Merate: storie di pace nello scenario israelo-palestinese
In un “derby tra fanatici”, in un clima di guerra che ha portato alla morte di 45.000 civili, come hanno potuto donne e uomini palestinesi e israeliani accendere la speranza di un presente e futuro diversi, rifiutando la violenza?
Nella serata di venerdì 13 dicembre le associazioni della Tavola per la pace del meratese hanno proposto un incontro con la giornalista di Mondo missione e di Asia news Chiara Zappa, che, con l'aiuto di Paolo Brivio, ha presentato il suo libro “Gli irriducibili della pace”, che raccoglie dieci storie di persone che mantengono equilibrio, lucidità e forza d'animo in un clima avvelenato. Partendo dalla condivisione dell'esperienza del dolore, che coinvolge entrambi i popoli, i protagonisti delle vicende indicano l'unica via percorribile e alternativa alla violenza: la via del riconoscimento, dell'ascolto e del dialogo.
In una storia da sempre segnata dalla violenza, questi individui fanno emergere la lingua nativa dell'umanità, l'unica avanguardia possibile, verso un futuro desiderabile per tutti, di speranza e benessere. Un'opera, quella di Zappa, nata a seguito del 7 ottobre del 2023, una data che ha segnato un deterioramento sempre crescente dello scenario tra i due popoli, per mettere in luce le risonanze interiori, gli smarrimenti e le fatiche, ma anche il coraggio delle comunità, senza concentrarsi sulle leadership politiche e il ruolo degli eserciti, come già fanno i telegiornali. Parlando con persone da entrambe le parti, alla giornalista sono apparsi chiari lampi di speranza, di vie diverse e alternative rispetto a quelle prese dalla maggioranza. Tra le voci di odio e intolleranza, in un clima polarizzato che non concede spazi di espressione, uomini e donne promuovono il dialogo e la pace rischiando di essere additati come traditori.
Un esempio è dato da un ex ufficiale dell'esercito israeliano, ora regista teatrale e insegnante all'università di Tel Aviv. Un uomo che per anni ha vissuto con una doppia identità: quella civile di padre affettuoso e quella militare di soldato spietato. Rendendosi conto che il popolo stava perdendo gli ideali dei primi sionisti, e notando alcune similitudini con gli avversari, l'israeliano ha iniziato un percorso di riumanizzazione dell'altro, mostrando i traumi di entrambe le parti. Sfruttando la sua passione, il regista inscena, attraverso una sorta di teatro dell'oppresso, la relazione tra i due popoli nei luoghi di occupazione.
Zappa ha poi raccontato la storia di due donne, la prima, un'israeliana traumatizzata e tradita dal proprio governo, la seconda, una palestinese convinta che per molti la pace tra i due popoli, significherebbe la normalizzazione delle pratiche contro i palestinesi. Due donne che, nonostante mille avversità, sono rimaste amiche, incontrandosi lungo il confine, condannando una violenza impostora che uccide senza fare distinzioni. Due donne che rappresentano la capacità femminile di mediazione, di un'energia messa a servizio di minoranze e deboli, che deriva dalla lotta portata avanti da decenni contro il patriarcato. Un attivismo femminile per unire le diverse istanze contro un governo criminale.
Diversa è la lotta pacifica di una famiglia di agricoltori, palestinese e protestante. Nel loro podere in campagna, accolgono rifugiati, bambini e giovani, per insegnare, con laboratori e attività, il valore del loro popolo, rifiutando di essere nemici, di essere vittime e di odiare. Una pratica chiamata del “Sumud”: una resistenza per porre margine alla violenza mantenendo la linearità della propria vita. Per questa famiglia questa concezione si è tradotta in un rifiuto di piegarsi alle minacce del governo di sottrazione delle terre e alle intimazioni di abbandono del territorio.
Un elogio alla moderazione contro gli estremismi speculari, promuovendo un atteggiamento etico e politico corretto, viene fatto da Mohamed, un professore palestinese che ha visto cancellata la sua carriera solamente per aver portato un gruppo di studenti a visitare Auschwitz. Un uomo nato da una famiglia estremista della Gerusalemme ovest, cresciuto con il mito di liberare la terra alla quale era stato sottratto. Solamente l'incontro con il popolo israeliano ha permesso all'insegnante di sfatare la sua visione e sottolineare l'importanza della conoscenza personale e collettiva dell'altro. Fondamentale è dare un nome alla sofferenza della controparte per uscire da un circolo vizioso di odio, che causa dolore e violenza.
La serata è terminata con una serie di interventi e riflessioni con il pubblico, cercando di mantenere l'attenzione sui segnali di speranza e non sulla distruzione e oppressione portate dal conflitto, tematiche già ampiamente discusse in altri incontri.
Nella serata di venerdì 13 dicembre le associazioni della Tavola per la pace del meratese hanno proposto un incontro con la giornalista di Mondo missione e di Asia news Chiara Zappa, che, con l'aiuto di Paolo Brivio, ha presentato il suo libro “Gli irriducibili della pace”, che raccoglie dieci storie di persone che mantengono equilibrio, lucidità e forza d'animo in un clima avvelenato. Partendo dalla condivisione dell'esperienza del dolore, che coinvolge entrambi i popoli, i protagonisti delle vicende indicano l'unica via percorribile e alternativa alla violenza: la via del riconoscimento, dell'ascolto e del dialogo.
In una storia da sempre segnata dalla violenza, questi individui fanno emergere la lingua nativa dell'umanità, l'unica avanguardia possibile, verso un futuro desiderabile per tutti, di speranza e benessere. Un'opera, quella di Zappa, nata a seguito del 7 ottobre del 2023, una data che ha segnato un deterioramento sempre crescente dello scenario tra i due popoli, per mettere in luce le risonanze interiori, gli smarrimenti e le fatiche, ma anche il coraggio delle comunità, senza concentrarsi sulle leadership politiche e il ruolo degli eserciti, come già fanno i telegiornali. Parlando con persone da entrambe le parti, alla giornalista sono apparsi chiari lampi di speranza, di vie diverse e alternative rispetto a quelle prese dalla maggioranza. Tra le voci di odio e intolleranza, in un clima polarizzato che non concede spazi di espressione, uomini e donne promuovono il dialogo e la pace rischiando di essere additati come traditori.
Un esempio è dato da un ex ufficiale dell'esercito israeliano, ora regista teatrale e insegnante all'università di Tel Aviv. Un uomo che per anni ha vissuto con una doppia identità: quella civile di padre affettuoso e quella militare di soldato spietato. Rendendosi conto che il popolo stava perdendo gli ideali dei primi sionisti, e notando alcune similitudini con gli avversari, l'israeliano ha iniziato un percorso di riumanizzazione dell'altro, mostrando i traumi di entrambe le parti. Sfruttando la sua passione, il regista inscena, attraverso una sorta di teatro dell'oppresso, la relazione tra i due popoli nei luoghi di occupazione.
Zappa ha poi raccontato la storia di due donne, la prima, un'israeliana traumatizzata e tradita dal proprio governo, la seconda, una palestinese convinta che per molti la pace tra i due popoli, significherebbe la normalizzazione delle pratiche contro i palestinesi. Due donne che, nonostante mille avversità, sono rimaste amiche, incontrandosi lungo il confine, condannando una violenza impostora che uccide senza fare distinzioni. Due donne che rappresentano la capacità femminile di mediazione, di un'energia messa a servizio di minoranze e deboli, che deriva dalla lotta portata avanti da decenni contro il patriarcato. Un attivismo femminile per unire le diverse istanze contro un governo criminale.
Diversa è la lotta pacifica di una famiglia di agricoltori, palestinese e protestante. Nel loro podere in campagna, accolgono rifugiati, bambini e giovani, per insegnare, con laboratori e attività, il valore del loro popolo, rifiutando di essere nemici, di essere vittime e di odiare. Una pratica chiamata del “Sumud”: una resistenza per porre margine alla violenza mantenendo la linearità della propria vita. Per questa famiglia questa concezione si è tradotta in un rifiuto di piegarsi alle minacce del governo di sottrazione delle terre e alle intimazioni di abbandono del territorio.
Un elogio alla moderazione contro gli estremismi speculari, promuovendo un atteggiamento etico e politico corretto, viene fatto da Mohamed, un professore palestinese che ha visto cancellata la sua carriera solamente per aver portato un gruppo di studenti a visitare Auschwitz. Un uomo nato da una famiglia estremista della Gerusalemme ovest, cresciuto con il mito di liberare la terra alla quale era stato sottratto. Solamente l'incontro con il popolo israeliano ha permesso all'insegnante di sfatare la sua visione e sottolineare l'importanza della conoscenza personale e collettiva dell'altro. Fondamentale è dare un nome alla sofferenza della controparte per uscire da un circolo vizioso di odio, che causa dolore e violenza.
La serata è terminata con una serie di interventi e riflessioni con il pubblico, cercando di mantenere l'attenzione sui segnali di speranza e non sulla distruzione e oppressione portate dal conflitto, tematiche già ampiamente discusse in altri incontri.
I.Bi.