"Rapsodia Manzoniana" su Rai3: tutti i luoghi lecchesi ma Merate è dimenticata, citata solo come a scuola dai preti

Nonostante l’ora tarda in cui la trasmissione sarebbe andata in onda – perché queste cose belle vengono programmate sempre così tardi? – ieri sera ci siamo messi davanti alla televisione, sintonizzati su Rai3 per assistere alla prima visione del lavoro di alcuni amici.
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Il docufilm “Rapsodia manzoniana” è nato, infatti, dall’idea di mons. Davide Milani, fino a pochi mesi fa prevosto di Lecco, e racconta – lo rivela il titolo stesso – la vita e l’opera di Alessandro Manzoni. Lo fa da una prospettiva inusuale, mettendo in scena una compagnia teatrale di giovani attori che cercano di “entrare nei personaggi” loro assegnati per allestire una rappresentazione, e ponendosi le domande che non solo da attori, ma da uomini e donne, è inevitabile porsi di fronte alle grandi questioni suscitate dai “Promessi sposi”: l’amore, la giustizia, la politica, la lingua, la conversione, la libertà dell’individuo, il diritto di ciascuno di seguire la propria strada…
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La prospettiva è pirandelliana, come una sorta di “Sei personaggi in cerca d’autore”, il linguaggio visivo ci è parso elegantissimo – la fotografia e il montaggio sono di estrema finezza -, l’ambientazione naturalmente nostrana. Lo diciamo in senso affettivo, non rurale.

I luoghi di Manzoni sono i “nostri” luoghi: Milano ma soprattutto Lecco, Somasca, persino Galbiate (va dato grandissimo merito agli sceneggiatori di aver valorizzato Cascina Costa, dove Manzoni venne messo a balia da piccolo!). E Merate?
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Ci si perdoni un po’ di campanilismo, ma avremmo tanto desiderato che anche la nostra città avesse un posto. Non vogliamo ripercorrere la polemica lamentosa che ai tempi della puntata di Alberto Angela su Manzoni si innescò nel lecchese a proposito di una sottovalutazione dei nostri luoghi. Questa “Rapsodia manzoniana”, prodotta da Rampello & partners e Rai Documentari, è un lavoro assolutamente meritorio.
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Ci siamo rimasti male quando il passaggio dell’infanzia di Manzoni che si è svolta presso la nostra città è stato raccontato così: “A sei anni fu messo a scuola dai preti”.  Questa scuola, il collegio dei padri somaschi, esiste ancora, porta il nome di “Collegio Manzoni” ed è la scuola di Merate e dei meratesi.
Non è un demerito di chi ha realizzato il docufilm non averlo menzionato per esteso: è un demerito della nostra città non riuscire a valorizzarne davvero il significato e l’importanza.

Ci aveva provato la mai troppo sufficientemente compianta e rimpianta Giusi Spezzaferri, con il “Maggio manzoniano” diretto da Stefano Motta, che ieri è intervenuto con due contributi nel docufilm – ecco l’altro amico per il quale eravamo davanti alla Tv! -, e poi più nulla. Le assessore alla Cultura che finora si sono succedute sono state in tutt’altre faccende affaccendate e pare non abbiano – finora? – afferrato l’importanza di rivestire questo ruolo nella città dove Manzoni ha imparato a leggere, scrivere, raccontare. Se Galbiate è stata la culla nutritiva del lattante Lisandrino, Merate è stata la culla culturale del ragazzino che sarebbe poi diventato il grande Manzoni.
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Trasmissioni come quella di ieri – lo ripetiamo: molto stimolante, da far vedere nelle scuole (è ora disponibile sulla piattaforma di Raiplay QUI – non possono non interrogarci su cosa stiamo facendo per non consumare questa memoria, non possono non costituire un pungolo per la giovane amministrazione da poco insediatasi.

Per Merate non si tratta solo di un’opportunità culturale, commerciale, turistica, mediatica: si tratta di un dovere morale. Siamo la città dove Manzoni ha iniziato le scuole, dove ha coltivato le prime amicizie, la città i cui figli studiano nei corridoi dove ha camminato lui.

Cosa faremo perché i semi di questa memoria rimangano fecondi? Che programmi hanno il sindaco e la sua assessora alla Cultura per far sì che il binomio Manzoni-Merate non sia solo una notizia della biografia manzoniana su wikipedia ma diventi (torni ad essere) un’occasione bella per la nostra città?
C.B.
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