Church pocket/37. L’Avvento a quattro voci: la melodia dell’attesa – l’Incarnazione/1

 Nonostante abbiamo scongelato Mariah Carey con la sua “All I Want For Christmas Is You” già dal 2 novembre, la liturgia ci propone il tempo dell’attesa, l’Avvento, dal 17 novembre per il rito ambrosiano e due domeniche dopo, il 1° dicembre, per il rito romano. In questa “rubrica nella rubrica” camminiamo lungo il sentiero dell’attesa, con spunti di riflessione e un pizzico di magia spirituale per ciascuna settimana. Faremo "quattro passi" con quattro parole che risplendono come le candele d’Avvento, ognuna dedicata a una parola che illumina la nostra attesa: Incarnazione, Redenzione, Conversione e Compimento. Che siate devoti di lunga data o semplicemente curiosi, lasciamoci ispirare da queste quattro tappe: parole semplici, ma profonde, che ci potranno aiutare a vivere un Natale diverso, una Nascita più vicino al cuore. Pronti? Mettiamoci comodi, davanti al camino con la copertina sulle ginocchia, accendiamo una candela, prepariamoci una cioccolata calda e cominciamo insieme questo viaggio verso la Luce!
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L'Incarnazione è il Mistero della fede cristiana: il Dio eterno e onnipotente, creatore del cielo e della terra, ha scelto di farsi uomo per amore dell'umanità. Questo mistero rivela la profondità del progetto salvifico di Dio, che non è rimasto distante dall’uomo, ma ha voluto condividere la condizione umana. San Giovanni, nel quarto Vangelo, lo esprime con parole potenti: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14). Il Verbo, che era presso Dio e che era Dio, entra nella storia per cambiarla, assumendo la nostra natura per redimerla e trasformale. L'Incarnazione è più di un evento storico; è un mistero che si rinnova continuamente nella vita dei credenti. Gesù, facendosi uomo, non ha semplicemente "indossato" un corpo, ma ha abbracciato la totalità della nostra esperienza, tranne il peccato. In questo modo, Egli ha donato dignità a ogni aspetto della vita umana: nascere, lavorare, soffrire, amare e persino morire. La presenza di Dio fatto uomo non è stata solo un segno di solidarietà divina, ma anche un invito a una relazione personale con Lui. Gesù non si è limitato a parlare di Dio; Egli è Dio stesso che cammina con noi, che ci parla e che si fa riconoscere come "il Dio con noi" (Mt 1,23).

Perché proprio la carne? Perché scegliere una forma così vulnerabile? Dio avrebbe potuto manifestarsi in tanti modi: in una luce abbagliante, in un vento impetuoso, in un segno inequivocabile di potenza. E invece sceglie un bambino, nato in una stalla, dipendente da una giovane madre e da un falegname. Qui sta il cuore del mistero: Dio non redime il mondo dall’esterno, ma dall’interno, abbracciando la nostra fragilità. Il corpo, spesso disprezzato o temuto come luogo del peccato, diventa il luogo della salvezza. È un ribaltamento radicale: ciò che è umano non è più opposto a ciò che è divino, ma diventa il veicolo attraverso cui il divino si rivela. Ma cosa significa davvero avere Dio tra noi? L'Incarnazione non è solo un evento del passato, ma una realtà che continua a riverberare nel presente. Gesù non è venuto per lasciare un ricordo, ma per inaugurare una Presenza permanente. La sua incarnazione continua oggi nella Chiesa, nei sacramenti, nei volti dei poveri e degli ultimi.
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Pensiamo alla scena del presepe: Maria e Giuseppe accanto alla mangiatoia, i pastori che arrivano trafelati, gli animali che osservano curiosi. Ogni dettaglio parla di un Dio che si rende accessibile, che si lascia incontrare nei luoghi più ordinari. Questo è il messaggio dell’Incarnazione: Dio non è mai lontano. È sempre qui, nascosto nella nostra quotidianità, pronto a sorprendere chi ha occhi per vedere e cuore per accogliere.

Nel mistero dell'Incarnazione si realizza un evento straordinario: l’unione tra il divino e l’umano. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, due nature perfettamente unite nella sua unica persona. In Lui, Dio non solo si rivela, ma si fa accessibile, ponte tra cielo e terra. Questa verità non è solo teologica, ma profondamente pratica. L’Incarnazione ci invita a riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita quotidiana. Se Dio ha scelto di assumere la nostra carne, allora ogni realtà umana, ogni momento, è potenzialmente un luogo d’incontro con Lui.
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L'Incarnazione non è solo un evento da contemplare, ma un modello da vivere. Ogni cristiano è chiamato a incarnare la presenza di Dio nel mondo. San Paolo ci ricorda che siamo "corpo di Cristo" (1 Cor 12,27), testimoni viventi del suo amore. Questo significa che, come Gesù, siamo inviati a portare luce dove ci sono tenebre, a consolare chi soffre e a costruire relazioni di giustizia e pace. Inoltre, il mistero dell’Incarnazione ci insegna a riconoscere la dignità in ogni persona, specialmente nei poveri, negli emarginati e nei sofferenti. Gesù stesso si è identificato con i più piccoli: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me" (Mt 25,40).

E quindi? L’Incarnazione è l’invito definitivo a lasciare la propria “zona di comfort spirituale”. Se Dio si è fatto uomo, con tanto di freddo nelle notti di Betlemme e le mani callose di Nazareth, possiamo anche noi fare un piccolo sforzo per incarnare un po’ di amore nel mondo. Magari cominciando con chi ci sta accanto: il collega irritante, la suocera ipercritica o perfino il postino che non ci consegna mai le raccomandate anche se siamo a casa. Perciò, accendiamo la prima candela dell’Avvento e ricordiamoci: ogni piccolo gesto, anche uno scambio di auguri al supermercato o un sorriso al vicino di casa, può essere una scintilla che illumina il cammino verso quel Natale che trasforma davvero, da dentro e per sempre. 

L'Incarnazione è come un autore di un romanzo che decide di entrare nella sua storia. Non si accontenta più di raccontare i personaggi, di guidarli da dietro le quinte: si scrive dentro il libro, prende forma come uno di loro, e vive con loro gioie, dolori e sfide. Così Dio, l'autore della vita, ha scelto di entrare nella trama dell'umanità: non più solo come creatore distante, ma come protagonista, per cambiare la storia dall'interno. Una scelta rivoluzionaria che trasforma ogni capitolo, dando a ciascun personaggio – cioè a noi – la possibilità di una trama nuova e piena di speranza.
Rubrica a cura di Pietro Santoro
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