ma a ricordarci che ogni gesto d’amore quotidiano può diventare un atto di santità, se vissuto alla presenza di Dio.
E allora, tra una pentola e una preghiera, lasciamo che il cuore trovi il suo respiro. Perché non è il rumore delle stoviglie a santificare la vita, ma quel battito silenzioso che, tra le pieghe del quotidiano, sussurra ancora: “Eccomi, Signore, ti stavo aspettando”.
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Il Vangelo di Luca (Lc 10,38-42) racconta: “Marta era tutta presa dai molti servizi” mentre Maria, seduta, pendeva dalle labbra di Gesù, ascoltandone i suoi insegnamenti. Marta, forse un po' stanca, si rivolge direttamente a Gesù: “Signore, non ti importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Gesù, a sorpresa, le risponde con dolce fermezza: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”. Povera Marta: cornuta e mazziata! Di primo impatto queste parole sembrano una condanna. In realtà non lo sono: sono un invito a riequilibrare il cuore. Il problema non è il fare, ma il modo in cui si serve. Marta, lasciandosi prendere dall'ansia e dalla preoccupazione, perde di vista il senso vero del suo fare: la presenza di Gesù.

Quanti di noi si riconoscono in Marta? Sempre di corsa, impegnati in mille attività, figli, oratorio, scuola di musica, corso di inglese, palestra, coro – anche all'interno della Chiesa: organizzare eventi, preparare incontri. Tutto importante, tutto sempre urgente. Ma, come Marta, rischiamo di dimenticare la motivazione per cui stiamo facendo tutto questo. Il rischio è vivere una fede fatta solo di doveri, un cristianesimo pieno di azioni e vuoto di emozioni. Il teologo Nouwen ci ricorda che “la vita attiva può facilmente diventare una vita piena di preoccupazioni e di ansie se non trova la sua sorgente in una vita contemplativa”. Anche Benedetto XVI, nell'enciclica Deus Caritas Est, sottolinea che "l’attività non è tutto; al contrario, il fare deve scaturire dall’essere con Cristo". E Papa Francesco, nell'Evangelii Gaudium, ci invita a non cadere nella tentazione del "pelagianesimo attivista", dove si confonde l'efficacia pastorale con la vera fecondità spirituale.
La Quaresima è il tempo favorevole per fermarsi e chiedersi: sto solo facendo cose per Dio o sto anche stando con Dio? Non è una questione di scegliere cosa, ma di vivere le attività come una forma di preghiera, una perenne liturgia. Marta, pur nella sua fatica e presa dalle faccende, non smette di cercare Gesù: si lamenta con Lui, non richiama la sorella seduta, si sfoga, e lo coinvolge nella sua vita con quell’istanza. E già questo è un atto profondo di fede. Marta non è "meno santa" di Maria. La vera santità nasce dall'equilibrio tra azione e contemplazione. Marta è santa proprio perché ha saputo trasformare il suo servizio in un atto d'amore, pur tra distrazioni e fatiche. Il suo cuore, anche quando è agitato, resta rivolto a Gesù. In fondo, la lezione di Marta è semplice e profonda: non c'è vera fede senza servizio, ma il servizio senza l'ascolto di Dio rischia di diventare solo attivismo vuoto, filantropia. Tra pentole e preghiere, Marta ci insegna che ogni gesto può diventare sacro se fatto con il cuore rivolto al Signore. Come ricorda la Lumen Gentium, “l'Eucaristia è fonte e culmine di tutta la vita cristiana” (Lumen Gentium, 11). Questo passaggio sottolinea che l'intera esistenza del cristiano trova il suo significato e la sua pienezza nell'incontro con Cristo, specialmente attraverso l'Eucaristia. Essa non è solo un rito da celebrare, ma il cuore pulsante da cui sgorga ogni azione e verso cui tutto converge. Marta ci insegna proprio questo: il servizio non è fine a se stesso, ma deve sempre scaturire da quella fonte che è l'amore di Dio e condurre tutto e tutti a Lui. Le nostre opere, anche le più ordinarie, acquistano più valore quando sono radicate in questa sorgente di grazia. In definitiva, forse anche noi, come Marta, potremmo sentirci rivolgere la domanda di Natale in casa Cupiello: "Lucari', tua madre non serve?" Ma stavolta con un sorriso: sì, Marta serve eccome. Serve non solo a preparare il pranzo, ma a ricordarci che ogni gesto d’amore quotidiano può diventare un atto di santità, se vissuto alla presenza di Dio.
E allora, tra una pentola e una preghiera, lasciamo che il cuore trovi il suo respiro. Perché non è il rumore delle stoviglie a santificare la vita, ma quel battito silenzioso che, tra le pieghe del quotidiano, sussurra ancora: “Eccomi, Signore, ti stavo aspettando”.
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Rubrica a cura di Pietro Santoro