Olgiate: la pietra "Bandana", all'anagrafe Giovanni Cogliati, nel libro di Marco Belpoliti
All’anagrafe è Giovanni Cogliati. Detto Gianni. Tutti – a Olgiate Molgora dove abita e negli altri paesi della Brianza - lo conoscono come Bandana, lo pseudonimo che si è scelto per pubblicare poesie dialettali e ricerche sulle tradizioni brianzole. Nome d’arte, dunque, Bandana. Finito ora in un libro scritto da altri. Del Bandana di Olgiate, infatti, parla Marco Belpoliti nel suo “Nord Nord” uscito proprio in questi giorni dall’editore Einaudi(278 pagine, 20 euro).
Belpoliti è scrittore e critico letterario, origini emiliane ma trasferito ormai a Milano, docente universitario a Bergamo e alla milanese “Vita-Salute San Raffele”, fondatore di riviste letterarie, autore di molti libri, curatore dell’edizione completa delle opere di Primo Levi. Oltre all’abitazione milanese, Belpoliti ha una casa di villeggiatura a Mondonico che «non è il primo paese della pianura ma l’ultimo della montagna», una casa forse costruita con i sassi provenienti dal torrente che è il Molgora anche se il Bandana gli ha spiegato che «loro non lo chiamano Molgora bensì il Valle, e che le carte portano nomi diversi da quelli che loro usano»
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“Nord Nord” più che un saggio è una sorta di album. O più precisamente un racconto, una chiacchierata con un amico innominato di cui sappiamo solo abitare molti mesi l’anno in qualche posto di montagna. A lui si rivolge l’autore discorrendo di amici comuni e inanellando riflessioni personali, considerazioni letterarie, note storiche, appunti naturalistici, a definire il “Nord” o, meglio, un “Nord” particolare, quello che Belpoliti vive e vede, un “Nord” personale che diventa misura complessiva. E allora Milano, la Brianza, Monza, Bergamo. Seguendo uno strano e misterioso itinerario intellettuale che parte dal Molgora (pardòn, dal Valle) per arrivare sorprendentemente alle sorgenti della Drava e quindi in Alto Adige. Che è già un altro Nord. Parlando di Gadda, Manzoni, Arbasino, di merluzzi e salamandre, di corvi e rondini, di Arlecchino e lanzichenecchi, di lombrichi e coccinelle. E di Brianza, interrogandosi su quei confini misteriosi come del resto tanti altri che in passato e ancora oggi scrivono di questa terra. Del resto, «i confini sono una cosa labile, elastica, arbitraria, battuta». E poi, Imbersago e il traghetto “leonardesco”, il campanone, la villa di Emilio Gola,le scorribande lussuriose di Stendhal a Oggiono, Campsirago e il monte San Genesio dove, secondo Giampaolo Dossena, la Brianza finirebbe. E, soprattutto, le pietre del Bandana.
Lui, il Bandana, compare fin dalle prime righe. Mentre accompagna Belpoliti in un’escursione sul San Genesio «dove tutto sembra remoto. Che dico? Remotissimo». E il Bandana stesso è «a suo modo in dinosauro».
Le pietre, dunque. Sono i massi erratici, quelli portati a valle e poi lasciate dal ritiro dei ghiacciai nell’era dei tempi che furono: «Qui li chiamano “truàmt”, i “trovanti” e il Bandana è un loro cacciatore».
L’escursione vede impegnati il Bandana che viaggia con passo spedito, «svelto come uno stambecco con il suo bastone» e Belpoliti un po’ in difficoltà ad arrancargli dietro «con due bastoncini d’alluminio, quelli del “nordic walking” da usare soprattutto in discesa «perché meglio non logorare le ginocchia vista la nostra età». All’amico olgiatese, lo scrittore aveva da tempo chiesto d’accompagnarlo finalmente a vedere le “pietre” quelle di cui il Bandana parlava in uno suo libretto recente: «Per quanto io sia di casa qui ormai, la mia richiesta di vederle non era mai stata soddisfatta. Ho pensato: qui io sono uno straniero, è per questo. Poi un giorno ha acconsentito».
E «adesso siamo arrivati alla prima delle pietre», una pietra posta in verticale coperta di muschio, picchiettata di coppelle. E poi, poco più sotto pietra forse sacrificale e infine, dopo aver percorso un sentiero «che non dico perché il Bandana mi ha fatto promettere di mantenere il segreto», ecco «la sua pietra più preziosa, la più enigmatica e suggestiva, quella che campeggia sulla copertina del suo opuscolo “La triplice cinta”. L’ha cercata per decenni, dice. Ne aveva sentito parlare dai vecchi del paese già da bambino. Dopo cinquant’anni l’ha trovata, ripulita e fotografata. L’ha battezzata con il suo nome: “La pietra Bandana”».
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“Nord Nord” più che un saggio è una sorta di album. O più precisamente un racconto, una chiacchierata con un amico innominato di cui sappiamo solo abitare molti mesi l’anno in qualche posto di montagna. A lui si rivolge l’autore discorrendo di amici comuni e inanellando riflessioni personali, considerazioni letterarie, note storiche, appunti naturalistici, a definire il “Nord” o, meglio, un “Nord” particolare, quello che Belpoliti vive e vede, un “Nord” personale che diventa misura complessiva. E allora Milano, la Brianza, Monza, Bergamo. Seguendo uno strano e misterioso itinerario intellettuale che parte dal Molgora (pardòn, dal Valle) per arrivare sorprendentemente alle sorgenti della Drava e quindi in Alto Adige. Che è già un altro Nord. Parlando di Gadda, Manzoni, Arbasino, di merluzzi e salamandre, di corvi e rondini, di Arlecchino e lanzichenecchi, di lombrichi e coccinelle. E di Brianza, interrogandosi su quei confini misteriosi come del resto tanti altri che in passato e ancora oggi scrivono di questa terra. Del resto, «i confini sono una cosa labile, elastica, arbitraria, battuta». E poi, Imbersago e il traghetto “leonardesco”, il campanone, la villa di Emilio Gola,le scorribande lussuriose di Stendhal a Oggiono, Campsirago e il monte San Genesio dove, secondo Giampaolo Dossena, la Brianza finirebbe. E, soprattutto, le pietre del Bandana.
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Giovanni Cogliati detto Bandana
Lui, il Bandana, compare fin dalle prime righe. Mentre accompagna Belpoliti in un’escursione sul San Genesio «dove tutto sembra remoto. Che dico? Remotissimo». E il Bandana stesso è «a suo modo in dinosauro».
Le pietre, dunque. Sono i massi erratici, quelli portati a valle e poi lasciate dal ritiro dei ghiacciai nell’era dei tempi che furono: «Qui li chiamano “truàmt”, i “trovanti” e il Bandana è un loro cacciatore».
L’escursione vede impegnati il Bandana che viaggia con passo spedito, «svelto come uno stambecco con il suo bastone» e Belpoliti un po’ in difficoltà ad arrancargli dietro «con due bastoncini d’alluminio, quelli del “nordic walking” da usare soprattutto in discesa «perché meglio non logorare le ginocchia vista la nostra età». All’amico olgiatese, lo scrittore aveva da tempo chiesto d’accompagnarlo finalmente a vedere le “pietre” quelle di cui il Bandana parlava in uno suo libretto recente: «Per quanto io sia di casa qui ormai, la mia richiesta di vederle non era mai stata soddisfatta. Ho pensato: qui io sono uno straniero, è per questo. Poi un giorno ha acconsentito».
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D.C.