Sabbioncello: dopo oltre quarant'anni in Africa il vescovo di Gibuti torna al convento, culla dei suoi studi giovanili

Voleva fare una esperienza missionaria indossando il saio di san Francesco. Sono bastati due anni in Somalia per fargli capire che la terra d'Africa sarebbe stata la sua nuova patria e da quel giorno, infatti, non l'ha più lasciata, immergendosi sempre di più nella sua cultura e nei suoi bisogni, sociali e spirituali, diventandone anch'egli parte tanto da parlare correttamente diversi idiomi e da essere insignito di numerose cariche che lo hanno reso un vero e proprio referente tra le istituzioni.
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Lo scorso marzo, però, complice l'età e qualche acciacco di salute monsignor Giorgio Bertin è rientrato in Italia e ora alloggia a Sabbioncello, luogo dove aveva iniziato i suoi studi.

Una sorta di ruota che ha girato ed è tornata lì, nella culla dove la sua vocazione si andava formando e dove l'entusiasmo giovanile gli aveva suggerito di guardare oltre i confini dell'Europa.

Classe 1946, nativo della provincia di Padova, a 9 anni con la famiglia si era trasferito a Torba, frazione di Gornate Olona in provincia di Varese, e qui l'incontro con un padre francescano aveva innescato in lui la prima scintilla del falò che poi avrebbe divorato tutta la sua esistenza, rendendola effervescente, entusiasta, carica di idee e iniziative concretizzate in opere.

Nel 1958 era entrato così nei frati di Saiano (Brescia) ed aveva iniziato gli studi, passando anche per il convento di Sabbioncello, allora crocevia di tanti giovani che si recavano a Milano per approfondire la loro preparazione. E' proprio in quegli anni che cresce in monsignor Bertin il desiderio di fare qualcosa di più radicale rispetto alla vita religiosa in un “tradizionale” convento. Qualcosa come la missione, a contatto con la povertà estrema e i bisogni della gente.
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Nel luglio del 1969 approda così in Somalia a Baidoa e resta per due anni nella missione francescana dove c'è anche una scuola e dove ha modo così di insegnare ai bambini.

Rientrato in Italia con le idee più chiare si dedica agli studi di teologia accompagnandoli a corsi di arabo e cultura islamica e naturalmente di lingua inglese.

Nel 1975 nel duomo di Milano il cardinale Giovanni Colombo lo ordina sacerdote. Per due anni a Roma studia arabo e islamistica preparandosi la strada per il salto definitivo.

Nel 1978 arriva nel Corno d'Africa e lì vi resterà sino a marzo di quest'anno.

Fondamentale per lui l'incontro con un altro vescovo Colombo, questa volta però di nome Salvatore, con il quale lavora a Mogadiscio occupandosi di catechesi, traduzioni di libri di preghiera e proprio nella grande capitale somala apre la prima biblioteca interreligiosa.

Nel 1989 il monsignore viene ucciso e Bertin, che era il suo vicario, diviene amministratore apostolico in forma temporanea.
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Sono gli anni però della guerra civile, sanguinosa e cruenta dove anche la sua cattedrale viene saccheggiata e data alle fiamme. Per tre giorni si rifugia nell'ambasciata italiana fino a quando con tre suore si unisce ai “Medici senza frontiere” del Belgio. E' il 1991, il clima è teso, la gente come impazzita assale e deruba anche coloro che cercano di dare aiuto alla popolazione. La fuga con un aereo a Mombasa, in Kenya, è il passo successivo. Per 10 anni monsignor Bertin si stabilisce a Nairobi appoggiandosi ai padri della Consolata e organizzando gli aiuti umanitari versdo la Somalia. Si presenta come “Caritas Somalia” ma si occupa in realtà degli aiuti ai rifugiati somali in Kenya. Durante questo periodo avvia un programma con Radio Vaticano di 12 minuti alla settimana in lingua somala per diffondere il messaggio sociale della Chiesa. “Non servivano solo riso, tende, medicinali. Era necessario anche dare parole e messaggi che aiutassero le persone a cambiare il loro pensiero e di conseguenza il loro modo di agire” ha spiegato mons. Bertin dalla sua attuale residenza meratese “Il problema somalo risiede nell'anarchia e nella suddivisione in clan”.

Nel 2001 resta vacante la sede episcopale di Gibuti. È il suo turno. Fratel Giorgio Bertin viene nominato vescovo dal Papa e il 25 maggio si tiene l'ordinazione. “Da quel momento ho iniziato a vivere a Gibuti restando comunque amministratore apostolico della Somalia con funzioni prettamente sociali e pastorali”. In quel tempo vengono attuati progetti umanitari denominati “hit and run”, brevi e veloci, una sorta di mordi e fuggi per non destare troppo l'attenzione ma dove il “mordere” è dare qualcosa in più alle popolazioni.
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La collaborazione con ONG locali e internazionali si fa quasi indispensabile vista la situazione del Paese, nel 2012 messo in ginocchio da una siccità spaventosa. Con l'appoggio di laici dà vita a una rete di aiuti umanitari locali importanti, creando ad esempio una scuola di pesca.

Questa zona è tuttavia meno tormentata da conflitti interni tanto che nel paese a maggioranza musulmana c'è comunque libertà di culto e la comunità cattolica conta circa 4mila persone (tanti sono lavoratori stranieri) che convivono senza particolari difficoltà. È un'area molto variegata che vive del settore terziario, nomadi con cammelli e capre, una economia che gira attorno al porto e sei basi militari. “Abbiamo aperto una scuola in inglese per istruire le persone e potersi spostare con una preparazione oltre i confini del paese” ha proseguito mons. Bertin “Nel 2012 gli studenti erano 13, oggi sono 340. Abbiamo voluto che fosse autonoma e aperta a tutti, con rette basse per permettere l'accesso al maggior numero di persone anche non abbienti e ai rifugiati dell'Etiopia e abbiamo anche istituito delle borse di studio”.

Al raggiungimento dei 75 anni fra Giorgio ha presentato, come vuole la regola, le dimissioni al Papa che le ha accettate, chiedendo però di attendere l'arrivo e il passaggio di consegne al successore a cui sono spettate la diocesi di Gibuti. Prima di lasciare l'Africa monsignor Bertin, il 18 gennaio ordina quattro sacerdoti.
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Ora al convento di Sabbioncello con i confratelli, si sta godendo un periodo di riposo pur mantenendo i collegamenti oltre confine. È infatti stato nominato presidente Caritas Medio Oriente-Nord Africa e vice presidente della commissione internazionale cattolica per i migranti con base a Ginevra.

Insomma quel desiderio di “missionarietà” che aveva nel cuore da giovane postulante è stato pienamente soddisfatto e può guardare con gioia e soddisfazione agli anni trascorsi in Africa, sempre da quella celletta del convento di Sabbioncello che si affaccia verso il santuario della Vergine del Carmelo di Montevecchia.
S.V.
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