Comodamente sedute/135: i figli sono un 'amore a perdere'

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Giovanna Fumagalli Biollo
In una calda mattinata d’estate sono andata a Lecco dove presso la Libreria Volante di Via Bovara, Matteo Bussola presentava il suo ultimo libro “La neve in fondo al mare”.
Ora, che abbia un predilezione per i libri di questo autore non è mai stato un mistero, tant’è che con “Il rosmarino non capisce l’inverno” ho pure organizzato un Counselling letterario (trovate l’articolo qui)
Ma non l’avevo mai sentito raccontare e raccontarsi di persona  ed ero curiosa di conoscerlo un po’ più da vicino. 
Ho scoperto che Matteo Bussola parla come scrive (che detta così sembra una banalità, ma vi giuro che non lo è affatto), nel senso che non si limita a offrire spunti di riflessione tratti dal suo libro, ma ne propone di nuovi e inediti, tanto da costringerti a prendere appunti da integrare al testo del libro! 
Mi è piaciuto molto e non ha fatto altro che riconfermare la stima che provo per lui.
“La neve in fondo al mare è un libro che racconta del rapporto tra genitori e figli  al sopraggiungere della loro adolescenza. In particolare, Bussola sceglie un punto di osservazione straordinario: un reparto di neuropsichiatria infantile. Con la voce calda, intima, di un padre smarrito, Matteo Bussola fotografa l’istante spaventoso in cui genitori e figli smettono di riconoscersi, e parlarsi diventa impossibile. Attraverso un pugno di personaggi strazianti e bellissimi, ci ricorda che ogni essere umano è un mistero, anche quando siamo noi ad averlo generato”.
libroneve.jpg (97 KB)Protagonisti principali Tano e suo figlio Tommy alle prese con la più grande delle paure: quella di avere perduto per strada la capacità di raccontarsi l’amore reciproco e di non riconoscersi più nei loro ruoli.
Inutile dirvi che la lettura di questo libro mi ha riportato indietro nel tempo, quando a uno a uno, mio marito ed io avevamo affrontato increduli, il cambiamento dei nostri figli che da adorate creature, adoranti dei propri genitori, si erano trasformati in piccoli sconosciuti ribelli alla ricerca di se stessi e della propria identità. 
“Ti guardo crescere mentre rispetti la mia volontà poi mentre la tradisci”.
Diventare genitori è una sensazione strana, mai sperimentata prima.
Senza che nessuno ce lo chieda, siamo pronti a giurare che ameremo i nostri figli a prescindere, che li accetteremo per ciò che sono e ciò che saranno sollevandoli dal nostro giudizio, che potranno deluderci tutte le volte che vorranno, che non commetteremo gli errori dei nostri genitori, cercando di fare sempre meglio, e che ce la metteremo tutta per fornire loro un intero pacchetto di ricordi felici che li aiuteranno a non andare a fondo quando le acque in cui taluni giorni saranno costretti loro malgrado a navigare, si farà scura, e torbida e profonda. 
Gli daremo ali per volare e radici per tornare, faremo a gara per aiutarli a realizzare i loro sogni, incoraggiandoli a rincorrerli anche a costo di rimanere senza fiato e gli diremo che andrà tutto bene.
Poi in realtà, il nostro essere genitori imperfetti, e spaventati, anzi atterriti all’idea di farci carico di una vita dal suo primo respiro fino all’ultimo, la nostra mania di fare bene tutte le cose, di dimostrare che non è la fortuna a darci figli bravi ma il nostro merito, quel buco nel cuore che ci portiamo dentro senza conoscerne le origini e le cause, e la presunzione di credere che basti dare loro tutto ciò che serve, ci inducono a collezionare una serie di fallimenti che sgretolano a una a una ogni nostra certezza. Cosa resta alla fine di una storia che parla di genitori e figli?
Solo l’amore.
L’amore sfilacciato, maltrattato, ridotto a brandelli, ma ancora lì, inarrestabile.
“Non è colpa tua, non è colpa nostra.
E’ la vita di tutti che diventa una fotocopia sbiadita.
E’ il mondo che di punto in bianco, è destinato a cambiare per sempre”. 
Il problema è che non ce la facciamo a vedervi infelici perché questo ci spezza il cuore.
Ma il problema nel problema è che abbiamo la presunzione di potervi indicare la strada per la felicità, forse perché è la stessa che abbiamo intrapreso noi, o forse perché proprio perché a noi è stata negata.
E vi sospingiamo fermamente verso quella strada con parole, opere e omissioni, con ricatti e musi lunghi, se serve, seppellendovi di sensi di colpa se non ci state a sentire, nascondendoci dietro due parole di cemento: la nostra esperienza e il vostro bene. 
Ma la strada che conduce alla felicità è unica e irripetibile come ogni essere umano e mica sempre quella di chi ci cammina a fianco, funziona anche per noi.
Stare irrimediabilmente sulla soglia di chi si ama, rimanere a guardarlo mentre cade inciampa, si ferisce, fallisce, questa è la fatica che non riusciamo a comprendere, che ci fa ripiegare su noi stessi dal dolore, ma che è l’unica percorribile se non vogliamo perderli. 
Qualche volta può essere che si venga invitati ad entrare, altre, molte altre, in cui ci tocca disperatamente stare. 
Perché l’amore per i propri figli è un amore a perdere.
Ringrazio Matteo Bussola per avermi ricordato tutto questo.
“Deludici tutte le volte che vorrai, fallo ogni volta che ti sembrerà giusto o necessario. Continua a insegnarci che amare un figlio, o una figlia, vuol dire amare un tradimento, voler loro bene soprattutto quando sono molto diversi da ciò che si era sperato. Forse si diventa padri, si diventa madri, proprio per imparare quel tipo di amore lì, unico e irragionevole, che non si può sperimentare in nessun altro modo”.
Amiche care, se avete letto questo libro e volete raccontarmi cosa ha significato per voi, scrivetemi gio.fumagalli66@gmail.com, sarò felice di accogliere le vostre riflessioni e rispondervi.
Una buona Domenica tutte voi
Rubrica a cura di Giovanna Fumagalli Biollo
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