LIBRI CHE RIMARRANNO/103: "Aggiustare l’universo" di Raffaella Romagnolo
È l’ottobre del 1945, la guerra è appena finita, ma c’è da rifare l’Italia, e gli italiani. Virgilia detta Gilla fa la maestra. È sfollata da Genova rifugiandosi nell’entroterra per sfuggire ai bombardamenti dei Lancaster inglesi, e ora potrebbe ritornare in città. Quando il direttore della piccola scuola di Borgo di Dentro la convoca, accetta però di fare da maestra a una classe di ventitré allieve. In un’aula che durante la guerra è stata di tutto: rifugio, magazzino, prigione. I muri deturpati da risistemare, gli strumenti della didattica da aggiustare.Gilla parte da un planetario meccanico i cui braccetti sono deformati, i pianeti inesistenti, l’equilibrio di quel piccolo universo di metallo incrinato, come quello del mondo reale, violentato dalla guerra. Aggiustare quell’artificio diventa una metafora della prudente ricucitura di rapporti umani e di ricostruzione della verità che Gilla compie, con il tratto delicato e ostinato delle maestre, quelle vere.
Il direttore le porta in classe, il primo giorno di scuola, la piccola Francesca. Intelligentissima e silenziosa. Francesca scrive benissimo, dà segno di capire ancor meglio, ma non parla. Quando diventa bersaglio delle sue compagne più feroci – la guerra dei grandi genera piccoli emuli – è una sua amica all’apparenza burbera e rozza, una sorta di Garrone in gonnella, a difenderla e a scoprire, adagio, il suo segreto, con la delicatezza e l’ostinazione delle amiche, quelle vere.
Anche a Gilla Francesca concede l’accesso al suo passato, a un nome che non è Francesca, ai ricordi della sua recente infanzia a Casale Monferrato, prima che i “provvedimenti per la difesa della razza” rompessero quel suo universo perfetto. Gilla si mette in moto: va all’istituto di suore dove Francesca era stata affidata anni prima con un corredo ricco e misterioso, vanno insieme a Casale, cercano il quartiere ricordato dalla bambina, trovano la sua vecchia casa, riassegnata a una famiglia che fu fascistissima, sperano di ritrovare almeno la mamma, o il papà…
Finalista al Premio Strega 2024, sacrificato ai giochi che volevano vincitore un altro testo della galassia Mondadori, “L’età fragile” di Di Pietrantonio (Einaudi), “Aggiustare l’universo” di Raffaella Romagnolo è un bel romanzo, da leggere con trasporto ed emozione. La prosa è scorrevole. Forse “facile”, ammesso che la semplicità sia un difetto. La metafora del manufatto da aggiustare è potente ma alcune volte disturbante nei suoi intermezzi, perché il trasporto per la storia della piccola Francesca è tale che si vorrebbe saltare quegli inserti e capire, subito, cosa è stato del nonno, dello zio, del papà…
Può darsi che alcune atmosfere appaiano troppo deamicisiane, ma a me non hanno dato per nulla fastidio.
Il direttore le porta in classe, il primo giorno di scuola, la piccola Francesca. Intelligentissima e silenziosa. Francesca scrive benissimo, dà segno di capire ancor meglio, ma non parla. Quando diventa bersaglio delle sue compagne più feroci – la guerra dei grandi genera piccoli emuli – è una sua amica all’apparenza burbera e rozza, una sorta di Garrone in gonnella, a difenderla e a scoprire, adagio, il suo segreto, con la delicatezza e l’ostinazione delle amiche, quelle vere.
Anche a Gilla Francesca concede l’accesso al suo passato, a un nome che non è Francesca, ai ricordi della sua recente infanzia a Casale Monferrato, prima che i “provvedimenti per la difesa della razza” rompessero quel suo universo perfetto. Gilla si mette in moto: va all’istituto di suore dove Francesca era stata affidata anni prima con un corredo ricco e misterioso, vanno insieme a Casale, cercano il quartiere ricordato dalla bambina, trovano la sua vecchia casa, riassegnata a una famiglia che fu fascistissima, sperano di ritrovare almeno la mamma, o il papà…
Finalista al Premio Strega 2024, sacrificato ai giochi che volevano vincitore un altro testo della galassia Mondadori, “L’età fragile” di Di Pietrantonio (Einaudi), “Aggiustare l’universo” di Raffaella Romagnolo è un bel romanzo, da leggere con trasporto ed emozione. La prosa è scorrevole. Forse “facile”, ammesso che la semplicità sia un difetto. La metafora del manufatto da aggiustare è potente ma alcune volte disturbante nei suoi intermezzi, perché il trasporto per la storia della piccola Francesca è tale che si vorrebbe saltare quegli inserti e capire, subito, cosa è stato del nonno, dello zio, del papà…
Può darsi che alcune atmosfere appaiano troppo deamicisiane, ma a me non hanno dato per nulla fastidio.
Rubrica a cura di Stefano Motta