Latino alle medie, poesie a memoria, grammatica. Un passo avanti o due indietro?
Sta naturalmente facendo molto discutere – purtroppo ne discute più volentieri chi non ne ha titolo, ma si sa, in Italia siamo tutti esperti dell’argomento del momento – la notizia della revisione delle Indicazioni Nazionali per il curricolo del Primo ciclo di istruzione da parte del ministro Valditara. Quelle che tutti chiamano “programmi”, che a scuola non esistono più dai tempi che Berta filava.
Trovo che fosse ora, e anzi tardi. Le Indicazioni attualmente in vigore sono datate 2012, riviste nel 2018 e in un mondo come il nostro, dai cambiamenti sociali repentini e imprevedibili, la scuola ha il dovere non di rimanere al passo, ma di anticipare i tempi.
Si dirà che in questi anni ciò è stato fatto, e in parte è vero. Ma è stato fatto in risposta a sollecitazioni esterne: la didattica alternativa e “smart” non avrebbe mai avuto lo sviluppo che oggi le si riconosce se non fosse accaduto il Covid-19; l’implementazione delle strumentazioni digitali è conseguenza dello tsunami di soldi arrivati dal PNRR, così come la sbornia di corsi totalmente inutili (il mentoring, il tutoring, e altre scemenze che finiscono in -ing) buoni a rimpinguare i portafogli dei docenti e disperdere denaro pubblico in mille rivoli.
Trovo che fosse ora, e anzi tardi. Le Indicazioni attualmente in vigore sono datate 2012, riviste nel 2018 e in un mondo come il nostro, dai cambiamenti sociali repentini e imprevedibili, la scuola ha il dovere non di rimanere al passo, ma di anticipare i tempi.
Si dirà che in questi anni ciò è stato fatto, e in parte è vero. Ma è stato fatto in risposta a sollecitazioni esterne: la didattica alternativa e “smart” non avrebbe mai avuto lo sviluppo che oggi le si riconosce se non fosse accaduto il Covid-19; l’implementazione delle strumentazioni digitali è conseguenza dello tsunami di soldi arrivati dal PNRR, così come la sbornia di corsi totalmente inutili (il mentoring, il tutoring, e altre scemenze che finiscono in -ing) buoni a rimpinguare i portafogli dei docenti e disperdere denaro pubblico in mille rivoli.
Tra i dettagli che più fanno titolo c’è la reintroduzione del latino alle medie - facoltativo a partire dalla seconda - l’indicazione per una didattica della storia più italocentrica, la menzione della Bibbia come testo meritevole di lettura e analisi insieme con le mitologie nordiche e la saga di Percy Jackson, e vabbè. E lo studio delle poesie a memoria.
Grazie al cielo si ritorna a indicare il latino come struttura fondativa della lingua e del pensiero: ottimo. Sono più perplesso sulle ragioni espresse dal ministro a favore dello studio della grammatica, laddove pare sostenere che essa insegni il sacro rispetto delle regole. Qui qualsiasi linguista gli spiegherebbe che il concetto di grammatica normativa è invecchiato malissimo. Leggesse qualche studio del suo ultimo illustre predecessore – taccio sui ministri dell’Istruzione venuti dopo -, Tullio de Mauro, sul valore della lingua d’uso.
Sono persino d’accordo sull’utilizzo della Bibbia per quello che – scolasticamente – è: un bellissimo testo di mitologia ed epica classica. Molto più poetica la Genesi rispetto al poema di Gilgamesh, molto più avventuroso il libro dei Re rispetto all’”Iliade”. O il secondo libro dei Maccabei che è una delle fonti dei “Promessi sposi” (fate le pulci ad ogni virgola del mio editoriale ma credetemi su questo). Più carico di sensualità il Cantico dei Cantici rispetto alle poesie di Catullo, o di Neruda, più kafkiano il Vangelo di Giovanni che “Il processo” di Kafka.
Sono d’accordissimo con lo studio delle poesie a memoria. Nonostante conosca benissimo la realtà delle scuole italiane: prendete una classe a caso di un paese a caso, anche nella agiatissima provincia, e troverete almeno cinque (sono ottimista) alunni per classe a cui è stato diagnosticato un disturbo specifico dell’apprendimento con compromissione della lettoscrittura e “dispensa dallo studio mnemonico”, così scrivono i certificatori sui fogli che poi arrivano ai consigli di classe. Prendete una chat di classe a caso e troverete almeno quindici (sono realista) mamme che si lamentano della prof che ha costretto i figli a imparare a memoria “Il Cinque maggio”.
Ogni tentativo di “riforma” si scontra con l’idealità e la realtà, e diventa un accettabile compromesso. La parola stessa, “ri-forma” rivela l’intenzione di ridare la forma originaria a qualcosa che è stato storpiato dal tempo. Nel 2025 occorrerebbe riuscire a fare una “pre-forma”, ad anticipare i tempi, a preparare oggi i nostri figli per il mondo di un domani che non sapremo come sarà, in un mondo che corre così tanto in fretta.
Con alberi esposti a venti così repentini di cambiamento, come sono i nostri ragazzi, nel dubbio, meglio consolidare le radici che abbellire la chioma.
Pare una riforma retriva, quella proposta dall’attuale ministro Valditara – il quale, in effetti, non brilla per curriculum, pubblicazioni, competenze e credibilità personale – e offre facilmente il destro a dileggi: “Dio, Patria e famiglia”, “Dalle LIM all’olio di ricino”, “Il prossimo passo è il passo dell’oca” e se avete fantasia aggiungetene voi.
Su tanti aspetti, però, è necessaria una riflessione apolitica, meno parziale, più competente. E si vedrà che non tutto è sbagliato.
Stefano Motta