La transizione ha il colore del sangue dei Congolesi

Nella Repubblica Democratica del Congo si combatte una guerra terribile che dura da tempo, che tutti fanno finta di non vedere e che da anni devasta il Nord e il Sud Kivu, un territorio ricchissimo di risorse minerarie, tra le principali: oro, litio, coltan e cobalto. In queste miniere a cielo aperto migliaia di bambini vengono sfruttati per l’estrazione di questi minerali.

Nell’ultima settimana di gennaio la crisi che da decenni insanguina l’est del Paese si è aggravata con l’avanzata delle milizie dell’M23, un gruppo ribelle sostenuto dal Ruanda, che ha assunto il controllo di Goma (2 milioni di abitanti e un campo profughi di 1 milione di disperati) mentre il mondo, distratto, lascia fare.

Le milizie filogovernative Wazalendo, deputate a difendere la popolazione, saccheggiano le case e abusano delle donne; migliaia di persone sono state uccise, centinaia di migliaia sono fuggite e hanno dovuto abbandonare le loro residenze mentre L’M23 sta avanzando verso Bukavu coi suoi 2 milioni di abitanti.

Dietro questo conflitto si cela una battaglia geopolitica con interessi internazionali legati alle immense risorse minerarie della RDC e ai giochi di potere tra potenze globali e chi ne fa le spese è la popolazione stremata del Congo da sempre in miseria pur vivendo in una gioielleria a cielo aperto volutamente sguarnita di guardie (così l’ha definita Denis Mukwege - Premio Nobel per la pace 2018).

I mezzi di informazione ne hanno parlato e ne parlano poco perché c’è altro a cui pensare, il circo mediatico deve continuare a sfornare novità e poco importa se il sangue scorre da quelle parti, in fondo non è il nostro anche se sono nostri i dispositivi che utilizziamo ogni giorno grazie ai minerali del Congo.
A. Colombo
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