Church pocket/41. L’Avvento a quattro voci: la melodia dell’attesa – Compimento/4
Natale è l’appuntamento che aspettiamo tutto l’anno. È come il finale di una serie amatissima: ci tiene in sospeso, ma quando arriva, tutto si chiarisce e ci lascia a bocca aperta. E il Natale non è solo luci, regali e profumo di dolci: è il compimento di una promessa. È il momento in cui Dio dice all’umanità: “Te l’avevo detto, e ora lo vedi con i tuoi occhi. “La promessa di Dio parte da lontano, dalla prima pagina della Bibbia, dove già si intravede un piano per salvare l’umanità. Passa attraverso i patriarchi, i profeti e le loro parole cariche di speranza. Il profeta Isaia annuncia:
“Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che sarà chiamato Emmanuele, Dio con noi” (Is 7,14). E poi arriva il momento. Un bambino nasce in una stalla, in una notte apparentemente come tutte le altre, e il cielo si riempie di canti di angeli. Con Gesù, il Natale non è solo l'inizio di una nuova vita: è l'inizio di una nuova Alleanza, un legame indissolubile tra Dio e l'umanità. In questa storia straordinaria, c’è una figura spesso messa in secondo piano, ma che è essenziale per il compimento della promessa: Giuseppe. Un uomo giusto, che sogna una vita semplice con Maria, in una piccola città della provincia, e si ritrova a fare da padre al Figlio di Dio. Non ci sono discorsi epici o gesta eroiche da parte sua: Giuseppe è l’uomo della discrezione che accetta con coraggio e fede un progetto che non ha del tutto compreso. È lui che, dopo aver ricevuto un messaggio in sogno, accetta una missione impossibile: proteggere e crescere il Salvatore del mondo. È lui che guida Maria a Betlemme e che, in silenzio, cerca un riparo per il parto. E ancora lui che, con la stessa fedeltà, porterà la sua famiglia in Egitto per salvarla dalla strage di Erode. Giuseppe ci insegna che, a volte, essere parte del compimento di una promessa divina non significa fare cose straordinarie, ma semplicemente dire “Sì” con fede e amore. La nascita di Gesù non è solo un evento storico; è un fatto che continua a compiersi ogni giorno. Quel Dio con noi nella mangiatoia non porta solo gioia per una notte, ma inaugura un cambiamento: un Dio non lontano, che vive con noi e in noi. Ma ogni volta che seguiamo un telegiornale, il dolore sembra urlarci contro. Le guerre lacerano popoli e famiglie, la terra sembra stanca, ferita dalla nostra stessa mano. E allora sorge la domanda più difficile: dov’è Dio? Come si fa a credere in un “Dio con noi” davanti a un mondo che sembra abbandonato a sé stesso? È una domanda che brucia, che lacera, soprattutto se ce la facciamo davanti a quel bambino indifeso che piange tra la paglia. La guerra è il fallimento di ciò che ci rende umani: la capacità di amare, di dialogare, di costruire ponti. Se Dio è con noi, non è come un burattinaio che tira le fila delle nostre azioni, ma è come un compagno che ha scelto di rispettare la nostra libertà fino alle estreme conseguenze. Un Dio che si fa vulnerabile alle nostre decisioni, anche alle più atroci. Non c’è risposta facile, e chi ne offre una probabilmente non ha mai visto in faccia il dolore. Credere in un Dio con noi non è un rifugio, non è una favola per chiudere gli occhi nella notte dell’umanità. È una sfida. Ed è anche uno scandalo. Cosa può fare un bambino contro l’orrore del mondo? Nulla, verrebbe da dire. Eppure, quel bambino è la risposta: Dio non impone la sua presenza, la offre. Non scavalca la nostra libertà, la rispetta. Non elimina il male con un colpo di spugna, ma entra nella storia e la trasforma dall’interno, un cuore alla volta. Forse la vera domanda non è “Dov’è Dio?”, ma “Dov’è l’uomo?”. Perché se il mondo sembra abbandonato a sé stesso, non è Dio ad averlo lasciato. Siamo noi che abbiamo voltato le spalle, troppo impegnati a inseguire potere, ricchezze e vendette. Dio non è assente: è presente là dove l’amore si ostina a resistere. È nei volontari che portano cibo sotto le bombe, nei medici che curano senza chiedere chi hai votato o in cosa credi.
Ci viene in aiuto un personaggio che ha vissuto gli orrori della guerra in prima persona Edith Stein, nella fede Santa Teresa Benedetta della Croce, figura straordinaria che unisce filosofia, spiritualità e martirio. Filosofa brillante e una delle principali allieve di Edmund Husserl, nata ebrea si convertì al cristianesimo che entrò nel Carmelo. Fu deportata nel campo di concentramento di Auschwitz e uccisa il 9 agosto 1942 nelle camere a gas. Morì come vittima innocente, offrendo la sua vita con amore e in solidarietà con il suo popolo. Secondo la filosofa Stein l'essenza dell'umanità si trova nella relazione: con sé stessi, con gli altri e con Dio. Essendo una fenomenologa formata da Edmund Husserl, Stein esplora l'esperienza dell'altro come un punto centrale. La capacità di empatia è ciò che ci rende veramente umani. Attraverso l'empatia, riconosciamo l'altro come una persona, non come un oggetto, e costruiamo ponti di comprensione e solidarietà. L'empatia, però, non è solo un atto emotivo. È anche un'apertura alla verità dell'altro, un’esperienza che ci consente di scoprire la comune dignità e la dimensione trascendente che condividiamo. L’umanità, secondo Stein, non si esaurisce nel singolo individuo ma si realizza pienamente nel rapporto con l’altro. Il Natale, in questo senso, non è solo un evento da contemplare, ma una chiamata a imitare l’amore di Dio. Ogni cristiano è invitato a fare della propria vita un dono, di apertura all’altro, ad accogliere gli altri come Cristo è stato accolto dai pastori e dai Magi.
Questo Natale, auguro di non accontentarci delle luci che scintillano, dei regali che si scartano, e dei profumi, seppur buono, che avvolgono la casa. Auguro qualcosa di più. Auguro di guardare a quel Bambino non come ricordo ma una promessa che si rinnova oggi, in questo e in ogni istante. Auguro di guardare al mondo con occhi nuovi, non come spettatori passivi, ma come partecipanti di una storia che continua a scriversi. Auguro di credere che il Dio-con-noi non è un'idea lontana, ma una presenza che scende dove il cuore è disposto a resistere all'odio e alla “inumanità”. Auguro che, anche nei momenti di buio, possiate scorgere quella luce che non spegne il dolore, ma lo trasforma in speranza. Auguro di fare silenziosi passi di coraggio come quel povero Giuseppe, senza aspettarci applausi, ma con il cuore pieno di fede.
E a Te, Signore, che spero possa leggere queste mie parole – con un pizzico di presunzione - chiedo di non lasciarci in pace. Disturbaci, non con il tuono, ma con un sorriso che smuove le nostre comode certezze. Fai che nel nostro cuore ci sia ancora spazio. Che possa trovare posto quell’amore che spinge a fare la differenza. Fa che non ci abituiamo mai ai rumori della guerra, alle immagini del dolore che tutti i giorni guardiamo. E un po’ come Miss Italia, ti chiedo che quel Bambino fermi i rumori delle bombe e che suonino le zampogne, che tornino gli angeli a cantare la “Gloria”, che i mitra si trasformino in trombe, i carri armati in camioncini dei gelati.
Buon Natale, a chiunque legga queste righe, a chi ha tempo di sperare o anche solo la voglia di farlo. Che possa essere un Natale che ci sveglia, ci scuote e ci rende più umani. Con un po’ di ironia, ma anche tanta, tanta speranza. E se l’umanità si trova nella relazione, che questo Natale ci renda davvero umani, che le nostre tavole imbandite siano luoghi di incontro.
Amen, con il cuore colmo di gratitudine e un sorriso sulle labbra. Buon Natale!
Ci viene in aiuto un personaggio che ha vissuto gli orrori della guerra in prima persona Edith Stein, nella fede Santa Teresa Benedetta della Croce, figura straordinaria che unisce filosofia, spiritualità e martirio. Filosofa brillante e una delle principali allieve di Edmund Husserl, nata ebrea si convertì al cristianesimo che entrò nel Carmelo. Fu deportata nel campo di concentramento di Auschwitz e uccisa il 9 agosto 1942 nelle camere a gas. Morì come vittima innocente, offrendo la sua vita con amore e in solidarietà con il suo popolo. Secondo la filosofa Stein l'essenza dell'umanità si trova nella relazione: con sé stessi, con gli altri e con Dio. Essendo una fenomenologa formata da Edmund Husserl, Stein esplora l'esperienza dell'altro come un punto centrale. La capacità di empatia è ciò che ci rende veramente umani. Attraverso l'empatia, riconosciamo l'altro come una persona, non come un oggetto, e costruiamo ponti di comprensione e solidarietà. L'empatia, però, non è solo un atto emotivo. È anche un'apertura alla verità dell'altro, un’esperienza che ci consente di scoprire la comune dignità e la dimensione trascendente che condividiamo. L’umanità, secondo Stein, non si esaurisce nel singolo individuo ma si realizza pienamente nel rapporto con l’altro. Il Natale, in questo senso, non è solo un evento da contemplare, ma una chiamata a imitare l’amore di Dio. Ogni cristiano è invitato a fare della propria vita un dono, di apertura all’altro, ad accogliere gli altri come Cristo è stato accolto dai pastori e dai Magi.
Questo Natale, auguro di non accontentarci delle luci che scintillano, dei regali che si scartano, e dei profumi, seppur buono, che avvolgono la casa. Auguro qualcosa di più. Auguro di guardare a quel Bambino non come ricordo ma una promessa che si rinnova oggi, in questo e in ogni istante. Auguro di guardare al mondo con occhi nuovi, non come spettatori passivi, ma come partecipanti di una storia che continua a scriversi. Auguro di credere che il Dio-con-noi non è un'idea lontana, ma una presenza che scende dove il cuore è disposto a resistere all'odio e alla “inumanità”. Auguro che, anche nei momenti di buio, possiate scorgere quella luce che non spegne il dolore, ma lo trasforma in speranza. Auguro di fare silenziosi passi di coraggio come quel povero Giuseppe, senza aspettarci applausi, ma con il cuore pieno di fede.
E a Te, Signore, che spero possa leggere queste mie parole – con un pizzico di presunzione - chiedo di non lasciarci in pace. Disturbaci, non con il tuono, ma con un sorriso che smuove le nostre comode certezze. Fai che nel nostro cuore ci sia ancora spazio. Che possa trovare posto quell’amore che spinge a fare la differenza. Fa che non ci abituiamo mai ai rumori della guerra, alle immagini del dolore che tutti i giorni guardiamo. E un po’ come Miss Italia, ti chiedo che quel Bambino fermi i rumori delle bombe e che suonino le zampogne, che tornino gli angeli a cantare la “Gloria”, che i mitra si trasformino in trombe, i carri armati in camioncini dei gelati.
Buon Natale, a chiunque legga queste righe, a chi ha tempo di sperare o anche solo la voglia di farlo. Che possa essere un Natale che ci sveglia, ci scuote e ci rende più umani. Con un po’ di ironia, ma anche tanta, tanta speranza. E se l’umanità si trova nella relazione, che questo Natale ci renda davvero umani, che le nostre tavole imbandite siano luoghi di incontro.
Amen, con il cuore colmo di gratitudine e un sorriso sulle labbra. Buon Natale!
Pietro Santoro