Merate: cura o prendersi cura? La parola a tre esperte
Dopo la proiezione del film “Careseekers – In Cerca di Cura” scritto da Teresa Sala e Tiziana Francesca Vaccaro, nella serata di martedì 27 febbraio il progetto “In cerca di cura” promosso dall’associazione DietroLaLavagna, è proseguito con un secondo appuntamento intitolato “Cura o prendersi cura? – Ripensare al modo di invecchiare andando oltre gli schemi”.
Una tavola rotonda a tre voci composta dalla filosofa e life coach, consulente pedagogica, scrittrice e blogger Laura Campanello, dalla componente dell’Auser di Fabbrico (Reggio Emilia) Natalia Parmigiani e dalla dottoressa e responsabile Area distretto e ufficio di Piano di Rete Salute Donatella Barberis, che con la conduzione di Patrizia Riva, hanno riflettuto sull’invecchiamento della popolazione e la cura degli anziani.
La serata si è concentrata sulla differenza fra cura e prendersi cura, l’avere cura di sé stessi per avere cura degli altri e il ruolo degli enti pubblici in questo ambito. Laura Campanello ha messo in luce l'esigenza intrinseca dell’essere umano di dare forma alla propria vita, un processo che deve essere coltivato per tutta l’esistenza, ma soprattutto nella fase dell’anzianità in cui mente e corpo hanno nuove esigenze che devono essere manifestate. “L’essere umano non è solo un insieme di bisogni puntuali, al contrario ha esigenza di trovare un senso per vivere. Per questo motivo, per rendere desiderabile questo periodo della vita è necessario comunicare ciò che per noi è dignitoso, ma allo stesso tempo essere capaci di fare delle rinunce. Bisogna parlare delle proprie fragilità per potersi affidare a qualcuno e non rimanere in balia di decisioni prese da altri”. Una limitazione della società odierna ricade proprio nell’incapacità di esternare i propri limiti, discutere di tematiche difficili, come la morte, che invece richiedono una personale presa di coscienza per riuscire a prendersi cura di sé. “Non è possibile curare ma allo stesso tempo non avere cura di sé, proprio perché l'aver cura richiama alla necessità di riprendere in mano la propria esistenza”.
La presa in carico del proprio benessere è stata sottolineata allo stesso modo da Natalia Parmigiani, che con il suo gruppo autocoscienza dell’Auser di Fabbrico si è interrogata sulle domande da porsi per lasciare un testamento delle proprie volontà e, conseguentemente, poter continuare a vivere una vita dignitosa dal momento in cui ci si affida ad altri. Per fare questo è fondamentale entrare in relazione con altri e trovare parole che comunichino bisogni e problemi. “Con la pandemia non è cambiato niente. È ancora necessario creare dei luoghi di comprensione e ascolto per poter esprimere il desiderio di rimanere nella società”. Donatella Barberis ha spiegato che ad oggi gli anziani rappresentano il 23-24% della popolazione, con un raddoppio negli ultimi 10 anni degli over 80, fascia che nel meratese risulta costituire l’8%. Questo numeroso gruppo è formato da persone che sono relativamente in salute, che vivono presso il proprio domicilio e che spesso soffrono di isolamento sociale. Rete Salute sta cercando di contrastare questo fenomeno psicologico incontrando le Amministrazioni e gli enti per creare percorsi sostenibili per anziani. Esito di questo primo confronto sarà la nascita nel meratese di 20 alloggi di co housing, (sei ad Osnago e 14 a Cernusco) mentre 80 anziani saranno seguiti a casa con strumenti di domotica e teleassistenza. “Questo è solo l’inizio, stiamo investendo cinque milioni di euro di finanziamento PNRR per anziani, disabili e povertà” ha assicurato Barberis rivelando che sul territorio si sta prendendo spunto da “servizi informali”, già attivi a Reggio Emilia, per sopperire fuori orario a necessità legate allo svago e all’aggregazione. La sanità sta ponendo inoltre sempre più attenzione ai contesti abitativi e alla domiciliarità spesso in difficoltà a causa della mancanza di parenti in grado di aiutare a all’invecchiamento e burnout dei caregiver.
Molteplici le tematiche toccate e discusse sotto punti di vista differenti nel corso dell’incontro, ciò che però è stato condiviso dalle tre esperte è stata l’importanza di umanizzare la cura, non solamente da parte degli operatori sanitari, bisognosi anch’essi di sostegno, bensì da tutta la comunità, che condividendo sofferenze, dolore e desideri può dimostrare empatia e amore verso il prossimo.
Una tavola rotonda a tre voci composta dalla filosofa e life coach, consulente pedagogica, scrittrice e blogger Laura Campanello, dalla componente dell’Auser di Fabbrico (Reggio Emilia) Natalia Parmigiani e dalla dottoressa e responsabile Area distretto e ufficio di Piano di Rete Salute Donatella Barberis, che con la conduzione di Patrizia Riva, hanno riflettuto sull’invecchiamento della popolazione e la cura degli anziani.
La serata si è concentrata sulla differenza fra cura e prendersi cura, l’avere cura di sé stessi per avere cura degli altri e il ruolo degli enti pubblici in questo ambito. Laura Campanello ha messo in luce l'esigenza intrinseca dell’essere umano di dare forma alla propria vita, un processo che deve essere coltivato per tutta l’esistenza, ma soprattutto nella fase dell’anzianità in cui mente e corpo hanno nuove esigenze che devono essere manifestate. “L’essere umano non è solo un insieme di bisogni puntuali, al contrario ha esigenza di trovare un senso per vivere. Per questo motivo, per rendere desiderabile questo periodo della vita è necessario comunicare ciò che per noi è dignitoso, ma allo stesso tempo essere capaci di fare delle rinunce. Bisogna parlare delle proprie fragilità per potersi affidare a qualcuno e non rimanere in balia di decisioni prese da altri”. Una limitazione della società odierna ricade proprio nell’incapacità di esternare i propri limiti, discutere di tematiche difficili, come la morte, che invece richiedono una personale presa di coscienza per riuscire a prendersi cura di sé. “Non è possibile curare ma allo stesso tempo non avere cura di sé, proprio perché l'aver cura richiama alla necessità di riprendere in mano la propria esistenza”.
La presa in carico del proprio benessere è stata sottolineata allo stesso modo da Natalia Parmigiani, che con il suo gruppo autocoscienza dell’Auser di Fabbrico si è interrogata sulle domande da porsi per lasciare un testamento delle proprie volontà e, conseguentemente, poter continuare a vivere una vita dignitosa dal momento in cui ci si affida ad altri. Per fare questo è fondamentale entrare in relazione con altri e trovare parole che comunichino bisogni e problemi. “Con la pandemia non è cambiato niente. È ancora necessario creare dei luoghi di comprensione e ascolto per poter esprimere il desiderio di rimanere nella società”. Donatella Barberis ha spiegato che ad oggi gli anziani rappresentano il 23-24% della popolazione, con un raddoppio negli ultimi 10 anni degli over 80, fascia che nel meratese risulta costituire l’8%. Questo numeroso gruppo è formato da persone che sono relativamente in salute, che vivono presso il proprio domicilio e che spesso soffrono di isolamento sociale. Rete Salute sta cercando di contrastare questo fenomeno psicologico incontrando le Amministrazioni e gli enti per creare percorsi sostenibili per anziani. Esito di questo primo confronto sarà la nascita nel meratese di 20 alloggi di co housing, (sei ad Osnago e 14 a Cernusco) mentre 80 anziani saranno seguiti a casa con strumenti di domotica e teleassistenza. “Questo è solo l’inizio, stiamo investendo cinque milioni di euro di finanziamento PNRR per anziani, disabili e povertà” ha assicurato Barberis rivelando che sul territorio si sta prendendo spunto da “servizi informali”, già attivi a Reggio Emilia, per sopperire fuori orario a necessità legate allo svago e all’aggregazione. La sanità sta ponendo inoltre sempre più attenzione ai contesti abitativi e alla domiciliarità spesso in difficoltà a causa della mancanza di parenti in grado di aiutare a all’invecchiamento e burnout dei caregiver.
Molteplici le tematiche toccate e discusse sotto punti di vista differenti nel corso dell’incontro, ciò che però è stato condiviso dalle tre esperte è stata l’importanza di umanizzare la cura, non solamente da parte degli operatori sanitari, bisognosi anch’essi di sostegno, bensì da tutta la comunità, che condividendo sofferenze, dolore e desideri può dimostrare empatia e amore verso il prossimo.
I.Bi.