Church Pocket/26: il fascino della povertà evangelica
In un mondo dove i tesori più grandi sono quelli nascosti negli angoli bui del cuore, c'è una Chiesa che guarda con occhi nuovi alle sue ricchezze secolari. Immaginate per un attimo che ogni reliquiario dorato, ogni calice, pisside, patena, tabernacolo e ogni paramento preziosamente ricamato fosse venduto per dare vita a quell’utopico sogno: sconfiggere la fame che morde le terre d’Africa. Un gesto così audace che risuona un’eco lontano del Vangelo: e se la vera ricchezza fosse sfamare chi non ha nulla? Il lettore M. propone al Rettore del Santuario della Madonna del Bosco un gesto “che farebbe onore e porterebbe forse tanta gente a credere che davvero esiste ancora chi vive davvero il messaggio di Cristo”. Questa riflessione ha scosso, forse, più me che il Reverendo Rettore della Basilica Mariana e, sotto l’ombrellone, ha generato in me un dovere di risposta.
Andiamo ora al messaggio di Cristo. Nel vangelo di Luca, cap. 6, vers. 24 Gesù afferma: «Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione!». Facciamone una breve esegesi. Luca 6,24 è una parte del "discorso della pianura" di Gesù, una pericope dell’evangelista medico che contiene insegnamenti simili al "discorso della montagna" di Matteo, ma con alcune differenze.
Questo versetto fa parte di una serie di "guai", ossia di ammonizioni, che Gesù pronuncia immediatamente dopo le "beatitudini". L’oggetto dell’ammonizione è “perché avete già ricevuto la vostra consolazione!": questa frase implica che i ricchi che trovando la loro consolazione nella ricchezza e nei piaceri terreni, hanno già ricevuto tutto ciò che possono ottenere. L'idea è quella di una ricchezza fine a sé stessa, una ricchezza di cui si è schiavi e dove, a volte, il dio quattrino sostituisce il Dio uno e trino. La ricchezza di cui il Messia parla è la sola cosa che il ricco desidera, priva della vera ricchezza spirituale e della benedizione che viene da Dio. Questo versetto, insieme agli altri tre "guai", è spesso interpretato come una critica all'ineguaglianza economica. Gesù sembra sottolineare che i ricchi godano solo di benessere e privilegi nella vita presente. Cristo invece si rivolge solo a quei ricchi che rischiano di perdere la benedizione futura perché troppo attenti alla benedizione economica e perché la loro vita è centrata solo sui beni materiali. In questo versetto ma, in generale nella teologia lucana, Gesù non condanna la ricchezza in sé, ma l'attaccamento alla ricchezza. Quando i beni materiali diventano la sola fonte principale di consolazione, si rischia di perdere di vista il bisogno di Dio e la chiamata a vivere in solidarietà con gli altri, specialmente con i più poveri. Il "guai a voi, ricchi" è un avvertimento contro il pericolo di trovare la propria pienezza nelle sole ricchezze terrene, invece che nella relazione con Dio e con la comunità, verso il prossimo. È un richiamo a vivere liberi dalla schiavitù dei beni materiali.
Altro brano molto celebre su questo argomento è la famosa “Unzione di Betania”:
«Mentre era a Betania, in casa di Simone il lebbroso, egli era a tavola. Una donna venne con un vaso di alabastro contenente un unguento di nardo molto costoso; rompendo il vaso, versò l'unguento sul suo capo. Alcuni dei presenti si infuriarono e dicevano tra di loro: "Perché questo spreco di unguento? Questo unguento avrebbe potuto essere venduto per più di trecento denari e dato ai poveri". E la rimproveravano. Ma Gesù disse: "Lasciate che la donna faccia questo. Perché la infastidite? Ha compiuto un'opera buona verso di me. I poveri infatti li avrete sempre con voi e potrete far loro del bene quando volete, ma non avrete sempre me". Lei ha fatto ciò che poteva; ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità vi dico che ovunque sarà predicato il Vangelo, nel mondo intero, sarà ricordato anche ciò che questa donna ha fatto in mio ricordo".»
Tema principale di questa pericope è l’indignazione dei presenti per quello che percepiscono come uno spreco di un bene prezioso. Giuda suggerisce, come il nostro lettore M., che il denaro ottenuto dalla vendita del profumo poteva essere utilizzato per sostenere i poveri. Gesù, tuttavia, difende l'azione della donna e sottolinea che la sua unzione è un atto di preparazione per la sua sepoltura. La critica di Giuda e degli astanti ci fa capire la poca considerazione che hanno del valore dell'atto di adorazione. Vedono l’unguento, mezzo dell’adorazione, come uno spreco piuttosto che un oggetto che aiuta ed esterna il sentimento di venerazione e contrizione della donna. Pur essendo autentica la loro preoccupazione per i poveri, il loro giudizio manca di una visione più profonda del significato dell’atto e del senso della fede in generale. L'episodio di Marco 14 è un potente insegnamento sulla devozione e sul sacrificio e sulla fede, in generale. Gesù invita a considerare il valore dell’adorazione e della preghiera e a riconoscere che tali gesti trascendono le valutazioni materiali.
Oltre alle parole di Cristo, abbiamo un grande esempio nella storia della Chiesa: San Francesco D’Assisi. Pur promuovendo una vita di povertà radicale, il Poverello d’Assisi incitava i frati chierici ad avere un profondo rispetto per tutto ciò che riguarda il culto divino, inclusi i paramenti liturgici e gli oggetti sacri. È importante riconoscere che, per Francesco, la povertà non era sinonimo di trascuratezza, di mancanza di rispetto verso la sacralità, o di pauperismo; piuttosto era un modo per mantenere l'attenzione su Dio. San Francesco esprimeva un rispetto reverenziale per l'Eucaristia e per tutto ciò che riguardava il culto. In una delle sue lettere ai custodi insiste affinché l'Eucaristia sia conservata con grande cura e venerazione. Nella sua prima lettera ai custodi dice ai suoi frati:
«Vi prego, più che se riguardasse me stesso, che, quando vi sembrerà conveniente e utile, supplichiate umilmente i chierici che debbano venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo. I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, debbano averli di materia preziosa. E se in qualche luogo il santissimo corpo del Signore fosse collocato in modo troppo miserevole, secondo il comando della Chiesa venga da loro posto e custodito in un luogo prezioso, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione».
Questo mostra chiaramente che persino Francesco, notoriamente conosciuto come poverello, non era contrario all'uso di oggetti di valore nella liturgia, purché fossero usati con il giusto spirito e non come simbolo di ricchezza o potere, ma come segno di onore verso Dio. Nelle sue lettere, Francesco ammonisce severamente i frati e i fedeli a trattare con rispetto le cose sacre, come i libri liturgici, i calici e gli altari. Questo rispetto non deve essere inteso come un attaccamento materialistico, ma come un riconoscimento della sacralità degli oggetti che servono nel culto divino. Egli sottolinea che, pur vivendo in povertà, i frati devono assicurarsi che tutto ciò che riguarda la liturgia sia fatto in modo degno.
E così, alla fine di questo brevissimo viaggio tra Vangelo e agiografia, tra il sogno di una Chiesa povera per i poveri e l’eredità spirituale di San Francesco, ci troviamo di fronte a una domanda che riecheggia come un’antica melodia: cosa farebbe oggi Cristo con i tesori della Chiesa? Forse li venderebbe per sfamare gli affamati, o forse li terrebbe, non per esaltare la ricchezza, ma per onorare il sacrificio divino. Perché, in fondo, la ricchezza che conta davvero non si misura in monete, ma nel pane che spezziamo insieme, nel calice che offriamo, e nel rispetto con cui onoriamo Dio, sia nell’altare sia nei volti dei poveri. Per questo, la cura e la tutela del patrimonio storico culturale della Chiesa è un dovere: verso la Sacra Liturgia, verso la comunità e verso la lode a Dio. Non esiste Carità che non parta dall’altare: quella carità che non parte da Cristo è normata dal Codice del terzo settore e si chiama volontariato e filantropia ma non carità cristiana.Come l'unguento di nardo versato sul corpo di Signore, anche le celesti armonie di un antico e prezioso organo, con il loro suono solenne e squillante, possono diventare un’offerta di adorazione, un ponte tra il cielo e la terra. Restaurare l'organo del Santuario della Madonna del Bosco non diventa così solo un atto di conservazione di un'opera d'arte, ma è un invito ad accordare ancora una volta l'anima di una comunità alla lode di Dio. Non dimentichiamo che la vera povertà evangelica non è privarsi di tutto, ma dare a ogni cosa il giusto valore, trasformando la bellezza in preghiera e la musica in un modo per celebrare l’amore divino. Perché, come Francesco d'Assisi insegnava, la povertà non è disprezzo del bello: è capacità di vedere nel sublime un riflesso dell’Amore di Dio. E se il suono di un organo, restaurato, può elevare i cuori a Dio, allora, in quella musica, troveremo una ricchezza che nessuna moneta potrà mai misurare.
Andiamo ora al messaggio di Cristo. Nel vangelo di Luca, cap. 6, vers. 24 Gesù afferma: «Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione!». Facciamone una breve esegesi. Luca 6,24 è una parte del "discorso della pianura" di Gesù, una pericope dell’evangelista medico che contiene insegnamenti simili al "discorso della montagna" di Matteo, ma con alcune differenze.
Questo versetto fa parte di una serie di "guai", ossia di ammonizioni, che Gesù pronuncia immediatamente dopo le "beatitudini". L’oggetto dell’ammonizione è “perché avete già ricevuto la vostra consolazione!": questa frase implica che i ricchi che trovando la loro consolazione nella ricchezza e nei piaceri terreni, hanno già ricevuto tutto ciò che possono ottenere. L'idea è quella di una ricchezza fine a sé stessa, una ricchezza di cui si è schiavi e dove, a volte, il dio quattrino sostituisce il Dio uno e trino. La ricchezza di cui il Messia parla è la sola cosa che il ricco desidera, priva della vera ricchezza spirituale e della benedizione che viene da Dio. Questo versetto, insieme agli altri tre "guai", è spesso interpretato come una critica all'ineguaglianza economica. Gesù sembra sottolineare che i ricchi godano solo di benessere e privilegi nella vita presente. Cristo invece si rivolge solo a quei ricchi che rischiano di perdere la benedizione futura perché troppo attenti alla benedizione economica e perché la loro vita è centrata solo sui beni materiali. In questo versetto ma, in generale nella teologia lucana, Gesù non condanna la ricchezza in sé, ma l'attaccamento alla ricchezza. Quando i beni materiali diventano la sola fonte principale di consolazione, si rischia di perdere di vista il bisogno di Dio e la chiamata a vivere in solidarietà con gli altri, specialmente con i più poveri. Il "guai a voi, ricchi" è un avvertimento contro il pericolo di trovare la propria pienezza nelle sole ricchezze terrene, invece che nella relazione con Dio e con la comunità, verso il prossimo. È un richiamo a vivere liberi dalla schiavitù dei beni materiali.
Altro brano molto celebre su questo argomento è la famosa “Unzione di Betania”:
«Mentre era a Betania, in casa di Simone il lebbroso, egli era a tavola. Una donna venne con un vaso di alabastro contenente un unguento di nardo molto costoso; rompendo il vaso, versò l'unguento sul suo capo. Alcuni dei presenti si infuriarono e dicevano tra di loro: "Perché questo spreco di unguento? Questo unguento avrebbe potuto essere venduto per più di trecento denari e dato ai poveri". E la rimproveravano. Ma Gesù disse: "Lasciate che la donna faccia questo. Perché la infastidite? Ha compiuto un'opera buona verso di me. I poveri infatti li avrete sempre con voi e potrete far loro del bene quando volete, ma non avrete sempre me". Lei ha fatto ciò che poteva; ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità vi dico che ovunque sarà predicato il Vangelo, nel mondo intero, sarà ricordato anche ciò che questa donna ha fatto in mio ricordo".»
Tema principale di questa pericope è l’indignazione dei presenti per quello che percepiscono come uno spreco di un bene prezioso. Giuda suggerisce, come il nostro lettore M., che il denaro ottenuto dalla vendita del profumo poteva essere utilizzato per sostenere i poveri. Gesù, tuttavia, difende l'azione della donna e sottolinea che la sua unzione è un atto di preparazione per la sua sepoltura. La critica di Giuda e degli astanti ci fa capire la poca considerazione che hanno del valore dell'atto di adorazione. Vedono l’unguento, mezzo dell’adorazione, come uno spreco piuttosto che un oggetto che aiuta ed esterna il sentimento di venerazione e contrizione della donna. Pur essendo autentica la loro preoccupazione per i poveri, il loro giudizio manca di una visione più profonda del significato dell’atto e del senso della fede in generale. L'episodio di Marco 14 è un potente insegnamento sulla devozione e sul sacrificio e sulla fede, in generale. Gesù invita a considerare il valore dell’adorazione e della preghiera e a riconoscere che tali gesti trascendono le valutazioni materiali.
Oltre alle parole di Cristo, abbiamo un grande esempio nella storia della Chiesa: San Francesco D’Assisi. Pur promuovendo una vita di povertà radicale, il Poverello d’Assisi incitava i frati chierici ad avere un profondo rispetto per tutto ciò che riguarda il culto divino, inclusi i paramenti liturgici e gli oggetti sacri. È importante riconoscere che, per Francesco, la povertà non era sinonimo di trascuratezza, di mancanza di rispetto verso la sacralità, o di pauperismo; piuttosto era un modo per mantenere l'attenzione su Dio. San Francesco esprimeva un rispetto reverenziale per l'Eucaristia e per tutto ciò che riguardava il culto. In una delle sue lettere ai custodi insiste affinché l'Eucaristia sia conservata con grande cura e venerazione. Nella sua prima lettera ai custodi dice ai suoi frati:
«Vi prego, più che se riguardasse me stesso, che, quando vi sembrerà conveniente e utile, supplichiate umilmente i chierici che debbano venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo. I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, debbano averli di materia preziosa. E se in qualche luogo il santissimo corpo del Signore fosse collocato in modo troppo miserevole, secondo il comando della Chiesa venga da loro posto e custodito in un luogo prezioso, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione».
Questo mostra chiaramente che persino Francesco, notoriamente conosciuto come poverello, non era contrario all'uso di oggetti di valore nella liturgia, purché fossero usati con il giusto spirito e non come simbolo di ricchezza o potere, ma come segno di onore verso Dio. Nelle sue lettere, Francesco ammonisce severamente i frati e i fedeli a trattare con rispetto le cose sacre, come i libri liturgici, i calici e gli altari. Questo rispetto non deve essere inteso come un attaccamento materialistico, ma come un riconoscimento della sacralità degli oggetti che servono nel culto divino. Egli sottolinea che, pur vivendo in povertà, i frati devono assicurarsi che tutto ciò che riguarda la liturgia sia fatto in modo degno.
E così, alla fine di questo brevissimo viaggio tra Vangelo e agiografia, tra il sogno di una Chiesa povera per i poveri e l’eredità spirituale di San Francesco, ci troviamo di fronte a una domanda che riecheggia come un’antica melodia: cosa farebbe oggi Cristo con i tesori della Chiesa? Forse li venderebbe per sfamare gli affamati, o forse li terrebbe, non per esaltare la ricchezza, ma per onorare il sacrificio divino. Perché, in fondo, la ricchezza che conta davvero non si misura in monete, ma nel pane che spezziamo insieme, nel calice che offriamo, e nel rispetto con cui onoriamo Dio, sia nell’altare sia nei volti dei poveri. Per questo, la cura e la tutela del patrimonio storico culturale della Chiesa è un dovere: verso la Sacra Liturgia, verso la comunità e verso la lode a Dio. Non esiste Carità che non parta dall’altare: quella carità che non parte da Cristo è normata dal Codice del terzo settore e si chiama volontariato e filantropia ma non carità cristiana.Come l'unguento di nardo versato sul corpo di Signore, anche le celesti armonie di un antico e prezioso organo, con il loro suono solenne e squillante, possono diventare un’offerta di adorazione, un ponte tra il cielo e la terra. Restaurare l'organo del Santuario della Madonna del Bosco non diventa così solo un atto di conservazione di un'opera d'arte, ma è un invito ad accordare ancora una volta l'anima di una comunità alla lode di Dio. Non dimentichiamo che la vera povertà evangelica non è privarsi di tutto, ma dare a ogni cosa il giusto valore, trasformando la bellezza in preghiera e la musica in un modo per celebrare l’amore divino. Perché, come Francesco d'Assisi insegnava, la povertà non è disprezzo del bello: è capacità di vedere nel sublime un riflesso dell’Amore di Dio. E se il suono di un organo, restaurato, può elevare i cuori a Dio, allora, in quella musica, troveremo una ricchezza che nessuna moneta potrà mai misurare.
Pietro Santoro, nato a Caserta il 29 dicembre 1990. Primo di tre figli, ho vissuto la mia infanzia e adolescenza alle pendici del Monte Tifata, tra San Tammaro, Santa Maria Capua Vetere e Capua, dove ho frequentato il Liceo Scientifico “L. Garofano”. Nel 2009 mi sono iscritto presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, la sez. San Luigi, conseguendo nel 2014 il Baccellerato in Sacra Teologia, con la valutazione di magna cum laude. Negli stessi anni ho frequentato il Pontificio Seminario Campano Interregionale di Posillipo, il Seminario Maggiore per le arcidiocesi e diocesi della Campania e del meridione d'Italia che ne hanno affidato la direzione alla Compagnia di Gesù (Gesuiti). È il luogo che la Chiesa Cattolica istituisce per la formazione del futuro clero diocesano. Ho frequentato la Pontifica Università della Santa Croce in Roma per la Licenza in Diritto Canonico. Vivo in Lombardia dal 4 novembre 2015 e a Osnago dal 2019. Ho insegnato Religione Cattolica dal 2015 al 2023 presso alcune scuole del meratese ma soprattutto presso la Scuola Primaria “G. Rodari” di Cernusco Lombardone, di cui sono stato Responsabile di Plesso dal 2018 al 2023.
Rubrica a cura di Pietro Santoro