Church pocket/15: quelli che vanno in chiesa sono i peggiori? La festa del Corpus Domini
Sarà sicuramente capitato di ascoltare almeno una volta la frase “gente di oratorio, sono i peggiori” oppure “prima si vanno a percuotere il petto poi fanno peccati peggio degli altri”. Anche a me è capitato di sentirmelo dire. Da seminarista una persona a me vicina mi ha detto: “Voi preti, avete l’anima nera come la veste che portate addosso”. Sarà vero? Di certo non risolveremo qui la questione ma pregando su cosa scrivere per la festività orami passata del Corpus Domini, questa domanda ha riecheggiato nella mia mente. La festa del Corpus Domini in Italia nasce dopo il miracolo eucaristico di Bolsena del 1264. Alla fine dell’estate giunse da Praga al santuario di Bolsena un sacerdote. Dopo aver venerato la tomba di Santa Cristina Martire, celebrò l'eucaristia. Dei dubbi di fede incominciarono a turbargli la mente. Dubitava sul fatto che, il pane e il vino, dopo la consacrazione, diventassero veramente il corpo e il sangue di Cristo. Al momento della consacrazione, mentre teneva l'ostia sopra il calice, pronunciate le parole del rito, l’ostia diventò rossa e del sangue iniziò a bagnare il corporale e l’altare. Il sacerdote interruppe la Messa, avvolse tutto nella tovaglia dell’altare e andò in sagrestia. Durante il percorso alcune gocce di sangue caddero anche sui marmi del pavimento e dei gradini dell'altare. Con altri sacerdoti presenti nella basilica, il sacerdote si recò a Orvieto, dove soggiornava Papa Urbano IV, lontano dal caldo estivo di Roma. Il Papa inviò subito a Bolsena Giacomo, vescovo di Orvieto, accompagnato, secondo il racconto, dai due teologi, i più importanti dell’epoca: San Tommaso d'Aquino, domenicano e San Bonaventura da Bagnoregio, francescano, per verificare il fatto e portargli le reliquie. Il miracolo fu confermato e Urbano IV ricevette l'ostia e i lini e li offrì alla devozione dei fedeli che, saputo del fatto prodigioso, accorsero a Orvieto. Urbano IV a Orvieto istituì la solennità del Corpus Domini con la bolla papale Transiturus de Hoc Mundo, l'11 agosto 1264. Fu affidato a Tommaso d'Aquino il compito di redigere i testi per la messa per la nuova festività, stabilendo che questa venisse celebrata il giovedì dopo l'ottava di Pentecoste. Oggi in Italia si celebra sia il giovedì dopo l’ottava di Pentecoste, sia la domenica successiva, cioè la domenica dopo la festa della Santissima Trinità. Da dove nasce quindi questo miracolo? Dal dubbio, da una incertezza, da una fragilità di una persona da cui di solito si pretende integrità omnicomprensiva. A volte questa “pagella” morale la si dà ai cattolici, come se il mondo pretendesse che fossero al di sopra del mondo. Il nostro Sant’ Ambrogio è il primo padre della chiesa a definire l’Eucarestia come medicina. In che senso? Ambrogio, nel De Sacramentis, scrive: “Devo riceverlo (il sacramento dell’Eucarestia) sempre, perché sempre perdoni i miei peccati. Se pecco continuamente, devo avere sempre un rimedio”.
L’Eucarestia è il segno della grazia incondizionata di Dio, che come tale viene offerta immediatamente per molti, anche ai peccatori, anzi, anche ai non credenti. Essa stessa ci riporta nel cenacolo, nella n otte dell’Ultima Cena, soprattutto al racconto di Giovanni, ai capitoli 13-17 che si aprono con la frase:
“…Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.
Qual è quindi questo atto d’Amore? La cena di saluto a un gruppo di amici? Evidentemente no o almeno non in questo modo. La Cena del Signore è l’inizio della Passione di Cristo, è inscindibile da tutto il triduo Pasquale. L’Ultima Cena, dove Cristo istituisce l’Eucarestia, è inseparabile dalla morte e dalla Resurrezione; è segno profetico donato prima dell’evento fondatore, ossia la morte e la Resurrezione. Può sembrare un concetto teologico difficile ma non lo è: dicendo “questo è il mio corpo dato per voi” e “questo calice è la nuova alleanza del mio sangue”, Gesù unisce con un fil rouge il pane con il suo corpo che sta per essere dato sulla croce. Banalmente anche durante la Santa Messa, subito dopo il racconto dell’Ultima Cena, il popolo di Dio proclama il mistero della Fede:
“Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”,
oppure:
“Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, Signore, nell'attesa della tua venuta”.
La Chiesa fa pronunciare queste parole per ribadire questo legame inscindibile tra Cena, Morte e Resurrezione di Gesù.
Allora l’Eucarestia è premio per i sani o medicina per i malati? Era questa la domanda che il prof. emerito di Eucarestia, Padre Cesare Giraudo, ha rivolto una volta, nelle aule della Facoltà di Napoli. A me piace pensare che sia entrambe, sia gratitudine per i santi e consolazione per i malati. Almeno io, nella mia vita spirituale, vivo l’Eucarestia come rimedio per le mie fragilità, luogo sicuro in cui rifugiarmi quando sono debole nelle parole e nelle opere.
L’Eucarestia è il segno della grazia incondizionata di Dio, che come tale viene offerta immediatamente per molti, anche ai peccatori, anzi, anche ai non credenti. Essa stessa ci riporta nel cenacolo, nella n otte dell’Ultima Cena, soprattutto al racconto di Giovanni, ai capitoli 13-17 che si aprono con la frase:
“…Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.
Qual è quindi questo atto d’Amore? La cena di saluto a un gruppo di amici? Evidentemente no o almeno non in questo modo. La Cena del Signore è l’inizio della Passione di Cristo, è inscindibile da tutto il triduo Pasquale. L’Ultima Cena, dove Cristo istituisce l’Eucarestia, è inseparabile dalla morte e dalla Resurrezione; è segno profetico donato prima dell’evento fondatore, ossia la morte e la Resurrezione. Può sembrare un concetto teologico difficile ma non lo è: dicendo “questo è il mio corpo dato per voi” e “questo calice è la nuova alleanza del mio sangue”, Gesù unisce con un fil rouge il pane con il suo corpo che sta per essere dato sulla croce. Banalmente anche durante la Santa Messa, subito dopo il racconto dell’Ultima Cena, il popolo di Dio proclama il mistero della Fede:
“Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”,
oppure:
“Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, Signore, nell'attesa della tua venuta”.
La Chiesa fa pronunciare queste parole per ribadire questo legame inscindibile tra Cena, Morte e Resurrezione di Gesù.
Allora l’Eucarestia è premio per i sani o medicina per i malati? Era questa la domanda che il prof. emerito di Eucarestia, Padre Cesare Giraudo, ha rivolto una volta, nelle aule della Facoltà di Napoli. A me piace pensare che sia entrambe, sia gratitudine per i santi e consolazione per i malati. Almeno io, nella mia vita spirituale, vivo l’Eucarestia come rimedio per le mie fragilità, luogo sicuro in cui rifugiarmi quando sono debole nelle parole e nelle opere.
Pietro Santoro, nato a Caserta il 29 dicembre 1990. Primo di tre figli, ho vissuto la mia infanzia e adolescenza alle pendici del Monte Tifata, tra San Tammaro, Santa Maria Capua Vetere e Capua, dove ho frequentato il Liceo Scientifico “L. Garofano”. Nel 2009 mi sono iscritto presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, la sez. San Luigi, conseguendo nel 2014 il Baccellerato in Sacra Teologia, con la valutazione di magna cum laude. Negli stessi anni ho frequentato il Pontificio Seminario Campano Interregionale di Posillipo, il Seminario Maggiore per le arcidiocesi e diocesi della Campania e del meridione d'Italia che ne hanno affidato la direzione alla Compagnia di Gesù (Gesuiti). È il luogo che la Chiesa Cattolica istituisce per la formazione del futuro clero diocesano. Ho frequentato la Pontifica Università della Santa Croce in Roma per la Licenza in Diritto Canonico. Vivo in Lombardia dal 4 novembre 2015 e a Osnago dal 2019. Ho insegnato Religione Cattolica dal 2015 al 2023 presso alcune scuole del meratese ma soprattutto presso la Scuola Primaria “G. Rodari” di Cernusco Lombardone, di cui sono stato Responsabile di Plesso dal 2018 al 2023. Ad oggi sono istruttore amministrativo presso i Servizi Demografici -Ufficio Elettorale – del Comune di Merate, frequento il primo anno della Facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi “G. Marconi”.
Rubrica a cura di Pietro Santoro