Church pocket/46.Fermato per eccesso di zelo: la conversione di San Paolo Apostolo

La celebrazione del Giubileo rappresenta da sempre un tempo privilegiato di grazia, perdono e rinnovamento spirituale. Ogni Giubileo è come un cantiere straordinario della nostra anima per le nostre relazioni: con noi stessi, con Dio e con la nostra comunità. Il cartello di questi lavori dice chiaramente: “Scusate il disagio, lavori in corso per miglioramento spirituale”. In questo tempo straordinario, la preghiera, i sacramenti e le opere di carità sono operai della Grazia Divina che lavorano senza sosta per riparare le crepe dell'indifferenza, riverniciare le pareti della speranza e installare nuove finestre di relazione divina e con i fratelli e le sorelle. Un progetto ambizioso, ma il Divino Architetto è un tecnico molto esigente. Questo cammino trova un'icona di straordinaria particolarità: San Paolo, l'apostolo delle genti, la cui conversione, celebrata il 25 gennaio, è uno dei momenti più potenti della storia cristiana.
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La storia della conversione di San Paolo è narrata negli Atti degli Apostoli da San Luca in Atti 9,1-22 e da Paolo stesso, in prima persona, in Atti 22. Paolo, inizialmente persecutore dei cristiani, viene folgorato dalla luce di Cristo sulla via di Damasco. Questo incontro non è solo un cambiamento di mentalità, ma una vera e propria rivoluzione interiore. È comunemente chiamata “conversione” ma potremmo dire, osando, che siamo dinanzi a una vera e propria “vocazione”: da persecutore a predicatore, da nemico della Croce a instancabile annunciatore del Vangelo.

Il testo di Atti 9,1-22 può essere suddiviso in quattro momenti chiave. 

L'incontro con Cristo (At 9,3-6): Paolo, ancora chiamato Saulo, è in viaggio verso Damasco dove vuole giustiziare una comunità cristiana. Una luce dal cielo lo avvolge, lo acceca e una voce, chiamandolo per nome, gli dice: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?". Questo momento ci mostra l'unione mistica tra Cristo e la Chiesa: perseguitare i cristiani significa tornare a crocifiggere Cristo stesso. 

La cecità (At 9,8-9): Saulo perde la vista, metafora di una cecità spirituale, e viene portato a Damasco, dove rimane cieco per tre giorni. Questo periodo, anch’esso simbolico, allegoricamente simile ai tre giorni di passione di Cristo.

L'intervento di Anania (At 9,10-19): Dio chiama Anania, un discepolo di Gesù, capo della comunità di Damasco, per andare da Saulo e imporgli le mani affinché riacquisti la vista. Nonostante le sue resistenze iniziali, Anania obbedisce alla voce del Signore e Paolo recupera la vista. Questo gesto simboleggia la guarigione spirituale di Paolo e, insieme al battesimo, il suo ingresso nella comunità cristiana.

La missione di Paolo (At 9,20-22): Dopo il battesimo, Paolo inizia immediatamente a predicare che Gesù è il Figlio di Dio. La sua predicazione suscita stupore e scandalo, poiché chi prima perseguitava ora annuncia con fervore il Vangelo.
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Il Giubileo è un tempo per fermarsi, riflettere e aprirsi alla misericordia di Dio. È l'occasione per un esame sincero della nostra vita spirituale, per riconoscere e affrontare i nostri punti di debolezza spirituale e per ricevere riconciliarci con Dio. Paolo ci ricorda che nessuno è escluso dalla misericordia divina e che la conversione è possibile per tutti, indipendentemente dal passato. Come Paolo ha saputo rialzarsi e trasformare la propria vita in una testimonianza di amore, anche noi siamo invitati a fare della nostra esistenza un annuncio vivente della grazia di Dio. Paolo ci insegna che la conversione non è un evento isolato, ma un cammino quotidiano. La sua vita è stata un continuo conformarsi a Cristo, un costante “correre verso la meta” (Fil 3,14). Nel Giubileo, possiamo fare lo stesso: non fermarci davanti alle difficoltà, ma proseguire con fede, speranza e carità.

Che questo tempo giubilare sia per ciascuno di noi un'occasione per riscoprire il fuoco della fede, per lasciarci trasformare dall'incontro con Cristo, e per diventare autentici testimoni del suo amore: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Rubrica a cura di Pietro Santoro
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