Comunità adulta, dove sei?
Veramente coinvolgente la serata svoltasi ieri nella sala parrocchiale di Annone.
L'ultimo incontro dell'edizione di quest'anno di “Adamo dove sei?” ha visto sul “palcoscenico” della vita la comunità milanese Kayros di Don Claudio Burgio che da anni accoglie giovani variamente problematici e spesso anche reduci dal carcere.
Il susseguirsi simpatico ed incalzante, anche a suon di rap, delle esperienze vissute in prima persona dai ragazzi, sollecitate anche da puntuali interrogativi posti da Don Burgio e da interventi del “veterano” Davide, ha evidenziato più d'un interrogativo rivolto non solo ai tanti ragazzi presenti in una sala gremita ma in particolare anche al mondo degli adulti.
Domande anche indirette sul senso delle cose, su cosa conta o dovrebbe contare nella vita, sulle esperienze di vita e le sue immancabili difficoltà, sulla capacità o meno di “venirne fuori”, su come ci si salvi veramente solo se ci si appoggia l'uno all'altro …
Di fronte a tutto questo e quant'altro è accoratamente emerso, in un turbinio di sensazioni personali ma anche comunitarie, come non confrontarsi a fondo con tutti questi interrogativi esistenziali?
Personalmente quello che mi si è delineato in mente, prima confusamente e poi sempre più nitidamente è questo bruciante interrogativo: noi mondo degli adulti, io per primo, cosa sappiamo offrire loro in termini di senso e di valori?
In una società basata sostanzialmente sull'individualismo ( e tutti gli altri “ismi” che connotano questa nostra sempre più problematica convivenza) quali modelli e ideali sappiamo indicare o, molto meglio, sappiamo testimoniare loro, spesso in alternativa a quelli mediatici dominanti?
Come quindi non riandare, non certo nostalgicamente ma invece quasi con orgoglio, alla nostra giovinezza! Come non ricordare ciò che scaldava il cuore del nostro agire anche quotidiano, quel desiderio attivo di cambiamento e di miglioramento degli aspetti del nostro vivere che, con spirito critico, valutavamo perlomeno contraddittori. E quante iniziative avevano come comune denominatore il noi!
Orgoglio ma anche attuale consapevolezza che allora si fosse in un'altra era in pieno “sviluppo”, economico ma non solo quello, caratterizzata da una diffuso senso di positività. Mentre oggi questo scenario, quasi completamente capovolto, crea precarietà e spesso frustrazione.
Quasi che le crescenti ed oggettive insicurezze - non solo economiche - di sempre più tanti, invece che risvegliare un desiderio di cambiamento, non possano che spingere ad un rassegnato realismo.
Una volta le disuguaglianze e le ingiustizie, sia di sistema che nella quotidianità, producevano quanto meno un moto di ribellione, anche se a volte confuso e magari mal orientato: oggi invece, specie nella nostra martoriata realtà italiana, si assiste ad una assuefazione che addirittura porta, assopendo la coscienza sociale, semmai a criticare coloro che mantengono un atteggiamento costruttivamente critico.
E spesso le vittime, e cioè tutti noi, di questo sistema, confezionato spesso a vantaggio dei più forti, ne diventano co-artefici, magari più o meno consapevolmente.
In definitiva come si possono criticare questi giovani, bollandoli di ignavia o perlomeno di “spaesamento”, se i primi ad esserlo spesso siamo noi adulti?
Ci siamo lasciati ridurre a soggetti economici, a consumatori acritici, abbiamo perso lo slancio d'idealità che ha accompagnato la nostra giovinezza?
Come possiamo pretendere dai giovani, peraltro in un contesto molto più difficile di quello da noi vissuto, un atteggiamento attivo e costruttivamente critico se non siamo noi per primi a viverlo con loro?
Senza nulla togliere, anzi riconoscendolo, a tutti coloro che già variamente s'impegnano e praticano una cultura partecipativa, mi sembra stia proprio qui la sfida per tutti: la non rassegnazione nei confronti di un mondo che spesso gira a rovescio!
E il mio pensiero non può non andare a quelle poche (25) persone che l'altra sera presso la Sala Consigliare di Oggiono si sono interrogati a fondo sulla necessità di non lasciar soli alcuni magistrati che si stanno impegnando a nome nostro per una società più giusta.
Certo è solo un esempio, tra i tanti possibili, di come ci si possa riappropriare di un rinnovato protagonismo dal basso ed un recupero di senso del nostro agire quotidiano. Sta ad ognuno di noi ricordarlo.
L'ultimo incontro dell'edizione di quest'anno di “Adamo dove sei?” ha visto sul “palcoscenico” della vita la comunità milanese Kayros di Don Claudio Burgio che da anni accoglie giovani variamente problematici e spesso anche reduci dal carcere.
Il susseguirsi simpatico ed incalzante, anche a suon di rap, delle esperienze vissute in prima persona dai ragazzi, sollecitate anche da puntuali interrogativi posti da Don Burgio e da interventi del “veterano” Davide, ha evidenziato più d'un interrogativo rivolto non solo ai tanti ragazzi presenti in una sala gremita ma in particolare anche al mondo degli adulti.
Domande anche indirette sul senso delle cose, su cosa conta o dovrebbe contare nella vita, sulle esperienze di vita e le sue immancabili difficoltà, sulla capacità o meno di “venirne fuori”, su come ci si salvi veramente solo se ci si appoggia l'uno all'altro …
Di fronte a tutto questo e quant'altro è accoratamente emerso, in un turbinio di sensazioni personali ma anche comunitarie, come non confrontarsi a fondo con tutti questi interrogativi esistenziali?
Personalmente quello che mi si è delineato in mente, prima confusamente e poi sempre più nitidamente è questo bruciante interrogativo: noi mondo degli adulti, io per primo, cosa sappiamo offrire loro in termini di senso e di valori?
In una società basata sostanzialmente sull'individualismo ( e tutti gli altri “ismi” che connotano questa nostra sempre più problematica convivenza) quali modelli e ideali sappiamo indicare o, molto meglio, sappiamo testimoniare loro, spesso in alternativa a quelli mediatici dominanti?
Come quindi non riandare, non certo nostalgicamente ma invece quasi con orgoglio, alla nostra giovinezza! Come non ricordare ciò che scaldava il cuore del nostro agire anche quotidiano, quel desiderio attivo di cambiamento e di miglioramento degli aspetti del nostro vivere che, con spirito critico, valutavamo perlomeno contraddittori. E quante iniziative avevano come comune denominatore il noi!
Orgoglio ma anche attuale consapevolezza che allora si fosse in un'altra era in pieno “sviluppo”, economico ma non solo quello, caratterizzata da una diffuso senso di positività. Mentre oggi questo scenario, quasi completamente capovolto, crea precarietà e spesso frustrazione.
Quasi che le crescenti ed oggettive insicurezze - non solo economiche - di sempre più tanti, invece che risvegliare un desiderio di cambiamento, non possano che spingere ad un rassegnato realismo.
Una volta le disuguaglianze e le ingiustizie, sia di sistema che nella quotidianità, producevano quanto meno un moto di ribellione, anche se a volte confuso e magari mal orientato: oggi invece, specie nella nostra martoriata realtà italiana, si assiste ad una assuefazione che addirittura porta, assopendo la coscienza sociale, semmai a criticare coloro che mantengono un atteggiamento costruttivamente critico.
E spesso le vittime, e cioè tutti noi, di questo sistema, confezionato spesso a vantaggio dei più forti, ne diventano co-artefici, magari più o meno consapevolmente.
In definitiva come si possono criticare questi giovani, bollandoli di ignavia o perlomeno di “spaesamento”, se i primi ad esserlo spesso siamo noi adulti?
Ci siamo lasciati ridurre a soggetti economici, a consumatori acritici, abbiamo perso lo slancio d'idealità che ha accompagnato la nostra giovinezza?
Come possiamo pretendere dai giovani, peraltro in un contesto molto più difficile di quello da noi vissuto, un atteggiamento attivo e costruttivamente critico se non siamo noi per primi a viverlo con loro?
Senza nulla togliere, anzi riconoscendolo, a tutti coloro che già variamente s'impegnano e praticano una cultura partecipativa, mi sembra stia proprio qui la sfida per tutti: la non rassegnazione nei confronti di un mondo che spesso gira a rovescio!
E il mio pensiero non può non andare a quelle poche (25) persone che l'altra sera presso la Sala Consigliare di Oggiono si sono interrogati a fondo sulla necessità di non lasciar soli alcuni magistrati che si stanno impegnando a nome nostro per una società più giusta.
Certo è solo un esempio, tra i tanti possibili, di come ci si possa riappropriare di un rinnovato protagonismo dal basso ed un recupero di senso del nostro agire quotidiano. Sta ad ognuno di noi ricordarlo.
Germano Bosisio