Church pocket/19. La crisi delle Vocazioni: cosa sta succedendo al Sacerdozio?

«Vi darò Pastori secondo il mio cuore» (Ger 3, 15). Con queste parole, tratte dal libro del profeta Geremia, Dio promette al suo popolo di non lasciarlo mai solo, mai senza pastori che lo radunino e lo guidino: «Costituirò sopra (le mie pecore) pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi» (Ger 23, 4). Geremia però parlava nel 600 a.C. circa. Oggi, ha senso parlare ancora di sacerdozio, di seminario, di ministero? Ma perché non li fanno sposare? Non è una istituzione un po’ vintage, per non dire retrograda e “medioevale”? Non sono meglio i pastori protestanti, tipo Eric Camden della famosa serie americana “Settimo cielo” che aveva una caterva di figli?

Uno degli aspetti più delicati che la Chiesa si trova ad affrontare da secoli, in particolare in questo tempo post-concilio, è il discernimento nella scelta dei candidati al sacerdozio e, in senso macroscopico, il ruolo del sacerdozio ordinato. Facciamo una doverosa digressione per poter capire come sia evoluto, o involuto, tale ruolo. 

L’Antico Testamento ci presenta due modelli di sacerdozio: Melchisedek e Aronne. Chi sono?

Abramo incontra Melchisedek nel libro della Genesi al capitolo 14 (vv.18-22). Dopo che Abramo ha vinto una battaglia per liberare suo nipote Lot, Melchisedek, re di Salem e sacerdote del Dio Altissimo, incontra Abramo. Porta pane e vino, benedice Abramo e gli dona una decima di tutti i suoi beni. Per via della sua benedizione su Abramo, è considerato una figura sacerdotale che non appartiene al sacerdozio levitico, di cui il primo esponente è Aronne, fratello maggiore di Mosè. Istituito da Dio per la guida spirituale e cultuale del popolo d'Israele, il sacerdozio di Aronne e dei suoi discendenti è descritto nel nei libri dell'Esodo, del Levitico e dei Numeri. Si chiama “Sacerdozio Levitico” perché è rivolto solo ad Aronne e ai suoi discendenti, che appartenevano alla tribù di Levi (Levi-levitico). 
Il sacerdozio cattolico prende ispirazione da entrambi. Il testo principale che fonda l’idea di sacerdozio nella teologia cattolica è sicuramente lo stupendo libro de “Lettera agli Ebrei”, contenuto nel Nuovo Testamento. 

La Lettera agli Ebrei pone come fulcro il ruolo di Cristo come Sommo Sacerdote, superando il sacerdozio ebraico. È una lettera scritta da autore ignoro – anche se per secoli la tradizione l’ha attribuita erroneamente a San Paolo – rivolto alle comunità giudeo-cristiane, ossia quegli ebrei che hanno creduto a Cristo come Messia e per questo parla con le categorie religiose che gli Ebrei ben conoscevano. Questo testo epistolare ci propone Gesù come Sommo Sacerdote non autoproclamato ma investito da Dio di questo compito. In effetti, le parole che Dio Padre pronuncia al battesimo di Gesù possono essere considerate come una investitura sacerdotale ma l’agiografo, per fondare questa sua tesi, cita il salmo 110, conosciuto soprattutto da chi è prete, in cui il salmista dice: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo l'ordine di Melchisedek». Cos’è “l’ordine” di Melchisedek? L’autore della lettera sostiene che l'ordine di Melchisedek è eterno e universale (Ebrei 7). È nel capitolo 9 che si realizza la forma più alta dell’ordine di Melchisedek: Gesù, come sommo sacerdote, offre sé stesso come sacrificio unico e perfetto. Questo sacrificio è descritto come superiore ai sacrifici animali del Tempio a Gerusalemme, poiché è offerto "una volta per tutte" (Ebrei 9:12) e purifica definitivamente dai peccati, senza ricorrere ogni anno alla festa della Purificazione: per questo gli ebrei aveva bisogno di offrire il capro ogni anno, in espiazione dei peccati di tutto il popolo, il famoso “capro espiatorio”. Cristo, invece, in questo nuovo modello di sacerdozio è altare, offerta del sacrificio e sacerdote che offre il sacrificio. Che significa? 

- L’altare è la tavola sulla quale si pone l’offerta. La funzione dell’altare era quella di rendere sacra la vittima. Lo ricorda Gesù stesso quando dice: “Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta?” (Mt 23,19). Nel sacrificio di Cristo sulla croce non c’è bisogno di santificare l’offerta perché è già sacra, è il Figlio stesso di Dio ed è il suo sacrificio che santifica il resto. 
- È vittima perché viene immolato, morendo sulla croce. 
- È sacerdote perché offre liberamente la sua vita in sacrificio. Il suo sacrificio è un sacrificio eterno e universale perché è santificato da quell’altare divino che è costituito dalla sua stessa persona. 

So che può sembrare uno scioglilingua ma è più facile di quanto si pensi. Nell’Eucaristia, le preghiere e le offerte che si presentano a Dio vengono santificate e pertanto ricevono valore e sono gradite a Dio perché vengono deposte su Cristo, cioè sull’altare. Nelle Chiese cattoliche l’altare è simbolo di Cristo. Per questo il sacerdote come primo atto, quando sale all’altare per la celebrazione, lo bacia.

Il sacrificio di Cristo, quindi, collega, ricongiunge Dio Padre all’umanità; è un ponte: ricollega le persone, allontanatesi con il peccato, a Dio e lo fa una volta per tutte e per sempre. Nella grafica seguente ho cercato di tradurre questo concetto affinché possa essere ancor più chiaro: 
SantoroRubricaLuglio1.jpg (42 KB)
Questa stessa caratteristica del sacerdozio di Cristo è trasmessa anche ai sacerdoti ordinati: il sacerdote diventa un catalizzatore della preghiera e del sacrificio del Popolo di Dio, raccoglie le offerte, le presenta e lo offre per tutti:

Anche per questo, nel Rito Tridentino, il celebrante era rivolto “di spalle”: in realtà non era di spalle al popolo di Dio ma era rivolto verso oriente, verso Dio, per prendere le offerte e presentarle. Con il Concilio Ecumenico Vaticano II questo è cambiato. 
SantoroRubricaLuglio2.jpg (43 KB)
Lumen Gentium, la costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II, è uno dei documenti più importanti per capire la natura, la missione e la struttura della Chiesa Cattolica. Questo documento apporta un livello di novità sulla questione del sacerdozio introducendo la distinzione e la relazione tra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico dei preti.

La Costituzione Dogmatica definisce il concetto di Sacerdozio Comune dei fedeli che si può sinteticamente semplificare cosi: tutti i fedeli, attraverso il sacramento del Battesimo, partecipano al sacerdozio di Cristo. Questa immagine si basa fondamentalmente sulla prima lettera di Pietro, al capitolo 2, che definisce i cristiani "stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato": tutti sono definiti “regale sacerdozio”, non solo i preti. Come parte del popolo sacerdotale, i fedeli offrono sacrifici spirituali a Dio attraverso la preghiera, il lavoro, la vita familiare, le sofferenze e tutte le attività della vita quotidiana. I laici sono chiamati quindi a testimoniare Cristo nel mondo, portando i valori del Vangelo nella realtà, nella famiglia, sul posto di lavoro, nella politica e nella cultura. Questo implica una santificazione del mondo dall'interno, nel fare. Seppur distinti dai preti, i laici collaborano strettamente con i sacerdoti nella missione della Chiesa in vari ministeri laicali e forme di servizio e di educazione come le realtà associative e aggregative, Oratorio, Azione Cattolica, Agesci, Confraternite, Congreghe. 

Quindi i sacerdoti non servono più visto che siamo tutti “sacerdoti”? La risposta è no, servono “ancora”. Il sacerdozio ministeriale è conferito attraverso il sacramento dell'Ordine e consiste in tre gradi: diaconi, presbiteri, ossia i sacerdoti, e vescovi. Parroci, rettori, cardinali e papa sono specifiche funzioni dello stesso sacramento dell’Ordine. La Lumen Gentium evidenzia che questo sacerdozio è un essenziale servizio per il bene comune della Chiesa, per l’annuncio della Buona Novella e per l'amministrazione dei sacramenti. L’elemento fondamentale, a mio avviso, del ministero sacerdotale dei preti è la celebrazione dell'Eucaristia. Per quanto io sappia il rituale a memoria, i movimenti, le parole e abbia una base teologica, se “dicessi” una messa resterebbe una mera “messa in scena” e non un sacramento, quel pane e quel vino restano tali; non ci sarebbe la transustanziazione, ossia il passaggio della sostanza del pane e del vino in di Corpo e Sangue di Cristo. Il sacerdote agisce "in persona Christi" (nella persona di Cristo) durante la Celebrazione Eucaristica, rappresentando Cristo stesso. Infatti il candidato all’ordinazione, durante il rito stesso in cui di venta presbitero, ricevendo il calice e la patena dalle mani del vescovo, sente queste parole: “Ricevi le offerte del popolo santo per il Sacrificio Eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conferma la tua vita al mistero della croce di Cristo”. Queste parole sono, oltre che una preghiera, un invito e un monito al novello presbitero. Personalmente, mentre mi preparavo a sentirle per me, per la mia ordinazione presbiterale, meditavo davanti all’Eucarestia e ne ho sempre avuto timore, mi tremavano i polsi: celebrare l’Eucarestia, per un prete, non è solo un compito, un dovere da assolvere per la comunità, ma anche una “palestra”. Più il prete celebra, più si “rende conto” di quello che accade nella Celebrazione e più sarà capace di imitarne il mistero, ovvero il totale ed incondizionato sacrificio di Cristo per la salvezza delle anime. Quando sentivo questa formula rivolta nei confronti di amici di seminario che sono diventati preti, avevo sempre un senso di commozione e di trepidazione. Oggi le ricordo con solenne nostalgia ma cerco, nella mia discreta vita laicale, di conformarle al mio stato attuale. Da quel lontano 2015 non ho più partecipato a riti di ordinazione, neanche a quelli dei miei sei compagni di classe. Forse per non sentirmi soffocare dal senso di colpa per non averle volute sentire per me. O forse Dio ha cercato, evitando di farmele ascoltare per altri, di curare le mie ferite e di non prolungare le mie sofferenze. Questo vorrei chiederglielo quando sarò al suo cospetto, per il giudizio, nella speranza che quel gran rifiuto non sia per me motivo di pena. 

Nei prossimi scritti capiremo quanto importante sia il rito di ordinazione, il perché di alcune “abitudini” dell’Ordine Sacro, come il celibato, e in generale ci toglieremo alcuni dubbi, almeno lo spero.

PIetroSantoro1.jpg (29 KB)
Pietro Santoro, nato a Caserta il 29 dicembre 1990. Primo di tre figli, ho vissuto la mia infanzia e adolescenza alle pendici del Monte Tifata, tra San Tammaro, Santa Maria Capua Vetere e Capua, dove ho frequentato il Liceo Scientifico “L. Garofano”. Nel 2009 mi sono iscritto presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, la sez. San Luigi, conseguendo nel 2014 il Baccellerato in Sacra Teologia, con la valutazione di magna cum laude. Negli stessi anni ho frequentato il Pontificio Seminario Campano Interregionale di Posillipo, il Seminario Maggiore per le arcidiocesi e diocesi della Campania e del meridione d'Italia che ne hanno affidato la direzione alla Compagnia di Gesù (Gesuiti). È il luogo che la Chiesa Cattolica istituisce per la formazione del futuro clero diocesano. Ho frequentato la Pontifica Università della Santa Croce in Roma per la Licenza in Diritto Canonico. Vivo in Lombardia dal 4 novembre 2015 e a Osnago dal 2019. Ho insegnato Religione Cattolica dal 2015 al 2023 presso alcune scuole del meratese ma soprattutto presso la Scuola Primaria “G. Rodari” di Cernusco Lombardone, di cui sono stato Responsabile di Plesso dal 2018 al 2023.
Rubrica a cura di Pietro Santoro
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.