Merate: il messaggio di don Milani nella società odierna
Nella serata di martedì 15 ottobre l'associazione La Semina ha organizzato un incontro in ricordo di don Lorenzo Milani a 101 anni dalla sua nascita. Ospite il dottor Lorenzo Gaiani, funzionario di Pubblica Amministrazione e autore di numerosi saggi in materia di storia, politica istituzionale e dottrina sociale della Chiesa.
Il discorso è stato introdotto da una panoramica sulla breve e travagliata vita del sacerdote, considerato una delle figure più significative della storia della Chiesa italiana dal ventesimo secolo. In un'epoca di scontro tra cattolici e comunisti, il religioso avviò una rivoluzione sociale fondata sul cambiamento della persona. Fu una figura provocatoria e critica, che si considerava un cristiano e un prete prima di tutto e non sacerdote ed educatore, perché, secondo Milani, la parola di Cristo veniva prima dell'attività sociale e politica.
La sua opera “Esperienze pastorali” è il testo in cui meglio si collocano le radici delle riflessioni delle scelte di don Milani, le cui istanze possono essere accolte ancora oggi, fungendo da stimolo per chi prende sul serio la propria cittadinanza e fede. La dedizione alla Missione del presbitero deriva dal raccordo tra vita e fede, un pensiero che, nel tramonto del pontificato di Pio XII, suscitò molte polemiche. Il Papa aveva lanciato il progetto di una mobilitazione sociale, cercando di rafforzare la presenza cattolica per dare vita ad una nuova società Cristiana. In questo disegno si concretizzò la competizione con i comunisti, un atteggiamento che spingeva le componenti del mondo cattolico a presentarsi come un fronte unito contro metodi collettivi. Per la prima volta però, un prete, aveva sottoposto una porzione della chiesa italiana ad un esame sociologico, mettendo sotto accusa le metodologie formative più accreditate, contestando il ruolo dell'associazionismo cattolico e rimproverando alla compagine ecclesiastica l'infedeltà ai principi stessi della Chiesa. Per questo motivo l'opera di Milani venne considerata problematica, insieme alla sua libertà di linguaggio e per la sua analisi della situazione pastorale del tempo. Ne venne dunque vietata la ristampa e le traduzioni e venne ritirata dal commercio.
L'operare del prete si basava sull'osservazione della realtà e il contatto diretto con le persone. Milani cercava di convincere i giovani sull'importanza dell'istruzione, soprattutto dopo essere rimasto colpito dall'analfabetizzazione dei poveri, ed era sicuro, che le forme tradizionali della religiosità nascondessero una sostanziale mancanza di fede. “La povertà si misura sul livello di cultura, discorso analogo vale per la mancanza di fede: fondamento della dottrina è quella minima padronanza di linguaggio che distingue l'uomo dalla bestia e che invece manca a questo popolo” osservò il sacerdote. Questa convinzione lo portò ad individuare una connessione tra scristianizzazione, povertà e ignoranza, che dilagavano nella società comunista. L'attenzione del don era inoltre diretta verso le condizioni di vita dei suoi parrocchiani e le piaghe sociali quali lo sfruttamento minorile e la disoccupazione.
Al fondo del pensiero di Milani vi era un desiderio di ottenere la salvezza eterna dell'anima della sua gente tramite una completa adesione alla verità di Cristo. Per farlo era necessario abbattere l'ignoranza che ostacola la libertà di pensiero e il messaggio cristiano, dunque cambiare il contesto economico e sociale partendo dalla scuola, considerata il raccordo tra fede e vita. Formare buoni cristiani secondo lui era più importante della lotta contro i partiti, perciò nella sua scuola accoglieva giovani senza selezioni e propaganda.
Il discorso è dunque virato su una domanda: cosa è rimasto oggi di don Milani? “Certamente un'esistenza spesa per Dio e per gli altri, ma anche intuizioni che conservano una salutare critica carica di provocazione per la Chiesa e per la società di oggi” ha commentato Gaiani. “Il cattolicesimo ha sicuramente una presenza capillare diffusa nel paese, ma bisognerebbe capire in quale misura riesce a raggiungere i fedeli, vista la chiara scristianizzazione, evidente soprattutto dopo il Covid”. Per trovare una soluzione sarebbe necessario adottare, reinterpretandole secondo le esigenze del tempo, le tre proposte formulate da Milani. “La prima è quella di ritirarsi dalla politica, con gerarchia ecclesiastica, preti e laici impegnati in un esame di coscienza che duri qualche decennio. La seconda è quella di un impegno radicale, senza sconti per nessuno sui principi e sui mezzi, a eliminare il predominio del potere economico e sostituirlo con il dominio di una legge morale che ponga i diritti di Dio e dell'uomo al di sopra di ogni diritto terreno. La terza proposta delinea una sorta di 'via media', con una netta distinzione fra il ruolo dei sacerdoti e quello dei laici: i primi impegnati a delineare e attuare un programma coraggioso di evangelizzazione e di promozione sociale delle masse; i secondi occupati a risolvere i problemi politici e sociali, ma come privati cittadini”. In Italia è evidente che permea una sensibilità comune rispetto ai problemi della democrazia, anche in ambito della formazione, che è eredita della terza linea Milani, la sola “sopravvissuta” perché rappresenta l'unica realizzabile.
“Le masse smarrite che cercano protezione vengono spesso accolte da coloro che perpetrano un linguaggio d'odio, a questi dovrebbero invece rispondere le persone di buona volontà, come spronava a fare il don” ha concluso Gaiani prima di lasciare spazio ad interventi del pubblico, che ha rivolto numerosi quesiti e riflessioni al relatore per approfondire il messaggio lasciato da don Milani alla società odierna.
Il discorso è stato introdotto da una panoramica sulla breve e travagliata vita del sacerdote, considerato una delle figure più significative della storia della Chiesa italiana dal ventesimo secolo. In un'epoca di scontro tra cattolici e comunisti, il religioso avviò una rivoluzione sociale fondata sul cambiamento della persona. Fu una figura provocatoria e critica, che si considerava un cristiano e un prete prima di tutto e non sacerdote ed educatore, perché, secondo Milani, la parola di Cristo veniva prima dell'attività sociale e politica.
La sua opera “Esperienze pastorali” è il testo in cui meglio si collocano le radici delle riflessioni delle scelte di don Milani, le cui istanze possono essere accolte ancora oggi, fungendo da stimolo per chi prende sul serio la propria cittadinanza e fede. La dedizione alla Missione del presbitero deriva dal raccordo tra vita e fede, un pensiero che, nel tramonto del pontificato di Pio XII, suscitò molte polemiche. Il Papa aveva lanciato il progetto di una mobilitazione sociale, cercando di rafforzare la presenza cattolica per dare vita ad una nuova società Cristiana. In questo disegno si concretizzò la competizione con i comunisti, un atteggiamento che spingeva le componenti del mondo cattolico a presentarsi come un fronte unito contro metodi collettivi. Per la prima volta però, un prete, aveva sottoposto una porzione della chiesa italiana ad un esame sociologico, mettendo sotto accusa le metodologie formative più accreditate, contestando il ruolo dell'associazionismo cattolico e rimproverando alla compagine ecclesiastica l'infedeltà ai principi stessi della Chiesa. Per questo motivo l'opera di Milani venne considerata problematica, insieme alla sua libertà di linguaggio e per la sua analisi della situazione pastorale del tempo. Ne venne dunque vietata la ristampa e le traduzioni e venne ritirata dal commercio.
L'operare del prete si basava sull'osservazione della realtà e il contatto diretto con le persone. Milani cercava di convincere i giovani sull'importanza dell'istruzione, soprattutto dopo essere rimasto colpito dall'analfabetizzazione dei poveri, ed era sicuro, che le forme tradizionali della religiosità nascondessero una sostanziale mancanza di fede. “La povertà si misura sul livello di cultura, discorso analogo vale per la mancanza di fede: fondamento della dottrina è quella minima padronanza di linguaggio che distingue l'uomo dalla bestia e che invece manca a questo popolo” osservò il sacerdote. Questa convinzione lo portò ad individuare una connessione tra scristianizzazione, povertà e ignoranza, che dilagavano nella società comunista. L'attenzione del don era inoltre diretta verso le condizioni di vita dei suoi parrocchiani e le piaghe sociali quali lo sfruttamento minorile e la disoccupazione.
Al fondo del pensiero di Milani vi era un desiderio di ottenere la salvezza eterna dell'anima della sua gente tramite una completa adesione alla verità di Cristo. Per farlo era necessario abbattere l'ignoranza che ostacola la libertà di pensiero e il messaggio cristiano, dunque cambiare il contesto economico e sociale partendo dalla scuola, considerata il raccordo tra fede e vita. Formare buoni cristiani secondo lui era più importante della lotta contro i partiti, perciò nella sua scuola accoglieva giovani senza selezioni e propaganda.
Il discorso è dunque virato su una domanda: cosa è rimasto oggi di don Milani? “Certamente un'esistenza spesa per Dio e per gli altri, ma anche intuizioni che conservano una salutare critica carica di provocazione per la Chiesa e per la società di oggi” ha commentato Gaiani. “Il cattolicesimo ha sicuramente una presenza capillare diffusa nel paese, ma bisognerebbe capire in quale misura riesce a raggiungere i fedeli, vista la chiara scristianizzazione, evidente soprattutto dopo il Covid”. Per trovare una soluzione sarebbe necessario adottare, reinterpretandole secondo le esigenze del tempo, le tre proposte formulate da Milani. “La prima è quella di ritirarsi dalla politica, con gerarchia ecclesiastica, preti e laici impegnati in un esame di coscienza che duri qualche decennio. La seconda è quella di un impegno radicale, senza sconti per nessuno sui principi e sui mezzi, a eliminare il predominio del potere economico e sostituirlo con il dominio di una legge morale che ponga i diritti di Dio e dell'uomo al di sopra di ogni diritto terreno. La terza proposta delinea una sorta di 'via media', con una netta distinzione fra il ruolo dei sacerdoti e quello dei laici: i primi impegnati a delineare e attuare un programma coraggioso di evangelizzazione e di promozione sociale delle masse; i secondi occupati a risolvere i problemi politici e sociali, ma come privati cittadini”. In Italia è evidente che permea una sensibilità comune rispetto ai problemi della democrazia, anche in ambito della formazione, che è eredita della terza linea Milani, la sola “sopravvissuta” perché rappresenta l'unica realizzabile.
“Le masse smarrite che cercano protezione vengono spesso accolte da coloro che perpetrano un linguaggio d'odio, a questi dovrebbero invece rispondere le persone di buona volontà, come spronava a fare il don” ha concluso Gaiani prima di lasciare spazio ad interventi del pubblico, che ha rivolto numerosi quesiti e riflessioni al relatore per approfondire il messaggio lasciato da don Milani alla società odierna.
I.Bi.