Retesalute: la Corte dei Conti condanna i quattro Imputati al pagamento di 26mila euro ciascuno
La montagna di 4 milioni di danni erariali subiti da Retesalute ha partorito un topolino: 210.731,34 di cui imputabile a Alessandro Salvioni, Simona Milani, Anna Ronchi e Giovanni Perego solo il 50%. L’importo addebitato agli imputati è sceso quindi a 105.365,67 euro da coprire nella misura del 25% ciascuno posto che Alessandro Salvioni aveva optato per il rito abbreviato pagando all’incirca 44 mila euro. Dunque ciascuno dei quattro convenuti a procedimento dovrà versare la somma di 26.341,41 euro.
E’ interessante oggi ripercorrere la vicenda dal 2020 con le prese di posizione di sindaci e giornali, tutti scatenati nel sostenere il danno provocato all’Azienda Speciale tanto da indurre i comuni soci a decretarne la liquidazione volontaria proposta da consulenti e segretari comunali, sottoscritta dall’allora presidente dell’Assemblea dei soci Massimo Augusto Panzeri che aveva avuto parole di fuoco all’indirizzo dei vertici dell’Azienda. Il Consiglio di Amministrazione allora in carica presieduto dall’avvocata Alessandra Colombo aveva spinto per la liquidazione e la medesima Colombo era entrata a far parte del Collegio dei liquidatori. Per buona misura sette segretari comunali tra i quali la dottoressa Viviana Tutore, oggi a Merate e Calco, avevano scavalcato i sindaci prendendo posizione sulla necessità di liquidare l’azienda.
In perfetta solitudine avevano sostenuto che la questione fosse dipesa, certamente da manipolazioni dei conti e dalla commistione tra Ambito e azienda strumentale, giustamente da sanzionare, ma essenzialmente dallo squilibrio tra i costi di produzione dei servizi erogati e il prezzo pagato da comuni-soci. I comuni non erano certamente ignari di questa circostanza ma ragioni di bilancio, a causa del patto di stabilità vigente, li induceva a pagare, spesso in ritardo servizi che se prodotti in proprio sarebbero costati assai di più. Ma i comuni erano e sono anche i soci dell’azienda per cui a un beneficio dell’ente comune corrispondeva un danno all’ente Retesalute.
Ci sarà modo nei prossimi giorni di approfondire la sentenza della Corte dei Conti. Ma già ora i protagonisti di questa complessa vicenda – nonché gli osservatori esterni – dovrebbero riflettere sull’assurdità della decisione – sempre osteggiata da questo giornale – di deliberare la messa in liquidazione dell’Azienda speciale. Scrivono i Giudici contabili che le azioni intraprese da Retesalute in liquidazione sono da considerarsi palesemente inidonee e pertanto le spese e gli onorari sostenuti dall’Azienda speciale in liquidazione per aver intrapreso una lite temeraria non possono essere attribuite alla responsabilità degli imputati. L’attuazione del piano di rilancio dell’ottobre 2018, bocciato per pochi millesimi dall’assemblea dei soci – si dovrà andare a vedere chi alzò la mano contro – avrebbe evitato tutti i guai successivi.
E’ interessante oggi ripercorrere la vicenda dal 2020 con le prese di posizione di sindaci e giornali, tutti scatenati nel sostenere il danno provocato all’Azienda Speciale tanto da indurre i comuni soci a decretarne la liquidazione volontaria proposta da consulenti e segretari comunali, sottoscritta dall’allora presidente dell’Assemblea dei soci Massimo Augusto Panzeri che aveva avuto parole di fuoco all’indirizzo dei vertici dell’Azienda. Il Consiglio di Amministrazione allora in carica presieduto dall’avvocata Alessandra Colombo aveva spinto per la liquidazione e la medesima Colombo era entrata a far parte del Collegio dei liquidatori. Per buona misura sette segretari comunali tra i quali la dottoressa Viviana Tutore, oggi a Merate e Calco, avevano scavalcato i sindaci prendendo posizione sulla necessità di liquidare l’azienda.
In perfetta solitudine avevano sostenuto che la questione fosse dipesa, certamente da manipolazioni dei conti e dalla commistione tra Ambito e azienda strumentale, giustamente da sanzionare, ma essenzialmente dallo squilibrio tra i costi di produzione dei servizi erogati e il prezzo pagato da comuni-soci. I comuni non erano certamente ignari di questa circostanza ma ragioni di bilancio, a causa del patto di stabilità vigente, li induceva a pagare, spesso in ritardo servizi che se prodotti in proprio sarebbero costati assai di più. Ma i comuni erano e sono anche i soci dell’azienda per cui a un beneficio dell’ente comune corrispondeva un danno all’ente Retesalute.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Lombardia certifica i gravissimi profili di incompatibilità con i basilari principi giuridico-contabili nella tenuta della contabilità la cui responsabile era la dottoressa Anna Ronchi ma aggiunge che la consapevolezza dell’inadeguato rapporto tra costi di produzione e prezzi di vendita doveva essere nota anche all’Assemblea dei soci in quanto tariffe e contributi di funzionamento erano stabiliti dall’Assemblea medesima. Quindi si deve ritenere che tale modus operandi fosse sostanzialmente condiviso.
Ci sarà modo nei prossimi giorni di approfondire la sentenza della Corte dei Conti. Ma già ora i protagonisti di questa complessa vicenda – nonché gli osservatori esterni – dovrebbero riflettere sull’assurdità della decisione – sempre osteggiata da questo giornale – di deliberare la messa in liquidazione dell’Azienda speciale. Scrivono i Giudici contabili che le azioni intraprese da Retesalute in liquidazione sono da considerarsi palesemente inidonee e pertanto le spese e gli onorari sostenuti dall’Azienda speciale in liquidazione per aver intrapreso una lite temeraria non possono essere attribuite alla responsabilità degli imputati. L’attuazione del piano di rilancio dell’ottobre 2018, bocciato per pochi millesimi dall’assemblea dei soci – si dovrà andare a vedere chi alzò la mano contro – avrebbe evitato tutti i guai successivi.