Church pocket/18. San Paolo e l’omosessualià

San Paolo è il maggior scrittore di tutto il Nuovo Testamento e cade proprio a fagiulo oggi, in cui festeggiamo i primi vespri della sua solennità, insieme a Pietro, il 29 giugno. 
Paolo è lo scrittore sacro più usato de Nuovo Testamento in merito all’omosessualità. In particolare nella lettera ai Romani (1,18-32), la prima lettera a Timoteo (1, 8-11) e nella prima lettera ai Corinzi (6, 9-10) troviamo contenuti interessanti. Entriamo nel vivo dei brani. 

«Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né effeminati (malakoi), né sodomiti (arsenokoitai), né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapinatori erediteranno il regno di Dio» (1 Corinzi 6, 9-10)

Nella Prima Lettera ai Corinzi, Paolo fa un elenco di categorie non un elenco di azioni sessualmente immorali. Cita solo “effeminati” e “sodomiti” tra le azioni sessuali. Andiamo al testo originale per capire meglio il senso. Le parole che usa Paolo sono rispettivamente malakoi e arsenokoitai che la Bibbia di Gerusalemme traduce con “effemminati” e “sodomiti”. Ma chi sono sti malakoi e arsenokoitai? Leggiamo la Bibbia con la Bibbia per capire dove si usano questi due termini in altri passi biblici. Il termine malakoi lo ritroviamo sono nel Vangelo di Luca e nel Vangelo di Matteo, due passi sinottici che raccontano lo stesso episodio: 

«Ma che cosa siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Ecco, coloro che portano vesti morbide (malakoi) abitano nei palazzi dei re». (Matteo 11,8)

La Bibbia traduce malakoi con “morbide vesti” volendo dire che un uomo che porta morbide vesti è effeminato, cioè imita le movenze femminili. 

Il termine arsenokoitai è un termine raro, un neologismo paolino, che non troviamo in nessun’altra parte della Bibbia se non nelle lettere di Paolo. Il secondo brano è la prima lettera a Timoteo. I biblisti traducono questo neologismo come “omosessuale attivo” attribuendo a malakoi l’accezione di “omosessuale passivo”. Personalmente non sono d’accordo su questa traduzione perché non trova alcun riscontro nella letteratura sacra greca. È più probabile che la parola greca arsenokoitai sia la traslitterazione dell’ebraico asennos koitè, cioè avere rapporti con un altro uomo (come quelli del testo di Levitico 18). 

Nella Lettera ai Romani, Paolo si rivolge sia contro le donne che «hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura», sia contro gli uomini che «lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini». Paolo vede questo comportamento come una deviazione, basandosi su quello che ritiene essere il “rapporto naturale”. Le sue opinioni in materia hanno lo stesso valore di quando afferma che è «la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli» (1Cor 11), identificando il concetto di natura con la cultura che varia secondo le popolazioni. Inoltre San Paolo è un fariseo, un ebreo scupolosamente osservante della Legge. E qui ritorniamo a Levitico 18, il precetto di non andare a letto con uomini, poiché era ritenuto un gesto idolatra, contro la cultura e l’identità ebraica. 

Tutti i passaggi concernenti l’omosessualità vanno considerati nel contesto in cui furono scritti. John Shelby Spong, teologo e vescovo anglicano d’America, suggerisce addirittura che San Paolo stesso potesse essere omosessuale e la sua conversione sia stata l’inizio anche della sua continenza. Questa ipotesi però non è stata sostenuta da altre scuole e anche a me sembra molto azzardata. 

A chiusura su questa breve rassegna dove abbiamo messo a fuoco l’omosessualità e la Bibbia, amo soffermarmi sull’atteggiamento di misericordia di Gesù nei confronti delle persone che, nell’ambito della sessualità e degli emarginati, ha manifestato sempre il volto misericordioso di Dio. Non ha caso ho volutamente accostato la “frociaggine” di bergogliana memoria con i pubblicani e le prostitute del Vangelo. Quando penso all’atteggiamento di Cristo vado al famosissimo brano della donna adultera, al commovente brano dell’emorroissa e tanti altri. Ciò che possiamo capire con estrema chiarezza è che l’Antico Testamento e Gesù stesso condannano la sessualità disordinata, fine a sé stessa e al soddisfacimento del mero “io”. Su questo possiamo essere tutti d’accordo. Non condanna in nessun modo chi ama.

Ahimè, questi miei tre scritti restano solo uno spunto per una riflessione alla luce dei testi e non da mere idee basate su confusione e poca conoscenza. Il Magistero bimillenario della Chiesa ha trovato fondamento in una interpretazione molto restrittiva. Il dispiacere personale è che in nome di un “amore perfetto” si è causato tanto dolore e tanta sofferenza, con famiglie spezzate e dilaniate dai macigni di una presunta moralità. Non emarginare le persone omosessuali non significa abbandonare i principi cristiani, ma piuttosto vivere pienamente il comando di Gesù di amare il prossimo come noi stessi. L'inclusione è una sfida continua per la Chiesa Cattolica, ma anche un'opportunità per vivere pienamente il messaggio evangelico di amore e accoglienza. la Chiesa può diventare sempre più una comunità aperta e accogliente, riflettendo la diversità e la ricchezza dell'umanità. In un mondo spesso segnato da divisioni, guerre e discriminazioni, credo che la Chiesa abbia la responsabilità di essere un faro di speranza e di inclusione, mostrando che ogni persona è amata e valorizzata da Dio.

Chiudo, rimanendo aperto a domande e chiarimenti, con le parole di Giovanni, nella prima delle sue lettere che forse potrebbe metterebbe fine a questa controversia: «amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio». (1Gv 4,7). Il Sinodo 2021-2024 poteva essere una seria opportunità in merito ma per questo, è stata sprecata. È parsa a molti osservatori come quelle frasi “da balcone”, cioè come quelle parole che spesso la Chiesa, nella persona del Papa, pronuncia qui è lì: un aereo, un pranzo, la finestra del Palazzo Apostolico ma che non trovano quasi mai riscontro in documenti ufficiali, in discussioni vere, non come quelle pilotate del Sinodo. 
Caro Santo Padre, anche se so che mai leggerà queste mie parole, mi piacerebbe fargli sapere che queste non sono questione di frociaggine. Sono questioni di Vita. Sono questione di Fede. Anche di Amore. Mi rincuora solo la consapevolezza che la Chiesa vera non è quella che lei ci mostra o ci dice. Chi la vive, sa che è anche tanto altro e che il Sommo Pastore resta sempre, in primis, Cristo. E per fortuna o per provvidenza, direi. 


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Pietro Santoro, nato a Caserta il 29 dicembre 1990. Primo di tre figli, ho vissuto la mia infanzia e adolescenza alle pendici del Monte Tifata, tra San Tammaro, Santa Maria Capua Vetere e Capua, dove ho frequentato il Liceo Scientifico “L. Garofano”. Nel 2009 mi sono iscritto presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, la sez. San Luigi, conseguendo nel 2014 il Baccellerato in Sacra Teologia, con la valutazione di magna cum laude. Negli stessi anni ho frequentato il Pontificio Seminario Campano Interregionale di Posillipo, il Seminario Maggiore per le arcidiocesi e diocesi della Campania e del meridione d'Italia che ne hanno affidato la direzione alla Compagnia di Gesù (Gesuiti). È il luogo che la Chiesa Cattolica istituisce per la formazione del futuro clero diocesano. Ho frequentato la Pontifica Università della Santa Croce in Roma per la Licenza in Diritto Canonico. Vivo in Lombardia dal 4 novembre 2015 e a Osnago dal 2019. Ho insegnato Religione Cattolica dal 2015 al 2023 presso alcune scuole del meratese ma soprattutto presso la Scuola Primaria “G. Rodari” di Cernusco Lombardone, di cui sono stato Responsabile di Plesso dal 2018 al 2023.
Rubrica a cura di Pietro Santoro
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