Merate: migrazione e clima alla serata di Legambiente

Migrazioni e cambiamento climatico sono due temi di estrema attualità di cui spesso si parla, ma non sempre in correlazione tra loro. Il legame tra i fenomeni invece c’è e si sta facendo sempre più saldo ed evidente. 
Di questo si è parlato venerdì sera in sala civica a Merate, durante l’incontro organizzato dal circolo locale di Legambiente e che ha visto come ospiti la dottoressa in Scienze Umane per l’Ambiente Agnese Brigatti, la giornalista e saggista Anna Pozzi e l’operatore di accoglienza dell’associazione comunità Il Gabbiano di Colico, Michele Canali. 
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L’uomo, come gli animali e persino le piante, migra da sempre. Sin da 60/70mila anni fa, quando ha lasciato l’Africa e lentamente si è spostato in Asia e Europa. L’ha ricordato subito la dottoressa Brigatti per introdurre il tema della serata. “Dal 1.500 con la scoperta dell’America, il commercio e la tratta degli schiavi tutto si è intensificato e ancor più nel Settecento e Ottocento” ha spiegato, accennando alla formazione di stati nazione nel Novecento, al concetto di ‘confini’ e alla nascita della figura di ‘rifugiato’, avvenuta dopo la Seconda Guerra Mondiale per indicare quella persona che, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese.
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Michele Canali e Angese Brigatti
Se una persona migra all’interno del proprio paese non risulta invece essere un rifugiato, legalmente parlando. Si tratta però di un fenomeno estremamente in crescita. Basti pensare alle persone colpite dall’alluvione in Emilia Romagna lo scorso anno, che hanno dovuto lasciare la propria abitazione rimanendo comunque nei confini. “Nel 2023 le persone sfollate all’interno del proprio paese sono state 77 milioni”. Molto spesso il motivo che induce a partire sono i conflitti, ma ancor più i disastri climatici. Non solo alluvioni, cicloni e altre calamità, ma anche il calo della bio diversità e altri fenomeni che possono portare a una diminuzione delle produzioni di cibo, con conseguente instabilità. “Non esiste una chiara definizione di rifugiato ambientale” ha spiegato Agnese Brigatti, sottolineando che la sfida di un futuro non troppo lontano starà proprio in questo: riconoscere a livello legale lo status di una persona costretta a lasciare il proprio paese per motivi legati anche al clima. “Anche” perché studi accademici e organizzazioni internazionali concordano nell’affermare che la migrazione non ha mai una sola causa. 
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In azzurro i nuclei di almeno 1.000 persone migrate per disastri climatici da agosto 2024 a febbraio 2025, in arancione i nuclei migrati per conflitti 
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Un nitido esempio di luogo in cui avvengono frequenti migrazioni interne a causa del cambiamento climatico, conflitti e instabilità generale è la cosiddetta fascia del Sahel, area africana appena sotto il deserto del Sahara che comprende diversi stati dalla Mauritania al Sudan. A spiegare cosa accade ormai da tempo in questo territorio è stata la giornalista Anna Pozzi, che da anni segue la questione africana e ha compiuto numerosissimi viaggi. 
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Anna Pozzi

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“È una zona fortemente toccata dal cambiamento climatico, colpita anche da instabilità politica e attacchi di gruppi di stampo jihadisti”. Per la giornalista si tratta di terre meravigliose popolate da gente molto pacifica, ma oggi impraticabili. Il numero di profughi e sfollati è altissimo, soprattutto in Sudan, dove sono stati costretti a fuggire circa 12 milioni di abitanti. Non è migliore la situazione in Ciad, dove, a causa della desertificazione attorno all’omonimo lago negli anni sono stati costretti a sfollare due milioni di persone. “Anche i fenomeni climatici estremi sono diventati frequenti e in tutto questo c’è chi si approfitta per trafficare persone, droga, tabacco e armi” ha detto, ricordando anche il rapimento di Padre Pierluigi Maccalli nel 2018.
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Guardando al futuro, Pozzi ha parlato delle sfide che andranno affrontate. In primis l’educazione dei tanti bambini che in Africa non hanno accesso all’istruzione. C’è poi un tema di prevenzione e di Diritti, oltre che di solidarietà, elemento che spesso viene disatteso. “Dal 2017 è stato stanziato solo il 54% di fondi richiesti per affrontare le emergenze, mentre il costo dell'impatto di eventi metereologici estremi si è impennato. Solo nel 2021 è stato stimato in 329 miliardi di dollari. Cioè il doppio di quanto versato in aiuti ‘verdi’. L’impegno collettivo delle nazioni più ricche a mobilitare almeno 100 miliardi di dollari l'anno dal 2020 non si è ancora concretizzato”. Nel proprio piccolo, infine, è fondamentale non sottrarsi alla consapevolezza e la conoscenza di questa tragica situazione.
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La parola è passata a Michele Canali, informatore legale dell’associazione Il Gabbiano di Colico, che da decenni si occupa di accoglienza nella provincia di Lecco e Sondrio. “Spesso si parla di migrazione in modo troppo semplificato, come se fosse un tema a cui essere a favore o contrari” ha detto, partendo dalle definizioni di profughi, migranti, richiedenti asilo e rifugiati, termini ben diversi tra loro. L’informatore legale ha voluto fare chiarezza anche sulle tipologie di centri accoglienza presenti in Italia: CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) e i SAI (Sistema Accoglienza Integrazione). Ad oggi in provincia di Lecco si contano 150 ospiti nei centri SAI e 640 nei CAS. “Non stiamo certo parlando di un’ invasione, anche perché molte persone sono solo in transito” ha proseguito, spiegando anche che la Lombardia è la regione che accoglie di più in Italia. 
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Michele Canali
Le persone di cui parla sono migranti ‘irregolari’, ma questo perché tante volte sono sprovviste di passaporto o quello di cui dispongono non consente di accedere in determinati stati. La maggior parte dei migranti nell’ultimo periodo sono originari del Bangladesh, uno stato con superficie grande la metà dell’Italia, ma con il triplo di abitanti, e anch’esso afflitto da crisi climatica. “Lì ci sono delle vere e proprie ‘agenzie’ che organizzano la migrazione. In base alla possibilità economica della persone, organizzano la migrazione in altri paesi che possono andare da Dubai alla Libia”. Dalla Libia capita frequentemente che migranti del Bangladesh approdino poi in Italia via mare. 
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Canali, che di professione supporta i richiedenti asilo nelle pratiche da presentare alla Commissione che valuta la sussistenza del ‘fattore’ da cui la persona si è allontanata, ha portato la testimonianza di un ragazzo fuggito dal Bangladesh poiché rimasto senza nulla a causa di un fenomeno climatico. “Coltivava canna da zucchero, ma poi il fiume ha sommerso la sua terra”. 
L’informatore legale ha ribadito che ad oggi non esiste lo status di rifugiato per cause legate al cambiamento climatico, ma di sono le eccezioni di due sentenze del Tribunale di Firenze. Al momento gli unici modi con cui vengono protetti i migranti per cause ambientali sono la protezione sussidiaria (ossia il rischio di subire un grave danno, trattamenti inumani o violenza indiscriminata); la protezione speciale (ex umanitaria) per gravi forme di vulnerabilità; oppure il Permesso di Soggiorno per calamità (art. 20-bis T.U.I.) che però non è convertibile per motivi lavorativi.
La serata è stata piuttosto apprezzata dal pubblico che, nonostante San Valentino e il festival di Sanremo, ha scelto di approfondire un tema di cui si parlerà sempre più. Legambiente ha ringraziato il Comune di Merate per il patrocinio e l’ospitalità
E.Ma.
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