Risposta sul talento sprecato di Lucio Garofalo

Ringrazio la Redazione per lo spazio accordatomi

Concordo pienamente con quanto scritto, questi però sono discorsi che toccano i più, ma interessano ai meno.

La nostra è una società consumistica (anche) nelle emozioni dove la pubblicità riempie gli spazi fra un intrattenimento e l’altro, se non c’è ci sembra strano perché scandisce le pause anche nei telegiornali, è parte integrante della nostra giornata e non ci facciamo più caso, è lì per orientare le nostre scelte.  

Il silenzio è come la tristezza, sono vietati. La nostra vita deve essere piena di qualcosa: parole o musica, qualsiasi tipo di musica e se non c’è musica va bene anche il rumore purché non ci sia silenzio perché col silenzio affiorano le domande che sempre ci interrogano e ci mettono in discussione. 

I social sono il mondo finto in cui ci immergiamo ovunque, per strada, al bar, al ristorante, in tutti i posti dove c’è campo e se in qualche posto lo smartphone non prende ci sentiamo persi, orfani in questo mondo di relazioni farlocche fatte di like e amicizie finte, di persone mai conosciute e che forse non esistono nemmeno nella realtà. Ma va bene così, soddisfiamo il nostro bisogno compulsivo di digitare, quello di parlare per strada ad alta voce comunicando a tutti (e non solo all’interlocutore) quello che abbiamo da dire. Il mondo deve sapere che esistiamo, diversamente saremmo il signor nessuno.

Gli influencer ci guidano, non la nostra capacità di discernere e di valutare, ma loro che definiscono i trend. In questo mondo di poca autorevolezza abbiamo bisogno di leader che decidano per noi, ci orientino e ci confortino nelle scelte evitando che affiorino le nostre fragilità, la nostra incapacità di distinguere il vero dal falso in questo mondo che tutto mischia. Così le notizie che ci arrivano sono prese per buone e non si verificano alla fonte, si consumano e basta. Per le scelte invece basta chiedere agli oracoli: gli influencer che ci indicano anche le scarpe da indossare la mattina.

La nostra è una società pervasa da dubbi e fragilità e questo non è un male, ma solo se c’è la tensione a superarli piuttosto che a sedersi in un angolino aspettando che qualcuno faccia qualcosa. Quando succede qualcosa invece tanti aspettano, fanno foto e postano sui social, attendono la mano invisibile che ponga fine al problema e poi, se non arriva, scappano. Li chiamano eroi perché hanno fatto le foto assolvendo gli ignavi che hanno girato la faccia dall’altra parte, ma gli eroi sono ben altra cosa.
Antonio Colombo
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