Calco: la storia di Michele Chiodo, deportato nei lager e decorato con una medaglia
Di quegli anni trascorsi nel campo di concentramento in Germania, vittima delle atrocità naziste, Michele Chiodo era solito raccontare ben poco, quasi nulla. A chi gli chiedeva qualcosa di quel periodo rispondeva “Camminavo perchè le ossa mi tenevano in piedi” ed erano sufficienti i suoi occhi che si velavano di tristezza e dolore per far comprendere che la sua mente e il suo cuore non volevano più rivivere il passato. Una parentesi terribile e chiusa per sempre.A onorare il sacrificio del giovane che "deportato in Germania durante il periodo di internamento non ha fatto parte delle forze armate fasciste o tedesche o del servizio del lavoro", diventò un nemico del regime e fu punito con la prigionia e le peggiori angherie, ci hanno pensato i famigliari.
Aderendo alla possibilità offerta dallo Stato italiano di insignire con una medaglia alla memoria militari e civili deportati e internati nei lager nazisti, i sei figli, in particolare Giuseppe, unitamente al cugino Giuseppe, presidente dell'ANPI di Minervino Murge, hanno raccolto tutta la documentazione, attraverso anche gli archivi di guerra, e l'hanno poi consegnata in Prefettura. L'iter avviato si è concluso nei giorni scorsi con la cerimonia che si è svolta a Oggiono con il ritiro della medaglia. Un momento molto emozionante e sentito, cui ha preso parte il figlio Giuseppe con la moglie, alla presenza del prefetto sua eccellenza Sergio Pomponio.
Michele Chiodo era nato a Minervino Murge il 7 maggio 1921. Bracciante agricolo, non si era piegato a servire "l'invasore nazista e la repubblica sociale italiana fascista durante la resistenza" e per questo finì deportato dal 1943 al 1945 nei lager tedeschi. Qui patì il freddo, la fame, la violenza ma riuscì a tornare vivo a casa. Ci volle un mese per raggiungere nuovamente la sua Puglia.
Riprese a lavorare nei campi fino a quando una nevicata mise in ginocchio l'agricoltura, con l'intero raccolto andato distrutto e nessuna possibilità di sostentamento. Era così emigrato al nord negli anni Sessanta con la sua famiglia che nel frattempo stava crescendo.
Stabilitosi a Olgiate, aveva trovato lavoro come operaio alla Simmenthal di Monza che raggiungeva in treno partendo alle 4 e tornando con l'ultima corsa della notte.Una vita fatta di sacrifici e dedizione alla famiglia, fino all'arrivo della pensione che gli consentì di dedicarsi a una sua passione, tornando un po' alle origini: la coltivazione del suo orto di cui andava tanto orgoglioso.
Persona schiva e silenziosa, dedita al fare più che alle parole, raccontava poco della sua prigionia, proprio a voler dimenticare quegli anni tanto che nei luoghi della sua deportazione non aveva mai voluto tornare.
Morto il 2 gennaio del 2004 e sepolto nel cimitero di Pagnano, Michele Chiodo è stato ora onorato con la medaglia che i figli e il cugino hanno voluto tributargli, per avere rifiutato la barbarie nazista, a discapito della sua libertà.
Aderendo alla possibilità offerta dallo Stato italiano di insignire con una medaglia alla memoria militari e civili deportati e internati nei lager nazisti, i sei figli, in particolare Giuseppe, unitamente al cugino Giuseppe, presidente dell'ANPI di Minervino Murge, hanno raccolto tutta la documentazione, attraverso anche gli archivi di guerra, e l'hanno poi consegnata in Prefettura. L'iter avviato si è concluso nei giorni scorsi con la cerimonia che si è svolta a Oggiono con il ritiro della medaglia. Un momento molto emozionante e sentito, cui ha preso parte il figlio Giuseppe con la moglie, alla presenza del prefetto sua eccellenza Sergio Pomponio.
Michele Chiodo era nato a Minervino Murge il 7 maggio 1921. Bracciante agricolo, non si era piegato a servire "l'invasore nazista e la repubblica sociale italiana fascista durante la resistenza" e per questo finì deportato dal 1943 al 1945 nei lager tedeschi. Qui patì il freddo, la fame, la violenza ma riuscì a tornare vivo a casa. Ci volle un mese per raggiungere nuovamente la sua Puglia.
Riprese a lavorare nei campi fino a quando una nevicata mise in ginocchio l'agricoltura, con l'intero raccolto andato distrutto e nessuna possibilità di sostentamento. Era così emigrato al nord negli anni Sessanta con la sua famiglia che nel frattempo stava crescendo.
Stabilitosi a Olgiate, aveva trovato lavoro come operaio alla Simmenthal di Monza che raggiungeva in treno partendo alle 4 e tornando con l'ultima corsa della notte.Una vita fatta di sacrifici e dedizione alla famiglia, fino all'arrivo della pensione che gli consentì di dedicarsi a una sua passione, tornando un po' alle origini: la coltivazione del suo orto di cui andava tanto orgoglioso.
Persona schiva e silenziosa, dedita al fare più che alle parole, raccontava poco della sua prigionia, proprio a voler dimenticare quegli anni tanto che nei luoghi della sua deportazione non aveva mai voluto tornare.
Morto il 2 gennaio del 2004 e sepolto nel cimitero di Pagnano, Michele Chiodo è stato ora onorato con la medaglia che i figli e il cugino hanno voluto tributargli, per avere rifiutato la barbarie nazista, a discapito della sua libertà.
S.V.