Church Pocket/31, 4 ottobre: “L'Umiltà della Pace” nel messaggio di San Francesco
Come una vela coraggiosa che si spinge oltre l'orizzonte, San Francesco d’Assisi solca i mari della fede e della cultura, approdando nelle terre lontane del Sultano al-Malik al-Kamil. In un’epoca segnata da conflitti e crociate, Francesco sceglie la via del dialogo, un ponte di parole e gesti che sfidava l’odio e le qualsiasi barriere culturali. Questa audacia, che oggi risuona come un’eco potente in un mondo ancora diviso da muri e barriere e assordato dai rumori della guerra, ci ricorda che il vero coraggio non si trova nelle armi, ma nella volontà di ascoltare e di comprendere l'altro. Il suo incontro con il Sultano è un messaggio che attraversa i secoli, un invito a riscoprire la forza della pace e del dialogo in un presente che ne ha disperatamente bisogno. Nel giorno della sua festa può essere utile ricordare non tanto la sua vita, come un panegirico, quanto capire come può essere ancora attuale e potente il suo insegnamento oggi dove è ancora normale vedere immagini dei volti dei fanciulli disegnati tra polvere e sangue.
San Francesco nacque con il nome di Giovanni, figlio di Pietro di Bernardone, da una famiglia di benestanti commercianti di Assisi. Trascorse i suoi primi anni nel lusso e dedito ai piaceri della vita. Francesco fu noto per la sua vita lussuosa e per il suo amore per i divertimenti fino alla sua conversione. Dopo aver avuto la chiamata dal Crocifisso, decise di abbandonare tutto e di dedicarsi completamente alla povertà e alla vita religiosa. Famoso è quel aneddoto legato alla sua spogliazione fisica, nella piazza di Assisi, davanti al padre. Nel 1219, durante le Crociate, Francesco intraprese un viaggio in Terra Santa e incontrò il sultano al-Kamil. La causa di questo viaggio non era quella di combattere, ma cercare la pace attraverso la predica del Vangelo. Questo incontro è molto significativo. Questo gesto coraggioso deve essere modello per tanti leader contemporanei, soprattutto quelli che si dicono cristiani, a cercare sempre la via del dialogo, anche quando le differenze culturali, religiose, politiche ed economiche sembrano insormontabili. Nel contesto del conflitto israelo-palestinese, ciò potrebbe suggerire la necessità di un impegno sincero per un dialogo che vada oltre le barriere ideologiche, politiche ed economiche, cercando soluzioni che riconoscano la dignità e i diritti di tutte le parti coinvolte.
Del viaggio verso l’Oriente si conosce poco. Le fonti, spesso di parte, presentano diverse lacune e versione rivedute e poco oggettive. L’unico passaggio ce lo offre Tommaso da Celano, secondo il quale è «l’ardore della carità» a spingere Francesco ad andare: «tentò di partire verso i paesi infedeli, per diffondere, con l’effusione del proprio sangue, la fede nella Trinità» (FF 1172). Ad accompagnare il Santo c’è probabilmente Fra’ Illuminato. Il campo di battaglia ha luogo a Damietta, una località situata in Egitto, sul Delta del Nilo, punto chiave per poter raggiungere il Cairo e sconfiggere il Sultano. Non sappiamo quanto duri la permanenza dei due fraticelli nel campo di battaglia: possiamo dire con quasi certezza storica che incontrarono diversi capi milizia cristiani come il Re di Gerusalemme Giovanni e il capo delle truppe, Pelagio, uomo ambizioso e autoritario che aveva il solo obbiettivo di distruggere il sultanato e riappropriarsi di Gerusalemme. Il Re Giovanni Brienne avrebbe accettato un accordo di pace con cui il Sultano si impegnava a cedere Gerusalemme in cambio del cessate il fuoco ma Pelagio vuole continuare la guerra per distruggere definitivamente l’armata musulmana il cui cuore, a suo parere, risiede proprio in Egitto. Il 29 agosto del 1219 l’esercito crociato subisce una clamorosa sconfitta. Francesco decide di andare dal Sultano. Oltre alle testimonianze scarne delle Fonti Francescane, una fonte araba confermerebbe la presenza di un monaco cristiano presso la corte di al-Kāmil: è l’epigrafe di Fakhr ad-Din al-Fārisī, direttore spirituale del Sultano. Ma abbiamo anche l’importante testimonianza di Jacques de Vitry, un religioso di fama che divenne vescovo di Acri, in Terra Santa, che era in quei luoghi all’epoca dell’incontro e ci fornisce un racconto (FF 2226-2228), per nulla agiografico, di Francesco che attraversa le linee tra i due campi, nella pianura poco fuori Damietta, e quindi dell’incontro sotto la tenda del Sultano Malek al-Kamel. Francesco torna in Europa sconfitto, non essendo riuscito né a fermare la guerra, né a convertire il Sultano, né a trovare il martirio. Eppure l’episodio è stato tramandato con grande risonanza, come attesta uno degli affreschi giotteschi della Basilica superiore di Assisi, dove Francesco è rappresentato nell’atto di sfidare il Sultano e i suoi sacerdoti alla prova del fuoco. Secondo la Legenda Maior di San Bonaventura, il Sultano avrebbe rifiutato di verificare la propria fede per mezzo dell’ordalia, riconoscendo così indirettamente la superiorità del cristianesimo. Spogliando questa spiegazione di Bonaventura da un senso agiografico, il Sultano avrebbe potuto non verificare la fede di Francesco con l’ordalia poiché, dalle parole, ne ha riconosciuto la caratura morale e culturale.
Il peso specifico dell'incontro tra San Francesco e il Sultano va oltre la mera cronaca: incarna un sacramento forte e durevole del potenziale che ogni uomo ha per raggiungere la comprensione e la pace, oltre qualsiasi barriera e aspettativa. Nonostante il suo ritorno in Europa senza successi concreti, Francesco non torna sconfitto dalla sua crociata. Il cuore ardente di fede e la mente aperta al dialogo, che hanno guidato il suo viaggio, sono le stigmate spirituali del coraggio della pace. Francesco ha dimostrato e dimostra ancora che il vero successo non si misura solo con la vittoria in battaglia o il numero di medaglie che ci si porta a casa ma anche nella capacità di spianare la strada alla comprensione, all’accoglienza e all’inclusione in un postribolo di vicoli dell’odio e dei conflitti. Questa lezione è tanto più rilevante oggi, nel nostro qui ed ora, in un mondo frammentato da tensioni etniche, politiche e soprattutto economiche. Il dialogo, come strumento di pace, richiede una pazienza e una perseveranza che vanno oltre i limiti delle convenzioni diplomatiche tradizionali. Occorre ripuntare sull’umano: Francesco si è presentato con la sua totale umanità, senza doni, senza monete: ricentrarci sull’uomo e mettere da parte i sistemi economici è certamente la via per la pace. Una politica economico-centrica sarà sempre e continuamente causa di conflitti che dovrebbero dissetare la sete di potere dei leader di tutti i secoli, specie i leader contemporanei. Il suo incontro con il Sultano ci sfida a riflettere su cosa significhi veramente essere portatori di pace in tempi di divisione. Francesco, con la sua umiltà e determinazione, ci mostra che il dialogo autentico non cerca di annullare le differenze, non appiattisce mai l’uomo al pensiero unico ma cerca di comprendere le diversità e le rispetta, costruendo collegamenti laddove sembrano esserci solo dirupi. La sua storia invita tutti, specialmente i politici e chi, come me, amministra piccoli e grandi comuni, a un esame di coscienza collettivo: siamo pronti a seguire il suo esempio? Francesco, nella sua profonda fede, ci insegna la laicità del rispetto: non ha convertito nessuno, né si lasciato convertire.
Oggi, mentre ci confrontiamo con le sfide del nostro tempo, dall'instabilità politica dell’Oriente alla crisi dei rifugiati, dall'intolleranza culturale alla crescente polarizzazione tra bene e male, piegati al soddisfacimento del nostro utile e non della verità, il messaggio di Francesco risuona come squillantemente disarmante: una fede autentica non è mai strumento di divisione, ma forza di riconciliazione. In questo senso, l'eredità di San Francesco non è un baule di vecchi ricordi ritrovato in soffitta, ma acqua fresca che al mattino ci lava il viso dall’odio e dall’intolleranza, è speranza per futuro ogni volta che la scegliamo come guida nei nostri piccoli gesti quotidiani come via del dialogo e della comprensione reciproca.
In un mondo dove la polvere e il sangue sul volto dell'umanità sembrano la normalità, dove l’economia sembra essere il solo faro della ragione, offuscando l’umanità, il messaggio di San Francesco d’Assisi si siede sulla cattedra della speranza. L’incontro tra il Santo e il Sultano al-Malik al-Kamil non è solo un fare memoria del passato, ma un segnale continuo a riscoprire la potenza della pace, specialmente in luoghi come la Palestina, dove oggi, come allora, la violenza è il solo pane quotidiano. Francesco ci insegna che la vera forza non risiede nella conquista, ma nella compassione; non nel potere, ma nella comprensione. Il conflitto israelo-palestinese, che continua a mietere vittime innocenti, ci ricorda quanto sia urgente il bisogno di voci come quella di Francesco, capaci di parlare al cuore dell’uomo, al di là di economia e politica. Il messaggio di Francesco è un bisbiglio di pace che si leva al di sopra del frastuono dei cannoni. E mentre i venti della guerra continuano a soffiare, ci ricorda che la pace è sempre possibile. Così, mentre oggi celebriamo San Francesco nella festa del suo transito, non dimentichiamo che la sua eredità vive in ogni passo verso la pace, in ogni mano tesa verso il dialogo. Mi si conceda una laica e cristiana preghiera: che il suo spirito guidi i nostri cuori, affinché, un giorno, anche in Palestina, e in ogni angolo del mondo, possa fiorire la pace che Francesco tanto ardentemente desiderava.
San Francesco nacque con il nome di Giovanni, figlio di Pietro di Bernardone, da una famiglia di benestanti commercianti di Assisi. Trascorse i suoi primi anni nel lusso e dedito ai piaceri della vita. Francesco fu noto per la sua vita lussuosa e per il suo amore per i divertimenti fino alla sua conversione. Dopo aver avuto la chiamata dal Crocifisso, decise di abbandonare tutto e di dedicarsi completamente alla povertà e alla vita religiosa. Famoso è quel aneddoto legato alla sua spogliazione fisica, nella piazza di Assisi, davanti al padre. Nel 1219, durante le Crociate, Francesco intraprese un viaggio in Terra Santa e incontrò il sultano al-Kamil. La causa di questo viaggio non era quella di combattere, ma cercare la pace attraverso la predica del Vangelo. Questo incontro è molto significativo. Questo gesto coraggioso deve essere modello per tanti leader contemporanei, soprattutto quelli che si dicono cristiani, a cercare sempre la via del dialogo, anche quando le differenze culturali, religiose, politiche ed economiche sembrano insormontabili. Nel contesto del conflitto israelo-palestinese, ciò potrebbe suggerire la necessità di un impegno sincero per un dialogo che vada oltre le barriere ideologiche, politiche ed economiche, cercando soluzioni che riconoscano la dignità e i diritti di tutte le parti coinvolte.
Del viaggio verso l’Oriente si conosce poco. Le fonti, spesso di parte, presentano diverse lacune e versione rivedute e poco oggettive. L’unico passaggio ce lo offre Tommaso da Celano, secondo il quale è «l’ardore della carità» a spingere Francesco ad andare: «tentò di partire verso i paesi infedeli, per diffondere, con l’effusione del proprio sangue, la fede nella Trinità» (FF 1172). Ad accompagnare il Santo c’è probabilmente Fra’ Illuminato. Il campo di battaglia ha luogo a Damietta, una località situata in Egitto, sul Delta del Nilo, punto chiave per poter raggiungere il Cairo e sconfiggere il Sultano. Non sappiamo quanto duri la permanenza dei due fraticelli nel campo di battaglia: possiamo dire con quasi certezza storica che incontrarono diversi capi milizia cristiani come il Re di Gerusalemme Giovanni e il capo delle truppe, Pelagio, uomo ambizioso e autoritario che aveva il solo obbiettivo di distruggere il sultanato e riappropriarsi di Gerusalemme. Il Re Giovanni Brienne avrebbe accettato un accordo di pace con cui il Sultano si impegnava a cedere Gerusalemme in cambio del cessate il fuoco ma Pelagio vuole continuare la guerra per distruggere definitivamente l’armata musulmana il cui cuore, a suo parere, risiede proprio in Egitto. Il 29 agosto del 1219 l’esercito crociato subisce una clamorosa sconfitta. Francesco decide di andare dal Sultano. Oltre alle testimonianze scarne delle Fonti Francescane, una fonte araba confermerebbe la presenza di un monaco cristiano presso la corte di al-Kāmil: è l’epigrafe di Fakhr ad-Din al-Fārisī, direttore spirituale del Sultano. Ma abbiamo anche l’importante testimonianza di Jacques de Vitry, un religioso di fama che divenne vescovo di Acri, in Terra Santa, che era in quei luoghi all’epoca dell’incontro e ci fornisce un racconto (FF 2226-2228), per nulla agiografico, di Francesco che attraversa le linee tra i due campi, nella pianura poco fuori Damietta, e quindi dell’incontro sotto la tenda del Sultano Malek al-Kamel. Francesco torna in Europa sconfitto, non essendo riuscito né a fermare la guerra, né a convertire il Sultano, né a trovare il martirio. Eppure l’episodio è stato tramandato con grande risonanza, come attesta uno degli affreschi giotteschi della Basilica superiore di Assisi, dove Francesco è rappresentato nell’atto di sfidare il Sultano e i suoi sacerdoti alla prova del fuoco. Secondo la Legenda Maior di San Bonaventura, il Sultano avrebbe rifiutato di verificare la propria fede per mezzo dell’ordalia, riconoscendo così indirettamente la superiorità del cristianesimo. Spogliando questa spiegazione di Bonaventura da un senso agiografico, il Sultano avrebbe potuto non verificare la fede di Francesco con l’ordalia poiché, dalle parole, ne ha riconosciuto la caratura morale e culturale.
Il peso specifico dell'incontro tra San Francesco e il Sultano va oltre la mera cronaca: incarna un sacramento forte e durevole del potenziale che ogni uomo ha per raggiungere la comprensione e la pace, oltre qualsiasi barriera e aspettativa. Nonostante il suo ritorno in Europa senza successi concreti, Francesco non torna sconfitto dalla sua crociata. Il cuore ardente di fede e la mente aperta al dialogo, che hanno guidato il suo viaggio, sono le stigmate spirituali del coraggio della pace. Francesco ha dimostrato e dimostra ancora che il vero successo non si misura solo con la vittoria in battaglia o il numero di medaglie che ci si porta a casa ma anche nella capacità di spianare la strada alla comprensione, all’accoglienza e all’inclusione in un postribolo di vicoli dell’odio e dei conflitti. Questa lezione è tanto più rilevante oggi, nel nostro qui ed ora, in un mondo frammentato da tensioni etniche, politiche e soprattutto economiche. Il dialogo, come strumento di pace, richiede una pazienza e una perseveranza che vanno oltre i limiti delle convenzioni diplomatiche tradizionali. Occorre ripuntare sull’umano: Francesco si è presentato con la sua totale umanità, senza doni, senza monete: ricentrarci sull’uomo e mettere da parte i sistemi economici è certamente la via per la pace. Una politica economico-centrica sarà sempre e continuamente causa di conflitti che dovrebbero dissetare la sete di potere dei leader di tutti i secoli, specie i leader contemporanei. Il suo incontro con il Sultano ci sfida a riflettere su cosa significhi veramente essere portatori di pace in tempi di divisione. Francesco, con la sua umiltà e determinazione, ci mostra che il dialogo autentico non cerca di annullare le differenze, non appiattisce mai l’uomo al pensiero unico ma cerca di comprendere le diversità e le rispetta, costruendo collegamenti laddove sembrano esserci solo dirupi. La sua storia invita tutti, specialmente i politici e chi, come me, amministra piccoli e grandi comuni, a un esame di coscienza collettivo: siamo pronti a seguire il suo esempio? Francesco, nella sua profonda fede, ci insegna la laicità del rispetto: non ha convertito nessuno, né si lasciato convertire.
Oggi, mentre ci confrontiamo con le sfide del nostro tempo, dall'instabilità politica dell’Oriente alla crisi dei rifugiati, dall'intolleranza culturale alla crescente polarizzazione tra bene e male, piegati al soddisfacimento del nostro utile e non della verità, il messaggio di Francesco risuona come squillantemente disarmante: una fede autentica non è mai strumento di divisione, ma forza di riconciliazione. In questo senso, l'eredità di San Francesco non è un baule di vecchi ricordi ritrovato in soffitta, ma acqua fresca che al mattino ci lava il viso dall’odio e dall’intolleranza, è speranza per futuro ogni volta che la scegliamo come guida nei nostri piccoli gesti quotidiani come via del dialogo e della comprensione reciproca.
In un mondo dove la polvere e il sangue sul volto dell'umanità sembrano la normalità, dove l’economia sembra essere il solo faro della ragione, offuscando l’umanità, il messaggio di San Francesco d’Assisi si siede sulla cattedra della speranza. L’incontro tra il Santo e il Sultano al-Malik al-Kamil non è solo un fare memoria del passato, ma un segnale continuo a riscoprire la potenza della pace, specialmente in luoghi come la Palestina, dove oggi, come allora, la violenza è il solo pane quotidiano. Francesco ci insegna che la vera forza non risiede nella conquista, ma nella compassione; non nel potere, ma nella comprensione. Il conflitto israelo-palestinese, che continua a mietere vittime innocenti, ci ricorda quanto sia urgente il bisogno di voci come quella di Francesco, capaci di parlare al cuore dell’uomo, al di là di economia e politica. Il messaggio di Francesco è un bisbiglio di pace che si leva al di sopra del frastuono dei cannoni. E mentre i venti della guerra continuano a soffiare, ci ricorda che la pace è sempre possibile. Così, mentre oggi celebriamo San Francesco nella festa del suo transito, non dimentichiamo che la sua eredità vive in ogni passo verso la pace, in ogni mano tesa verso il dialogo. Mi si conceda una laica e cristiana preghiera: che il suo spirito guidi i nostri cuori, affinché, un giorno, anche in Palestina, e in ogni angolo del mondo, possa fiorire la pace che Francesco tanto ardentemente desiderava.
Pietro Santoro, nato a Caserta il 29 dicembre 1990. Primo di tre figli, ho vissuto la mia infanzia e adolescenza alle pendici del Monte Tifata, tra San Tammaro, Santa Maria Capua Vetere e Capua, dove ho frequentato il Liceo Scientifico “L. Garofano”. Nel 2009 mi sono iscritto presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, la sez. San Luigi, conseguendo nel 2014 il Baccellerato in Sacra Teologia, con la valutazione di magna cum laude. Negli stessi anni ho frequentato il Pontificio Seminario Campano Interregionale di Posillipo, il Seminario Maggiore per le arcidiocesi e diocesi della Campania e del meridione d'Italia che ne hanno affidato la direzione alla Compagnia di Gesù (Gesuiti). È il luogo che la Chiesa Cattolica istituisce per la formazione del futuro clero diocesano. Ho frequentato la Pontifica Università della Santa Croce in Roma per la Licenza in Diritto Canonico. Vivo in Lombardia dal 4 novembre 2015 e a Osnago dal 2019. Ho insegnato Religione Cattolica dal 2015 al 2023 presso alcune scuole del meratese ma soprattutto presso la Scuola Primaria “G. Rodari” di Cernusco Lombardone, di cui sono stato Responsabile di Plesso dal 2018 al 2023. Ad oggi sono istruttore amministrativo presso i Servizi Demografici -Ufficio Elettorale – del Comune di Merate, frequento il primo anno della Facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi “G. Marconi”.
Rubrica a cura di Pietro Santoro