Lettore: dietro il disastro delle ferrovie di Trenord...

Oggi, sabato, non era giornata di sciopero. E quindi il treno per Lecco delle 7.27 viaggiava “regolarmente” con venti minuti di ritardo. In questa Italia dei paradossi, quello delle ferrovie è certamente il più singolare. Soprattutto sulla linea Milano-Lecco, che – mi si perdoni l’ingeneroso accostamento – non è esattamente la Mazara del Vallo-Corleone, ma uno degli assi portanti del pendolarismo economico in una regione che si vanta di essere motore d’Europa. In realtà, il motore di Trenord funziona poco e male. E non è certo da appuntarsi a medaglia - come pure si legge su certi comunicati in stile istituto Luce - il fatto che i convogli siano moderni e dotati di display in doppia lingua a segnalarci l’arrivo in stazioni che conosciamo a memoria sin dai tempi delle elementari. In una società normale – e con i prezzi degli abbonamenti sempre meno popolari – non è che il minimo sindacale. La realtà è altra, ben conosciuta dai pendolari. Scegliere di prendere il treno (ma per molti, partendo dagli studenti, non è una scelta) significa affidarsi al destino, più cinico che baro. Si contano sulle dita di una mano i treni che arrivano in orario ed è patetico, come fanno gli uffici studi di Trenord, fare la media con i convogli delle 14.27 e dintorni. Della cui puntualità, ovviamente, non importa a nessuno. I convogli devono essere in orario alla mattina, quando scuole e fabbriche aprono i cancelli. E alla sera, quando li chiudono. Il resto è soltanto un modo per intortare chi il treno non lo frequenta. Non sono tra quelli che, come l’uomo della barzelletta che si priva degli attributi per punire la moglie, contesta l’utilità del raddoppio ferroviario. Al contrario, il progetto (sulla carta) era ed è vincente. Non a caso – se mi consente la digressione – a Londra lo mettono in pratica da mezzo secolo con grande successo: un treno ogni mezz’ora da Merate e Milano e altrettanto in senso inverso. Una metropolitana leggera, in poche parole, che in 40 minuti ti porta dalle verdi colline della Brianza alle fabbriche ed alle scuole di Milano, senza intasare tangenziali e stradali.
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Matteo Salvini

Cosa volere di più dalla vita? Già. Di più, in realtà, si vorrebbe la puntualità. Di più si vorrebbe la sicurezza. Di più si vorrebbe che gli imprevisti – lo dice la parola – fossero tali e non una pratica quasi quotidiana, tra porte che non si aprono, binari ghiacciati d’inverno e sciolti d’estate, scambi che non funzionano. Ma la cosa che fa più male, diceva bene un suo lettore qualche giorno fa, è la rassegnazione dei passeggeri. A cominciare da quelli più giovani che non hanno ovviamente memoria dell’epopea del pendolarismo anni Ottanta, quando c’era da timbrare un cartellino alla Pirelli o alla Breda e che c’era poco da arrivare in ritardo, se non si voleva la rivolta sociale. Adesso no, è l’opposto. Uno dei primi documenti che gli istituti superiori consegnano agli studenti è il modulo per l’entrata in ritardo alla prima ora, giustificata a prescindere proprio perché i treni non arrivano quasi mai all’orario prestabilito. Sembra una barzelletta, ma non fa ridere. E vogliamo parlare di uno studente universitario il giorno dell’esame? Se vuole essere sicuro di arrivare in tempo, chiedete per credere, gli conviene prendere un paio di treni prima. Eppure, nonostante tutto questo, non ci sono proteste, non ci sono manifestazioni di piazza, non ci sono sindaci con la fascia a manifestare solidarietà. Oddio, per l’imbarazzato silenzio dei sindaci una spiegazione ci sarebbe. E, purtroppo, bisogna finire sempre in politica che per definizione – cantava Giorgio Gaber –“è schifosa e fa male alla pelle”. Trenord è da trent’anni il feudo incontrastato della Lega e gli amministratori comunali non possono – ordine di partito – permettersi di criticare il loro “principale”. Esagerato? Avete mai sentito una parola di protesta – ma mi sarei accontentato pure di una garbata critica – da parte, che so, dell’ex sindaco di Merate, Massimo Panzeri? O di quello di Olgiate? Ma non è neppure questa la situazione più paradossale. In una società della comunicazione in cui la fake diventa verità soltanto perché ripetuta come un mantra (a patto di non scoppiare a ridere, ovviamente) leggiamo sui giornali che la Regione (presidente o assessore, magari a turno) manifestano indignazione e promettono interventi. Ma, di grazia, indignazione verso chi? Fino all’arrivo di Giorgia Meloni il bersaglio era Rfi – la società che gestisce la rete, insomma – ma, da quando il governo nazionale è allineato con quello lombardo, diventa oggettivamente complicato sostenere che i treni in ritardo siano colpa di Mario Draghi. La strategia, così, è cambiata. La Regione grida ad alta voce che è una vergogna, lasciando che il leader nazionale Matteo Salvini continui a occuparsi della vendita delle banche, delle manifestazioni di piazza, della banlieu del Corvetto e di qualsiasi cosa sia in grado di procurargli un titolo. E quando i suoi consiglieri gli ricordano che il ministro dei “treni che una volta arrivavano in orario” sarebbe lui, beh, fa una bella conferenza stampa sul Ponte di Messina. E vissero tutti felici e contenti. Al massimo, un po’ in ritardo. 
Alessandro - Merate
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