Feto morto: primi riscontri. Rispettato il protocollo
Dalle prime risultanze, in attesa della conclusione dell’indagine interna (audit) sembra che non si ravvisino responsabilità in capo agli operatori nel caso della donna incinta alla 34.ma settimana, giunta al Pronto soccorso di Merate accusando una emorragia. L’infermiere del triage aveva assegnato il codice giallo – criticità media – e, seguendo il protocollo aziendale del 10 maggio 2024, aveva contattato il “punto nascite” di Lecco, concordando lo “Stam”, il Sistema di Trasporto Materno Assistito.
Nel volgere di una trentina di minuti – ma i dati precisi sono all’esame – la paziente è stata caricata in ambulanza e trasferita al Pronto Soccorso di Lecco; di lì in sala operatoria e sottoposta al taglio cesareo. Come noto, però, il feto femminile era già privo di vita. Dunque sembra che dal punto di vista procedurale il medico di Ps del Mandic abbia rispettato il protocollo. Tuttavia sul documento si menziona anche una attività chirurgica di emergenza urgenza H 24 sette giorni su sette. E si indicano i nomi dei ginecologi chirurghi da contattare telefonicamente: Antonio Pellegrino (primario), Claudio Reato, Mario Villa.
Il punto interrogativo della vicenda pare essere il mancato accertamento diagnostico delle condizioni del feto mediante ecografia. Accertamento che, certamente, implica una spiccata conoscenza della specialità di Ostetricia-Ginecologia e un’esperienza nell’individuazione delle condizioni cardiache del feto stesso. Competenze probabilmente che non sempre sono nel bagaglio di un medico di medicina d’urgenza. Ma su questo punto permane l’incertezza. Meno incerto è il quesito se non fosse preferibile – data la probabile situazione di emergenza intrasferibile – che fosse un ginecologo chirurgo di Lecco a raggiungere Merate a bordo di un’auto medica che a sirene spiegate avrebbe potuto arrivare al Mandic in una quindicina di minuti.
Indubbiamente resta la domanda sulle condizioni del feto nel momento del triage. Su tutto, però, “pesa” come un macigno la soppressione del Punto nascite del Mandic. Una soppressione dalle conseguenze ancora oggi incalcolabili ma che già mostra i primi tragici effetti. Un presidio per acuti che di fatto non è in grado di rispondere a una situazione emergenziale analoga non può che suscitare nel bacino di utenza forti perplessità. E forse anche i primari che alla decisione del precedente direttore generale di chiudere il punto nascite si sono voltati dall’altra parte oggi dovrebbero interrogarsi sulle future conseguenze.
Se dovessero presentarsi altri casi del genere appare evidente che il protocollo è del tutto inadeguato. E non è certo il sistema “Stam” a dare una risposta soddisfacente.
La nuova direzione generale dovrà riflettere molto su questo caso, al di là dei risultati dell’audit. Perché, come già detto, se una meratese partorisce a Vimercate è probabile che per altre patologie sceglierà uno dei “petali” di quel presidio. Raggiungibile in una decina di minuti.
Nel volgere di una trentina di minuti – ma i dati precisi sono all’esame – la paziente è stata caricata in ambulanza e trasferita al Pronto Soccorso di Lecco; di lì in sala operatoria e sottoposta al taglio cesareo. Come noto, però, il feto femminile era già privo di vita. Dunque sembra che dal punto di vista procedurale il medico di Ps del Mandic abbia rispettato il protocollo. Tuttavia sul documento si menziona anche una attività chirurgica di emergenza urgenza H 24 sette giorni su sette. E si indicano i nomi dei ginecologi chirurghi da contattare telefonicamente: Antonio Pellegrino (primario), Claudio Reato, Mario Villa.
Il punto interrogativo della vicenda pare essere il mancato accertamento diagnostico delle condizioni del feto mediante ecografia. Accertamento che, certamente, implica una spiccata conoscenza della specialità di Ostetricia-Ginecologia e un’esperienza nell’individuazione delle condizioni cardiache del feto stesso. Competenze probabilmente che non sempre sono nel bagaglio di un medico di medicina d’urgenza. Ma su questo punto permane l’incertezza. Meno incerto è il quesito se non fosse preferibile – data la probabile situazione di emergenza intrasferibile – che fosse un ginecologo chirurgo di Lecco a raggiungere Merate a bordo di un’auto medica che a sirene spiegate avrebbe potuto arrivare al Mandic in una quindicina di minuti.
Indubbiamente resta la domanda sulle condizioni del feto nel momento del triage. Su tutto, però, “pesa” come un macigno la soppressione del Punto nascite del Mandic. Una soppressione dalle conseguenze ancora oggi incalcolabili ma che già mostra i primi tragici effetti. Un presidio per acuti che di fatto non è in grado di rispondere a una situazione emergenziale analoga non può che suscitare nel bacino di utenza forti perplessità. E forse anche i primari che alla decisione del precedente direttore generale di chiudere il punto nascite si sono voltati dall’altra parte oggi dovrebbero interrogarsi sulle future conseguenze.
Se dovessero presentarsi altri casi del genere appare evidente che il protocollo è del tutto inadeguato. E non è certo il sistema “Stam” a dare una risposta soddisfacente.
La nuova direzione generale dovrà riflettere molto su questo caso, al di là dei risultati dell’audit. Perché, come già detto, se una meratese partorisce a Vimercate è probabile che per altre patologie sceglierà uno dei “petali” di quel presidio. Raggiungibile in una decina di minuti.