Merate: sport ed educazione. Incontro con don Stefano Guidi e Paolo Bruni

Nell’ambito del “tour” della copia originale della Fiamma Olimpica nel territorio del Decanato di Merate è stato organizzato anche un incontro rivolto agli adulti. In particolare ad allenatori e dirigenti delle società sportive che nella serata di venerdì 21 febbraio hanno incontrato presso l’oratorio della città Paolo Bruni, pedagogista e coordinatore decanale di Pastorale Giovanile, e don Stefano Guidi della Fondazione Diocesana per gli Oratori Milanesi. “Lo sport è uno straordinario mezzo educativo” il titolo della serata, ma anche il messaggio che i due ospiti hanno voluto lanciare. 
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A fare gli onori di casa è stato don Davide Serra, che ha dato il benvenuto ai relatori e ricordato la potenzialità educativa dello sport. Ha rivolto un saluto anche Marco Colombo dell’Assemblea Sinodale Decanale di Merate. La parola è andata quindi a don Stefano Guidi. “Quando parliamo di sport in oratorio conviene dire che cos’è oggi questa struttura che non abbiamo costruito noi, ma qualcuno prima, e che comprende tre grandi esperienze: formazione religiosa, aggregazione, attività sportiva. Tutti quelli della Lombardia sono più o meno strutturati così”. Negli oratori non si fa solo catechismo, ma neanche solo giochi in cortile né solo sport, è una struttura che però deve servire a tutte e tre le cose per nutrire anima, corpo e buone relazioni. 
“Noi l’idea di oratorio l'abbiamo ricevuta così e il nostro compito è confermare la scelta”. 
Secondo don Stefano, quello che viene svolto negli oratori, ha un senso educativo. Anche lo sport, perché apre alla missionarietà. “È il momento in cui la parrocchia incontra veramente tutti: ragazzi e famiglie che trovano nella società sportiva un luogo di incontro. L’oratorio vuole consegnare ai ragazzi e agli adolescenti parole ed esperienze utili a costruire la loro vita” ha proseguito, appellandosi poi agli allenatori presenti. “Noi tutti ci siamo accorti di aver ricevuto qualcosa dall’oratorio, di aver conosciuto qualcuno che ci ha aiutato quando avevamo bisogno. L’oratorio ci ha permesso di imparare, fare amicizie. Siamo qui ora anche per restituire quello che da ragazzi abbiamo ricevuto”. 
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A tal proposito don Stefano ha lanciato l’invito a comunicare e costruire un buon rapporto tra persone che operano all’interno di questi centri, come allenatori, educatori e  catechisti. “La comunità dell’oratorio deve accordarsi per le mansioni e l’organizzazione. È importante parlarsi, confrontarsi. I ragazzi devono incontrare adulti che tra loro si stimano e si fidano gli uni degli altri”. 
È fondamentale questo, anche perché molti dei giovani che frequentano l’oratorio sono in un’età cruciale per il loro sviluppo e anche delicata. A confermarlo è stato il pedagogista Bruni, che ha presentato un dato impressionate. “Il 44,9 % dei giovani tra i 14 e 19 anni all’interno della nostra Diocesi ha pensato almeno tre volte suicidio. Tra questi ci sono ci sono i ragazzi che vengono all’oratorio, quelli che fanno sport e che vanno bene a scuola”. I motivi che inducono a pensare a un gesto estremo sarebbero molteplici: “sono da solo”, “non sono abbastanza”, “sono uno scarto”. 
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Al microfono Marco Colombo

“Solitamente in tre anni perdiamo il 65% che fanno sport. Ma perché? Ci sono tanti pensieri alla base della scelta. Pensano di non essere più adatti, di non servire, passa la voglia o magari scelgono altre attività”. I motivi sono diversi e per contrastarli non c’è una soluzione. Le società sportive devono prendere coscienza di questo e pensare a come far fronte al fenomeno. Qualche spunto l’ha offerto Bruni raccontando un’esperienza personale. Da ragazzino giocava a basket nella squadra dell’oratorio che poi negli anni si unì a quella del paese. “Erano arrivati due più bravi di me nel mio ruolo e l’allenatore era venuto e me l’aveva detto chiaramente. Non avrei giocato. Mi disse però che sarei stato comunque molto utile ad aiutarlo a disporre la difesa, perché ero bravo in quello. Non so se fosse vero e se gli schemi che preparavo servissero davvero. Quel che è certo però è che pur avendo giocato solo pochi minuti in tutta la stagione, non ho mai saltato un allenamento”. 
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Paolo Bruni e don Stefano Guidi

La motivazione è alla base di tutto per fare in modo di non perdere nessun ragazzo o ragazza e far sì che si sentano tutti apprezzati. “Non dobbiamo generare scarti. Dobbiamo trovare il modo affinché tutti si sentano importanti. Poi decidono di lasciare perché vogliono andare a fare altro? Va bene, ma noi dobbiamo accompagnarli”. 
Il ruolo dell’allenatore dunque prevede delle importanti responsabilità e c’è ancora tanta strada da fare per riuscire a “tenere” tutti. È altrettanto vero però che quello che viene fatto da chiunque alleni e dedichi il suo tempo a preparare i ragazzi nello sport è davvero importante. Tra i bisogni dei giovani infatti ci sono quelli emotivi e socio-emotivi, lo sviluppo di abilità sociali e relazionali, anche interpersonali, oltre che ai bisogni legati alla crescita fisica e la buona salute. “Sono cose che voi fate per loro a ogni allenamento. Non ci si rende conto di questo. Serve solo un po’ di formazione per dare un nome a quello che voi già fate”. 
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Bruni ha invitato gli allenatori e dirigenti presenti a fare uno sforzo in più, sulla scia di quello che già fanno. “Quello che conta è cosa provano i ragazzi quando si allenano e giocano. L’ allenamento deve essere quella casa in cui fai vedere che hai un limite, che soffri. Solo con una squadra che riesce a fare questo potrete vincere tutto”. Il secondo invito è stato quello di avere sempre sott’occhio la situazione della propria squadra, sapere come sta ogni ragazzo, come vanno le cose a scuola e in famiglia. 
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I relatori al termine hanno chiesto quante società fossero rappresentante dal pubblico e quanti atleti avesse all’incirca ciascuna. Sono risultate essere presenti 8 società per un totale circa di 1.000 giovani. “In quale altro posto trovare educatori di 1.000 ragazzi?” hanno concluso, invitando tutte le società e personale a lavorare insieme per la formazione e l’educazione degli atleti. “Non parliamo di fusioni. Ognuno mantiene la propria identità. Parliamo di collaborazione, perché alla fine i problemi che ci sono sono uguali per tutti”.
E.Ma.
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