Bologna, 2 agosto 1980 ore 10.25: una bomba in stazione ferma le lancette del destino del meratese Roberto Castaldo
A 44 anni dalla strage di Bologna, dove morirono 80 persone e centinaia furono i feriti, anche gravi e con disabilità permanenti per la deflagrazione della bomba alla stazione ferroviaria, il meratese Roberto Castaldo non ha voluto mancare e ancora una volta ha presenziato alla cerimonia con le più alte cariche dello Stato e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana cardinale Matteo Maria Zuppi.
È uno dei sopravvissuti e uno dei più lucidi testimoni di quella pagina di terrore e orrore che ancora oggi si porta dentro e che ha sconvolto completamente la sua esistenza.
Così come l'orologio fermato sulle 10.25, attimo della deflagrazione dell'ordigno posizionato nella sala di attesa, anche le lancette della sua vita si sono arrestate. E da quel momento, vuoi per le conseguenze fisiche vuoi per la ferita nell'animo, hanno marciato con un ritmo diverso.
Nemmeno trentenne, da poco in forze presso le Ferrovie dello Stato, Castaldo, allora residente a Milano, quella mattina avrebbe dovuto fare la tratta verso Cremona e, invece, all'ultimo era stato spostato su Bologna. Durante il ritorno c'erano 50 minuti di ritardo al convoglio che avrebbe dovuto portarlo verso il capoluogo meneghino. Il treno era fermo sul binario davanti alla sala di attesa che si trovava a destra e lui si era nei pressi delle vetture di seconda classe al centro. “Alle 10.25 orario della partenza, c'è stata una enorme deflagrazione. Mentre gli altri coinvolti, che erano in sala di attesa o che sono stati travolti dalle macerie e non si sono resi conto, io ho visto le fiammate uscire dalla porta del locale che è stata scaraventata verso il treno, ho visto la fuliggine e poi ho visto uscire da quella densa nube una persona e venire verso di me. Era completamente carbonizzata e aveva il bulbo dell'occhio destro appoggiato sullo zigomo. Ho fatto solo in tempo a mettergli le mani sulle spalle e a dirgli di aspettare i soccorsi, che è crollato tutto. Mi sono trovato sotto le macerie della pensilina e una colonna di ghisa mi è venuta sulle gambe. Un'altra persona è stata schiacciata ai miei piedi da un grosso masso poi tutto si è fermato e c'è stato solo silenzio con questa fuliggine grigia che copriva tutta l'area”.
Impossibilitato a liberarsi, Castaldo viene aiutato da un giovane che sposta il pezzo di ghisa. Rimessosi in piedi, pur tra dolori lancinanti inizia ad aiutare coloro che trova sul suo cammino. È sconvolto, spaesato, ci sono solo fumo, macerie e iniziano a sentirsi le urla di dolore e disperazione.
Aiuta tutti coloro che incontra: sono feriti con arti dilaniati, confusi, scossi profondamente.
Con estrema lucidità comprende che bisogna fare spazio ai soccorsi e liberare loro la strada, spostando i corpi di chi ormai era morto.
“C'erano cadaveri ovunque. Allora ho iniziato a spostarli in un bus, il numero 37, così da consentire ai soccorritori di intervenire il più in fretta possibile. Le ambulanze erano piene...”.
Immagini che non si sono mai cancellate dalla memoria del giovane ferroviere, milanese e trasferitosi a Merate, in frazione di Cassina, una quindicina di anni fa.
“Ho avuto le pupille sbarrate per anni per quello che avevo visto. I miei sonni sono sempre stati tormentati da incubi. Della ferita alla gamba con il crollo del blocco di ghisa porto ancora oggi le conseguenze con problemi di deambulazione”.
Gli anni successivi, in occasione delle celebrazioni commemorative, Castaldo raggiungeva Bologna ma rimaneva mischiato tra la folla come uno dei tanti cittadini che avevano conosciuto i fatti tramite la storia e i telegiornali, non invece come un portatore diretto di quegli attimi.
Nel frattempo si era creata una associazione per assistere i sopravvissuti e le famiglie delle vittime e Castaldo era stato nominato vicepresidente.
“Ogni anno porto il mio contributo e parlo con le autorità per affrontare il tema dei ristori delle vittime che ad oggi non sono stati completamente esauriti. Voglio testimoniare in piazza così come ho sempre fatto nelle scuole per portare quella che è stata la mia esperienza”.
All'epoca 27enne, dopo un lungo periodo di cure, aveva ripreso a lavorare sui treni sino al 1986 quando nella tratta a lui assegnata, la Milano-Lecco, un giorno il controllore gli segnala una valigia abbandonata. Erano gli anni degli attentati sui treni. “Io andai in panico. Pensai subito a una bomba e le immagini di Bologna tornarono a scorrere davanti ai miei occhi. Quando il treno arrivò a Lecco, un'ambulanza mi portò in ospedale dove fui ricoverato. Le Ferrovie mi mandarono a fare una visita specialistica. Con il certificato del medico passai a lavorare negli uffici”.
A Merate approda una quindicina di anni fa, complice la frequentazione con la famiglia di alcuni ristoranti lungo l'Adda. Ma ogni anno il 2 agosto Roberto Castaldo raggiunge nuovamente Bologna, entra nella sala di attesa e partecipa alla commemorazione. Lì dove la storia d'Italia si è fermata e anche le lancette della sua vita hanno preso un corso diverso.
È uno dei sopravvissuti e uno dei più lucidi testimoni di quella pagina di terrore e orrore che ancora oggi si porta dentro e che ha sconvolto completamente la sua esistenza.
Così come l'orologio fermato sulle 10.25, attimo della deflagrazione dell'ordigno posizionato nella sala di attesa, anche le lancette della sua vita si sono arrestate. E da quel momento, vuoi per le conseguenze fisiche vuoi per la ferita nell'animo, hanno marciato con un ritmo diverso.
Nemmeno trentenne, da poco in forze presso le Ferrovie dello Stato, Castaldo, allora residente a Milano, quella mattina avrebbe dovuto fare la tratta verso Cremona e, invece, all'ultimo era stato spostato su Bologna. Durante il ritorno c'erano 50 minuti di ritardo al convoglio che avrebbe dovuto portarlo verso il capoluogo meneghino. Il treno era fermo sul binario davanti alla sala di attesa che si trovava a destra e lui si era nei pressi delle vetture di seconda classe al centro. “Alle 10.25 orario della partenza, c'è stata una enorme deflagrazione. Mentre gli altri coinvolti, che erano in sala di attesa o che sono stati travolti dalle macerie e non si sono resi conto, io ho visto le fiammate uscire dalla porta del locale che è stata scaraventata verso il treno, ho visto la fuliggine e poi ho visto uscire da quella densa nube una persona e venire verso di me. Era completamente carbonizzata e aveva il bulbo dell'occhio destro appoggiato sullo zigomo. Ho fatto solo in tempo a mettergli le mani sulle spalle e a dirgli di aspettare i soccorsi, che è crollato tutto. Mi sono trovato sotto le macerie della pensilina e una colonna di ghisa mi è venuta sulle gambe. Un'altra persona è stata schiacciata ai miei piedi da un grosso masso poi tutto si è fermato e c'è stato solo silenzio con questa fuliggine grigia che copriva tutta l'area”.
Impossibilitato a liberarsi, Castaldo viene aiutato da un giovane che sposta il pezzo di ghisa. Rimessosi in piedi, pur tra dolori lancinanti inizia ad aiutare coloro che trova sul suo cammino. È sconvolto, spaesato, ci sono solo fumo, macerie e iniziano a sentirsi le urla di dolore e disperazione.
Aiuta tutti coloro che incontra: sono feriti con arti dilaniati, confusi, scossi profondamente.
Con estrema lucidità comprende che bisogna fare spazio ai soccorsi e liberare loro la strada, spostando i corpi di chi ormai era morto.
“C'erano cadaveri ovunque. Allora ho iniziato a spostarli in un bus, il numero 37, così da consentire ai soccorritori di intervenire il più in fretta possibile. Le ambulanze erano piene...”.
Immagini che non si sono mai cancellate dalla memoria del giovane ferroviere, milanese e trasferitosi a Merate, in frazione di Cassina, una quindicina di anni fa.
“Ho avuto le pupille sbarrate per anni per quello che avevo visto. I miei sonni sono sempre stati tormentati da incubi. Della ferita alla gamba con il crollo del blocco di ghisa porto ancora oggi le conseguenze con problemi di deambulazione”.
Gli anni successivi, in occasione delle celebrazioni commemorative, Castaldo raggiungeva Bologna ma rimaneva mischiato tra la folla come uno dei tanti cittadini che avevano conosciuto i fatti tramite la storia e i telegiornali, non invece come un portatore diretto di quegli attimi.
Nel frattempo si era creata una associazione per assistere i sopravvissuti e le famiglie delle vittime e Castaldo era stato nominato vicepresidente.
“Ogni anno porto il mio contributo e parlo con le autorità per affrontare il tema dei ristori delle vittime che ad oggi non sono stati completamente esauriti. Voglio testimoniare in piazza così come ho sempre fatto nelle scuole per portare quella che è stata la mia esperienza”.
All'epoca 27enne, dopo un lungo periodo di cure, aveva ripreso a lavorare sui treni sino al 1986 quando nella tratta a lui assegnata, la Milano-Lecco, un giorno il controllore gli segnala una valigia abbandonata. Erano gli anni degli attentati sui treni. “Io andai in panico. Pensai subito a una bomba e le immagini di Bologna tornarono a scorrere davanti ai miei occhi. Quando il treno arrivò a Lecco, un'ambulanza mi portò in ospedale dove fui ricoverato. Le Ferrovie mi mandarono a fare una visita specialistica. Con il certificato del medico passai a lavorare negli uffici”.
A Merate approda una quindicina di anni fa, complice la frequentazione con la famiglia di alcuni ristoranti lungo l'Adda. Ma ogni anno il 2 agosto Roberto Castaldo raggiunge nuovamente Bologna, entra nella sala di attesa e partecipa alla commemorazione. Lì dove la storia d'Italia si è fermata e anche le lancette della sua vita hanno preso un corso diverso.
S.V.