Paderno: la comunità si raccoglie per rivivere la storia dei tre ragazzi della "Corte granda" periti nei lager
È raro vedere la sala Consiliare di Cascina Maria gremita di gente, ma nella serata di sabato 20 gennaio è stato difficile contenere i numerosissimi cittadini riunitisi per ricordare e onorare Guido Panzeri, Giuseppe Villa e Pasquale Brivio, tre giovani soldati padernesi periti nel 1945 nei lager tedeschi, proprio al termine della seconda guerra mondiale.
Andrea Colleoni, Alberto Magni e Marisa Bandini di A.N.P.I. sezione Brianza Meratese, insieme alla Consulta Giovani comunale hanno spinto i presenti a immedesimarsi in una generazione di ventenni che cento anni fa si è vista costretta a una scelta più grande di loro: partire per combattere la guerra, oppure scappare e rischiare allo stesso modo la vita. Al tempo sono stati mobilitati circa cinque milioni di giovani, di questi ne sono morti circa 700.000, mentre un milione ne sono usciti feriti o invalidi. È stata una guerra sanguinosissima, che riportata sui numeri di oggi, si traduce come una perdita improvvisa a Paderno di 65 ventenni. La storia dei tre ragazzi residenti nella corte Grande, nasce dalla scoperta, nella soffitta della famiglia Brivio, di una scatola contenente documenti che hanno permesso a Colleoni di ripercorrere i passi dei tre coetanei.
Un primo foglio testimonia il congedo illimitato di Mario Brivio detto Mauro, che con i tre fratelli ha fatto la guerra dal 1916 al 1919, evitando Caporetto per un infortunio, ma finendo un anno in prigionia degli austriaci. Tornato a casa, il 16 aprile 1922, giorno di Pasqua, ha il primogenito Pasquale chiamato Lino. Anche gli altri residenti della corte Grande nel ’22 hanno due maschi: Giuseppe Panzeri ha il figlio Guido così come Eugenio Villa ha Giuseppe. Nascono dunque i tre protagonisti che cresceranno insieme in questo microcosmo del paese, fino alla chiamata alle armi del 1941. Giuseppe Villa parte come soldato di leva e fino al ‘42 è guardia di frontiera a Ventimiglia, passando da soldato scelto a caporale. Insieme a lui il 9 giugno parte Guido Panzeri che però viene assegnato al reggimento di fanteria Aosta insediato a Palermo, per difendere lo sbarco degli alleati. Pasquale Brivio invece salta la prima chiamata, perché aveva fatto la tubercolosi e diventerà soldato solamente nel 1943 quando verrà spedito come autista a Ivrea in quanto idoneo al servizio condizionato di 6 mesi.
La situazione cambia l’8 settembre 1943 con la firma dell’armistizio di Cassibile che spinge la Repubblica sociale italiana a dotarsi di un esercito. I militari delle classi ‘21, ‘22, ’23, ’24, ’25 vengono chiamati alle armi dal generale Rodolfo Graziani. Su 200.000 ragazzi interessati se ne presentano solamente la metà. Da Paderno non parte nessuno. Per chi ha rifiutato l’arruolamento inizia una vita difficile: c’è chi organizza la resistenza armata e chi si nasconde. Una testimonianza è arrivata a noi da Pina Barelli, sorella di Emilio Barelli, uno dei tanti padernesi che trova riparo nei rifugi naturali dell’Adda e che però viene catturato e caricato su un camion. Fortunatamente il ragazzo riesce a fuggire e da Erba e torna a piedi fino a casa dove viene nascosto dalla famiglia insieme a due croati con la paura costante di essere nuovamente preso.
Arriva così il secondo bando del febbraio del 1944, nel quale viene minacciata la condanna alla pena di morte per i disertori. Il 10 marzo dunque sia Giuseppe che Lino partono insieme per paura, così come fa Guido qualche giorno dopo, scegliendo però la latitanza poco tempo dopo. I tre si rifugiarono con altri coetanei nelle campagne con il sostegno dei concittadini, finché un giorno qualcuno tradisce. Viene avvisato un fascista stazionato a Merate che, presentatosi alla corte Grande, prende in ostaggio la sorella e la mamma di Lino. A questo punto la scelta diventa inevitabile: i ragazzi si consegnano. Il 9 maggio vengono arrestati e portati al carcere di Gallarate dove nuovamente rifiutano l’arruolamento e quindi ricevono la condanna: Pasquale a 9 mesi, Giuseppe e Guido a un anno, per tutti da trascorrere in Germania.
700.000 soldati come loro fanno la stessa scelta e vengono deportati per fare lavori forzati. Chiamati dai tedeschi IMI (Internati Militari Italiani), 50.000 moriranno subito, mentre 50.000, col tempo, di stenti. I tre padernesi partono da Gallarate, nel loro viaggio sicuramente passano per Dachau, dove è stata ritrovata la carta d’identità di Lino, del quale si perdono notizie il 22 ottobre del ’44, con una sua ultima lettera inviata ai genitori. Gli altri due giovani vengono mandati vicino a Lipsia, nel piccolo lager di Zöschen, di cui si hanno poche testimonianze. Si tratta di un campo di rieducazione al lavoro, pensato per un reinserimento a posteriori nella società. In realtà le condizioni erano critiche, completamente analoghe a quelle dei lager più noti. Gli internati venivano impiegati per spostare detriti per rendere agibile uno stabilimento chimico che produceva tutto il carburante per l’esercito tedesco e che per questo motivo era soggetto a bombardamenti continui. 500 delle 5.000 persone prigioniere morirono per sfinimento, malattia o come vittime di punizioni.
Tra di loro figurano Guido Panzeri, deceduto il 26 marzo per sfinimento e Giuseppe Villa, scomparso il 5 aprile per lo stesso motivo, una settimana prima della liberazione del campo da parte degli alleati il 14 aprile 1945. I due vengono riconosciuti come partigiani caduti, titolo non attribuibile a Pasquale Brivio per il mancato ritrovamento del corpo. La storia di Lino rimane dunque in sospeso, nonostante le continue richieste di ricerca della madre, fino al periodo della pandemia e del lockdown, quando Andrea Colleoni digita il suo nome nell’ archivio online dell’ex Croce Rossa internazionale. Scopre così che il giovane non si trovava a Dachau come si pensava. Dopo essere stato a Lipsia con i suoi due compaesani il 27 febbraio viene trasferito al campo di concentramento di Buchenwald come prigioniero politico. Per le condizioni di salute critiche, viene destinato a lavoro leggero nei magazzini, fino ad essere incarcerato il 29 marzo per circostanze ignote. Da questo giorno si perdono sue notizie, sicuramente però si sa che non era tra gli italiani fuggiti dal campo perché non prefigura nella lista stilata dai compagni nell’aprile del 1945.Il 16 dicembre il sindaco di Paderno e le famiglie dei giovani vengono informate che i tre ragazzi non ce l’hanno fatta. Parte così un processo di denuncia alle autorità che hanno prelevato e condannato i ragazzi e una richiesta di giustizia, testimoniata da una lettera scritta dai genitori alla polizia il 6 gennaio 1946.
Venti giovani padernesi sono andati incontro allo stesso destino dei ragazzi della corte Grande, tanti invece sono tornati feriti, altri illesi. Tra i sopravvissuti figura il fratello minore di Lino, Gaetano, che è stato soldato di leva nel 1943 per poi fuggire, nascondersi e sopravvivere. Gaetano è il nonno di Andrea Colleoni, uno dei relatori della serata che ha ricostruito con tanto impegno e passione la memoria dei tre giovani padernesi. Il sindaco Gianpaolo Torchio ha ringraziato A.N.P.I., la Consulta Giovani e la Pro Loco per aver riportato il ricordo e il sacrificio di questi tre giovani che nel 2025 otterranno un riconoscimento fisico in paese, con la posa di tre pietre d’inciampo nella corte che li ha fatti conoscere e che è stata la loro casa. “Fare memoria è un atto di giustizia etica nei confronti del passato, è importante creare una comunità legata in questa volontà per condividere dei valori”.
Il primo cittadino ha invitato dunque il numeroso pubblico a recuperare e condividere le storie dei propri avi, per riportare alla luce, con altri incontri, la vita dei tanti padernesi che si sono battuti per la libertà.
Andrea Colleoni, Alberto Magni e Marisa Bandini di A.N.P.I. sezione Brianza Meratese, insieme alla Consulta Giovani comunale hanno spinto i presenti a immedesimarsi in una generazione di ventenni che cento anni fa si è vista costretta a una scelta più grande di loro: partire per combattere la guerra, oppure scappare e rischiare allo stesso modo la vita. Al tempo sono stati mobilitati circa cinque milioni di giovani, di questi ne sono morti circa 700.000, mentre un milione ne sono usciti feriti o invalidi. È stata una guerra sanguinosissima, che riportata sui numeri di oggi, si traduce come una perdita improvvisa a Paderno di 65 ventenni. La storia dei tre ragazzi residenti nella corte Grande, nasce dalla scoperta, nella soffitta della famiglia Brivio, di una scatola contenente documenti che hanno permesso a Colleoni di ripercorrere i passi dei tre coetanei.
Un primo foglio testimonia il congedo illimitato di Mario Brivio detto Mauro, che con i tre fratelli ha fatto la guerra dal 1916 al 1919, evitando Caporetto per un infortunio, ma finendo un anno in prigionia degli austriaci. Tornato a casa, il 16 aprile 1922, giorno di Pasqua, ha il primogenito Pasquale chiamato Lino. Anche gli altri residenti della corte Grande nel ’22 hanno due maschi: Giuseppe Panzeri ha il figlio Guido così come Eugenio Villa ha Giuseppe. Nascono dunque i tre protagonisti che cresceranno insieme in questo microcosmo del paese, fino alla chiamata alle armi del 1941. Giuseppe Villa parte come soldato di leva e fino al ‘42 è guardia di frontiera a Ventimiglia, passando da soldato scelto a caporale. Insieme a lui il 9 giugno parte Guido Panzeri che però viene assegnato al reggimento di fanteria Aosta insediato a Palermo, per difendere lo sbarco degli alleati. Pasquale Brivio invece salta la prima chiamata, perché aveva fatto la tubercolosi e diventerà soldato solamente nel 1943 quando verrà spedito come autista a Ivrea in quanto idoneo al servizio condizionato di 6 mesi.
La situazione cambia l’8 settembre 1943 con la firma dell’armistizio di Cassibile che spinge la Repubblica sociale italiana a dotarsi di un esercito. I militari delle classi ‘21, ‘22, ’23, ’24, ’25 vengono chiamati alle armi dal generale Rodolfo Graziani. Su 200.000 ragazzi interessati se ne presentano solamente la metà. Da Paderno non parte nessuno. Per chi ha rifiutato l’arruolamento inizia una vita difficile: c’è chi organizza la resistenza armata e chi si nasconde. Una testimonianza è arrivata a noi da Pina Barelli, sorella di Emilio Barelli, uno dei tanti padernesi che trova riparo nei rifugi naturali dell’Adda e che però viene catturato e caricato su un camion. Fortunatamente il ragazzo riesce a fuggire e da Erba e torna a piedi fino a casa dove viene nascosto dalla famiglia insieme a due croati con la paura costante di essere nuovamente preso.
Arriva così il secondo bando del febbraio del 1944, nel quale viene minacciata la condanna alla pena di morte per i disertori. Il 10 marzo dunque sia Giuseppe che Lino partono insieme per paura, così come fa Guido qualche giorno dopo, scegliendo però la latitanza poco tempo dopo. I tre si rifugiarono con altri coetanei nelle campagne con il sostegno dei concittadini, finché un giorno qualcuno tradisce. Viene avvisato un fascista stazionato a Merate che, presentatosi alla corte Grande, prende in ostaggio la sorella e la mamma di Lino. A questo punto la scelta diventa inevitabile: i ragazzi si consegnano. Il 9 maggio vengono arrestati e portati al carcere di Gallarate dove nuovamente rifiutano l’arruolamento e quindi ricevono la condanna: Pasquale a 9 mesi, Giuseppe e Guido a un anno, per tutti da trascorrere in Germania.
700.000 soldati come loro fanno la stessa scelta e vengono deportati per fare lavori forzati. Chiamati dai tedeschi IMI (Internati Militari Italiani), 50.000 moriranno subito, mentre 50.000, col tempo, di stenti. I tre padernesi partono da Gallarate, nel loro viaggio sicuramente passano per Dachau, dove è stata ritrovata la carta d’identità di Lino, del quale si perdono notizie il 22 ottobre del ’44, con una sua ultima lettera inviata ai genitori. Gli altri due giovani vengono mandati vicino a Lipsia, nel piccolo lager di Zöschen, di cui si hanno poche testimonianze. Si tratta di un campo di rieducazione al lavoro, pensato per un reinserimento a posteriori nella società. In realtà le condizioni erano critiche, completamente analoghe a quelle dei lager più noti. Gli internati venivano impiegati per spostare detriti per rendere agibile uno stabilimento chimico che produceva tutto il carburante per l’esercito tedesco e che per questo motivo era soggetto a bombardamenti continui. 500 delle 5.000 persone prigioniere morirono per sfinimento, malattia o come vittime di punizioni.
Tra di loro figurano Guido Panzeri, deceduto il 26 marzo per sfinimento e Giuseppe Villa, scomparso il 5 aprile per lo stesso motivo, una settimana prima della liberazione del campo da parte degli alleati il 14 aprile 1945. I due vengono riconosciuti come partigiani caduti, titolo non attribuibile a Pasquale Brivio per il mancato ritrovamento del corpo. La storia di Lino rimane dunque in sospeso, nonostante le continue richieste di ricerca della madre, fino al periodo della pandemia e del lockdown, quando Andrea Colleoni digita il suo nome nell’ archivio online dell’ex Croce Rossa internazionale. Scopre così che il giovane non si trovava a Dachau come si pensava. Dopo essere stato a Lipsia con i suoi due compaesani il 27 febbraio viene trasferito al campo di concentramento di Buchenwald come prigioniero politico. Per le condizioni di salute critiche, viene destinato a lavoro leggero nei magazzini, fino ad essere incarcerato il 29 marzo per circostanze ignote. Da questo giorno si perdono sue notizie, sicuramente però si sa che non era tra gli italiani fuggiti dal campo perché non prefigura nella lista stilata dai compagni nell’aprile del 1945.Il 16 dicembre il sindaco di Paderno e le famiglie dei giovani vengono informate che i tre ragazzi non ce l’hanno fatta. Parte così un processo di denuncia alle autorità che hanno prelevato e condannato i ragazzi e una richiesta di giustizia, testimoniata da una lettera scritta dai genitori alla polizia il 6 gennaio 1946.
Venti giovani padernesi sono andati incontro allo stesso destino dei ragazzi della corte Grande, tanti invece sono tornati feriti, altri illesi. Tra i sopravvissuti figura il fratello minore di Lino, Gaetano, che è stato soldato di leva nel 1943 per poi fuggire, nascondersi e sopravvivere. Gaetano è il nonno di Andrea Colleoni, uno dei relatori della serata che ha ricostruito con tanto impegno e passione la memoria dei tre giovani padernesi. Il sindaco Gianpaolo Torchio ha ringraziato A.N.P.I., la Consulta Giovani e la Pro Loco per aver riportato il ricordo e il sacrificio di questi tre giovani che nel 2025 otterranno un riconoscimento fisico in paese, con la posa di tre pietre d’inciampo nella corte che li ha fatti conoscere e che è stata la loro casa. “Fare memoria è un atto di giustizia etica nei confronti del passato, è importante creare una comunità legata in questa volontà per condividere dei valori”.
Il primo cittadino ha invitato dunque il numeroso pubblico a recuperare e condividere le storie dei propri avi, per riportare alla luce, con altri incontri, la vita dei tanti padernesi che si sono battuti per la libertà.
Ilaria Biffi