Merate, presunta diffamazione: in aula i legali di Scorzelli e di Panzeri “argomentano”
E’ stato rinviato per repliche e sentenza il procedimento a carico di Francesco Scorzelli portato in tribunale dal sindaco di Merate, Massimo Panzeri, per due post ritenuti diffamatori pubblicati sulla bacheca facebook riconducibile all’imputato e alla sua attività sindacale.
Questa mattina il giudice Gianluca Piantadosi ha chiuso l’istruttoria e ha lasciato spazio alla discussione tra le parti.
La pubblica accusa, rappresentata dal vice procuratore onorario Mattia Mascaro, ha ritenuto che nel corso delle udienze sia stata raggiunta la prova di colpevolezza e quindi ha chiesto, riconoscendo le attenuanti generiche, la condanna per l’ex caposala del pronto soccorso di Merate a una pena di 4 mesi.
Due i post contestati in querela a Scorzelli: il primo del 7 marzo 2020 delle ore 11.22 rivolto alla giunta del sindaco alpino e per cui si prospettava la possibilità di un clistere con candeggina (rifacendosi alle affermazione di Trump) per la guarigione dal virus.
Nel secondo, sempre dello stesso giorno ma alle ore 17.40, ricordando che mentre il personale sanitario si apprestava a iniziare il turno in un ospedale ridotto a lazzaretto e altri smontavano dalla notte bardati da capo a piedi, l’autore del post puntualizzava che c’era un “coglione” che indossando una fascia tricolore e lasciando a casa il cappello da alpino andava alla riapertura di un supermercato.
Articolati gli interventi dei due legali in aula, avvocato Elena Barra per la difesa e Stefania Scotto per l’imputato.
L'avvocato Barra ha precisato anzitutto come la pagina con i presunti post offensivi sia tuttora visibile, senza che alcuno abbia effettuato una rimozione delle frasi incriminate e ha sottolineato come si tratti di una bacheca personale dell'imputato, che non risponde ad esigenze di propaganda, non ha un obbligo di aggiornamento e non necessita dunque della collaborazione di altre persone per la pubblicazione di critiche e opinioni. Pur non essendo stati svolti accertamenti sulla provenienza del post, tramite indirizzo IP, il contesto porta a elementi convergenti sulla responsabilità dell'imputato che, ha precisato l'avvocato Barra, mai ha preso le distanze da tali affermazioni.
Il primo post ha ricevuto in rete 39 reazioni, 11 commenti e 37 condivisioni.
Il secondo, quello più “pesante” dal punto di vista dei contenuti, con affermazioni considerate sprezzanti ed espressioni volgari, aveva collezionato 44 reazioni, 36 commenti e 27 condivisioni.
“La condotta diffamatoria ha raggiunto un numero indefinito di soggetti e le espressioni utilizzate hanno avuto un impatto mediatico importante. Il ristoro economico, dunque, non può essere simbolico vista anche la permanenza in rete del posto in questione” ha concluso l'avvocato Barra.
La parola è poi passata all’avvocato difensore Stefania Scotto, che ha contestualizzato la redazione del post nel particolare momento storico e ha ricordato che, anzitutto, non ci sia certezza sull'autore degli scritti.
Si è nel marzo del 2020, il mese più straziante del Covid con una nazione in ginocchio, gli ospedali che non riescono a far fronte all’emergenza sanitaria e il Governo che procede con le conferenze stampa di comunicazione dei nuovi DPCM e le relative restrizioni.
La situazione in ASST Lecco risulta particolarmente drammatica, con la dirigenza che finisce nel mirino di critiche e attacchi pesantissimi delle rappresentanze sindacali per la fornitura non adeguata di dispositivi medici a protezione del personale.
In questo contesto di forte tensione, ha puntato più volte l’attenzione il difensore, si collocano i due post apparsi sulla bacheca dell’imputato e utilizzata appunto da diversi soggetti suoi collaboratori, che lo coadiuvavano nelle informative per via anche del suo stato di salute e del principio di alzheimer di cui soffre, per le diverse comunicazioni a livello sindacale.
Mentre per il primo post il difensore ha ricordato come sia stato lo stesso sindaco quasi a “derubricarlo”, definendolo durante la sua deposizione una “ironia di pessimo gusto, magari non una offesa”, per il secondo post a fare da discrimine sarebbe il contesto.
“Si era in una situazione critica, con un ospedale ridotto a un lazzaretto e operatori sanitari che quotidianamente si rivolgevano alla dirigenza di ASST e al sindaco in quanto responsabile della salute pubblica, per chiedere dispositivi di protezione adeguati” ha argomentato l’avvocato.
La presenza del primo cittadino alla riapertura di un supermercato in concomitanza con l’attivazione delle restrizioni, tra cui quella del distanziamento, avevano causato una irritazione e una contrarietà mediatica generale, anche a livello nazionale e proprio su questo taglio del nastro.
Da qui i due post, nati appunto in questo contesto.
Il legale si è poi soffermato sul termine “coglione” e sul significato assunto nel tempo e anche interpretato a livello giuridico.
“Secondo la Cassazione e la giurisprudenza di merito, il termine coglione non ha più una connotazione offensiva” ha spiegato “Non è una offesa se è in un certo contesto ed assume il significato di sprovveduto e volto a indicare una persona con inesperienza e mancanza di bravura. In questo senso non è da ritenersi diffamatorio. Se si guarda al contesto di grande tensione, con contestazioni sindacali contro la dirigenza dell'ospedale e il comportamento del sindaco, questi post vanno collocati nel diritto di citica e di satira sindacale”.
Per queste ragioni l'avvocato ha chiesto l'assoluzione per l'articolo 530 1° comma o in subordine 2° comma. In caso di condanna minimo pena con benefici di legge.
Il giudice ha rinviato per chiusura della vicenda con sentenza al mese di luglio.
Questa mattina il giudice Gianluca Piantadosi ha chiuso l’istruttoria e ha lasciato spazio alla discussione tra le parti.
La pubblica accusa, rappresentata dal vice procuratore onorario Mattia Mascaro, ha ritenuto che nel corso delle udienze sia stata raggiunta la prova di colpevolezza e quindi ha chiesto, riconoscendo le attenuanti generiche, la condanna per l’ex caposala del pronto soccorso di Merate a una pena di 4 mesi.
Due i post contestati in querela a Scorzelli: il primo del 7 marzo 2020 delle ore 11.22 rivolto alla giunta del sindaco alpino e per cui si prospettava la possibilità di un clistere con candeggina (rifacendosi alle affermazione di Trump) per la guarigione dal virus.
Nel secondo, sempre dello stesso giorno ma alle ore 17.40, ricordando che mentre il personale sanitario si apprestava a iniziare il turno in un ospedale ridotto a lazzaretto e altri smontavano dalla notte bardati da capo a piedi, l’autore del post puntualizzava che c’era un “coglione” che indossando una fascia tricolore e lasciando a casa il cappello da alpino andava alla riapertura di un supermercato.
Articolati gli interventi dei due legali in aula, avvocato Elena Barra per la difesa e Stefania Scotto per l’imputato.
L'avvocato Barra ha precisato anzitutto come la pagina con i presunti post offensivi sia tuttora visibile, senza che alcuno abbia effettuato una rimozione delle frasi incriminate e ha sottolineato come si tratti di una bacheca personale dell'imputato, che non risponde ad esigenze di propaganda, non ha un obbligo di aggiornamento e non necessita dunque della collaborazione di altre persone per la pubblicazione di critiche e opinioni. Pur non essendo stati svolti accertamenti sulla provenienza del post, tramite indirizzo IP, il contesto porta a elementi convergenti sulla responsabilità dell'imputato che, ha precisato l'avvocato Barra, mai ha preso le distanze da tali affermazioni.
Il primo post ha ricevuto in rete 39 reazioni, 11 commenti e 37 condivisioni.
Il secondo, quello più “pesante” dal punto di vista dei contenuti, con affermazioni considerate sprezzanti ed espressioni volgari, aveva collezionato 44 reazioni, 36 commenti e 27 condivisioni.
“La condotta diffamatoria ha raggiunto un numero indefinito di soggetti e le espressioni utilizzate hanno avuto un impatto mediatico importante. Il ristoro economico, dunque, non può essere simbolico vista anche la permanenza in rete del posto in questione” ha concluso l'avvocato Barra.
La parola è poi passata all’avvocato difensore Stefania Scotto, che ha contestualizzato la redazione del post nel particolare momento storico e ha ricordato che, anzitutto, non ci sia certezza sull'autore degli scritti.
Si è nel marzo del 2020, il mese più straziante del Covid con una nazione in ginocchio, gli ospedali che non riescono a far fronte all’emergenza sanitaria e il Governo che procede con le conferenze stampa di comunicazione dei nuovi DPCM e le relative restrizioni.
La situazione in ASST Lecco risulta particolarmente drammatica, con la dirigenza che finisce nel mirino di critiche e attacchi pesantissimi delle rappresentanze sindacali per la fornitura non adeguata di dispositivi medici a protezione del personale.
In questo contesto di forte tensione, ha puntato più volte l’attenzione il difensore, si collocano i due post apparsi sulla bacheca dell’imputato e utilizzata appunto da diversi soggetti suoi collaboratori, che lo coadiuvavano nelle informative per via anche del suo stato di salute e del principio di alzheimer di cui soffre, per le diverse comunicazioni a livello sindacale.
Mentre per il primo post il difensore ha ricordato come sia stato lo stesso sindaco quasi a “derubricarlo”, definendolo durante la sua deposizione una “ironia di pessimo gusto, magari non una offesa”, per il secondo post a fare da discrimine sarebbe il contesto.
“Si era in una situazione critica, con un ospedale ridotto a un lazzaretto e operatori sanitari che quotidianamente si rivolgevano alla dirigenza di ASST e al sindaco in quanto responsabile della salute pubblica, per chiedere dispositivi di protezione adeguati” ha argomentato l’avvocato.
La presenza del primo cittadino alla riapertura di un supermercato in concomitanza con l’attivazione delle restrizioni, tra cui quella del distanziamento, avevano causato una irritazione e una contrarietà mediatica generale, anche a livello nazionale e proprio su questo taglio del nastro.
Da qui i due post, nati appunto in questo contesto.
Il legale si è poi soffermato sul termine “coglione” e sul significato assunto nel tempo e anche interpretato a livello giuridico.
“Secondo la Cassazione e la giurisprudenza di merito, il termine coglione non ha più una connotazione offensiva” ha spiegato “Non è una offesa se è in un certo contesto ed assume il significato di sprovveduto e volto a indicare una persona con inesperienza e mancanza di bravura. In questo senso non è da ritenersi diffamatorio. Se si guarda al contesto di grande tensione, con contestazioni sindacali contro la dirigenza dell'ospedale e il comportamento del sindaco, questi post vanno collocati nel diritto di citica e di satira sindacale”.
Per queste ragioni l'avvocato ha chiesto l'assoluzione per l'articolo 530 1° comma o in subordine 2° comma. In caso di condanna minimo pena con benefici di legge.
Il giudice ha rinviato per chiusura della vicenda con sentenza al mese di luglio.
S.V.