Merate: colmare il divario tra i cittadini e la vigilanza urbana

La ficcante ma garbata nota del lettore che si firma “L’Osservatore Ironico” spalanca una riflessione le cui conclusioni possono ribaltare l’attuale paradigma che vede – o si vuole far vedere – un rapporto di superiorità tra l’uomo con la divisa e l’uomo senza divisa. Lo stare fermi in macchina da parte degli agenti della locale, segna plasticamente il distacco con l’esterno. Una non volontà di contaminazione con le persone che percorrono il centro, salgono da via Manzoni, si fermano davanti alle vetrine.
Tutto l’opposto del comportamento che si chiede a un vigile urbano, per quanto oggi la narrazione dominante – dall’interno – lo definisce agente di polizia locale. Vigile, cioè colui che vigilia, che segue quanto avviene, e quanto può avvenire, con attenzione particolarmente desta e pronta. Ma se ci fosse in corso un’altra rapina a mano armata in via Manzoni è improbabile che possa essere sventata dagli uomini a bordo.
E questa riflessione ci permette di compiere un balzo nel tempo per ricordare come funzionava il sistema fino a una quindicina d’anni fa. Negli anni settanta e ottanta c’erano tre agenti – i meratesi più avanti con gli anni li ricorderanno: Coscia, il comandante, Gritti e Cameroni. Il primo era costantemente in piazza con la sua Alfa nera, gli altri due giravano per la città a piedi o in moto. Tutti li conoscevano e loro tutti conoscevano.
Poi è arrivata l’era di Donato Alfiniti diventato in breve uno dei personaggi più popolari della città. Girava per strada, entrava nei negozi, aveva istituito il vigile di frazione e gli agenti dovevano essere fisicamente per strada. Creando così un rapporto di reciproca collaborazione tra cittadino e vigile. Non sono mancate le critiche, ovviamente, ma la distanza tra l’uomo in divisa e l’uomo senza divisa si era accorciato molto. Entrando e uscendo dai negozi gli agenti raccoglievano una gran quantità di informazioni utili nell’esercizio quotidiano.
Era pure un piacere incontrare nel periodo natalizio l’allora capitano dei carabinieri Giorgio Santacroce (oggi colonnello) assieme al luogotenente Edonio Pecoraro mentre passeggiando per il centro porgevano auguri di buone feste, ponendo ai commercianti la confortante domanda: tutto bene?
O l’allora capitano dei carabinieri Alessandro Ciuffolini (ora colonnello) che aveva ideato la “Vetrina dell’Arma” nel bellissimo locale “Swarovski” (e aveva pure debellato il caos prodotto da un locale in centro restituendo la pace ai residenti).
Oggi il paradigma è rovesciato: gli agenti sono visibili solo attraversano i vetri delle auto di servizio o, al più, quando controllano le macchine in sosta. Il vigile di frazione è scomparso e anche quello di quartiere. Manca la rassicurante presenza degli agenti a piedi che familiarizzano con le persone, con gli operatori commerciali, che si premurano di chiedere: tutto bene?
Si è creato un fosso tra il corpo di polizia municipale e la cittadinanza. E, in genere, il fossato, dividendo per definizione, favorisce l’ostilità.
Occorre tornare al passato, recuperare il rapporto di alleanza. Conoscere i nomi degli agenti, salutarli per strada, scambiare curiosità e informazioni.
Ma per arrivare a ciò occorre partire dall’alto, dal comandante: temiamo che su venti cittadini, diciannove non sappiano nemmeno chi sia e mai l’hanno visto.
Un errore sia tattico che strategico, madornale. Al nuovo Sindaco il compito ingrato di porvi rimedio.
Claudio Brambilla
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