Merate: i danni collaterali di una consigliatura da dimenticare
Durante la consigliatura “Panzeri”, che volge al termine abbiamo avuto diverse sorprese. Nessuna però piacevole.
In cinque anni, dal 2019, l’ospedale è stato letteralmente massacrato, con tante dimissioni di primari e un numero imprecisato di medici e infermieri, nonché la soppressione di servizi e prestazioni. Ma sino a pochi mesi fa la Giunta, sostenuta dai giornali fiancheggiatori, affermava che il Mandic era tutt’altro che in crisi, anzi era in fase di potenziamento. Urca! Poi l’ondata di dimissioni ha ricondotto tutti alla ragione, ma sempre con l’avvertenza di non schiacciare troppo i piedi a chicchessia. Ora c’è da tentare la ricostruzione. Compito ingrato per la nuova Direzione strategica.
A gennaio di tre anni fa è toccato a Retesalute finire sotto i colpi del massimo rappresentante dell’Amministrazione di Merate che ha sparato a palle incrociate contro i CdA precedenti, i funzionari e financo le impiegate. Conti in rosso, bilanci falsi, urlava. Bisogna liquidare l’azienda. E così è stato. Ora facciamo l’ipotesi che chi scrive queste note e chi le legge siano soci in una Spa e al tempo stesso anche clienti della medesima. Alla quale, però, pagano i prodotti che prelevano, in ritardo e sotto costo. A un certo punto i conti della Spa andranno in rosso. Circostanza di scolastica elementare. Al che il Presidente del CdA, socio e cliente della stessa, (nel nostro caso Massimo Panzeri) proclama l’inevitabilità della messa in liquidazione. Poi a qualcuno viene in mente che se i clienti-soci pagano i debiti, e al giusto prezzo, è probabile che i conti torneranno in nero. Così avviene. E la nostra Spa torna operativa e risanata. Ecco, questa è la storia poco edificante di Retesalute, messa in liquidazione, poi ritornata in bonis con qualche danno collaterale: circa 300mila euro di parcelle pagate a commercialisti, avvocati e liquidatori e la perdita di parecchie figure professionali.
Nel tentativo di far dimenticare queste due vicende a Palazzo puntano i jolly su un progetto in itinere per il Castello Prinetti (di cui parleremo più avanti) e sulla riqualificazione di via Verdi. Il Sindaco in persona ha attraversato più volte l’arteria con tanto di telefonino (ci auguriamo non in mano) per registrarne la magnificenza concludendo il filmato con la scritta “Soddisfatto", senza avvedersi che sullo sfondo sfilava un ciclista sul ridondante marciapiede nonostante il divieto. A distanza di mesi però ci si accorge che le rotatorie rendono fluido il traffico al punto che anche i navigatori sono stati aggiornati e spingono i veicoli a “saltare” i due semafori di Cernusco. E quel che si temeva sta accadendo: la strada minaccia sul serio di diventare una tangenziale. Senza piante, senza pista ciclabile, senza zone di ristoro collettivo e senza la piazzola di fermata dei bus che, così, creano lunghe code in fase di sosta. Piazzole che invece furono realizzate negli anni cinquanta quando venne tracciata via Alcide De Gasperi.
A margine di ciò ora deflagra il “caso Proloco”. Per decenni, dai tempi del compianto Bertoni l’associazione cittadina si è mantenuta distinta e distante dall’Amministrazione comunale. Negli ultimi anni, invece, sembra una branca collaterale ad essa. Una propaggine, con la sua Presidente che ha libero accesso al Municipio e che senza ritegno invia alla stampa il calendario eventi 2024 ancora prima che la Giunta lo analizzi e lo approvi (dato che poi lo dovrà anche finanziare). La Presidente della Proloco ha tutto il diritto di candidarsi alle prossime elezioni e la sua popolarità le regalerà quasi certamente un bel numero di preferenze. Ma è necessario che si dimetta dall’associazione cittadina, almeno in ossequio ai primi due articoli dello statuto se si vuole ignorare un minimo di pudore. Ci chiediamo come mai Mattia Salvioni, segretario del Circolo del PD, candidato sindaco del centrosinistra e socio di Proloco non abbia ancora posto il problema. Forse non se n’è accorto tutto preso nei suoi funambolici calcoli pre elettorali.
Comunque sia, la conclusione è che la Consigliatura che volge al termine non lascia una eredità degna di memoria. Tolto via Verdi e la piazza (900mila euro per rifare la pavimentazione, opera peraltro non completata) non c’è altro nel dossier.
A parte i danni di cui sopra.
In cinque anni, dal 2019, l’ospedale è stato letteralmente massacrato, con tante dimissioni di primari e un numero imprecisato di medici e infermieri, nonché la soppressione di servizi e prestazioni. Ma sino a pochi mesi fa la Giunta, sostenuta dai giornali fiancheggiatori, affermava che il Mandic era tutt’altro che in crisi, anzi era in fase di potenziamento. Urca! Poi l’ondata di dimissioni ha ricondotto tutti alla ragione, ma sempre con l’avvertenza di non schiacciare troppo i piedi a chicchessia. Ora c’è da tentare la ricostruzione. Compito ingrato per la nuova Direzione strategica.
A gennaio di tre anni fa è toccato a Retesalute finire sotto i colpi del massimo rappresentante dell’Amministrazione di Merate che ha sparato a palle incrociate contro i CdA precedenti, i funzionari e financo le impiegate. Conti in rosso, bilanci falsi, urlava. Bisogna liquidare l’azienda. E così è stato. Ora facciamo l’ipotesi che chi scrive queste note e chi le legge siano soci in una Spa e al tempo stesso anche clienti della medesima. Alla quale, però, pagano i prodotti che prelevano, in ritardo e sotto costo. A un certo punto i conti della Spa andranno in rosso. Circostanza di scolastica elementare. Al che il Presidente del CdA, socio e cliente della stessa, (nel nostro caso Massimo Panzeri) proclama l’inevitabilità della messa in liquidazione. Poi a qualcuno viene in mente che se i clienti-soci pagano i debiti, e al giusto prezzo, è probabile che i conti torneranno in nero. Così avviene. E la nostra Spa torna operativa e risanata. Ecco, questa è la storia poco edificante di Retesalute, messa in liquidazione, poi ritornata in bonis con qualche danno collaterale: circa 300mila euro di parcelle pagate a commercialisti, avvocati e liquidatori e la perdita di parecchie figure professionali.
Nel tentativo di far dimenticare queste due vicende a Palazzo puntano i jolly su un progetto in itinere per il Castello Prinetti (di cui parleremo più avanti) e sulla riqualificazione di via Verdi. Il Sindaco in persona ha attraversato più volte l’arteria con tanto di telefonino (ci auguriamo non in mano) per registrarne la magnificenza concludendo il filmato con la scritta “Soddisfatto", senza avvedersi che sullo sfondo sfilava un ciclista sul ridondante marciapiede nonostante il divieto. A distanza di mesi però ci si accorge che le rotatorie rendono fluido il traffico al punto che anche i navigatori sono stati aggiornati e spingono i veicoli a “saltare” i due semafori di Cernusco. E quel che si temeva sta accadendo: la strada minaccia sul serio di diventare una tangenziale. Senza piante, senza pista ciclabile, senza zone di ristoro collettivo e senza la piazzola di fermata dei bus che, così, creano lunghe code in fase di sosta. Piazzole che invece furono realizzate negli anni cinquanta quando venne tracciata via Alcide De Gasperi.
A margine di ciò ora deflagra il “caso Proloco”. Per decenni, dai tempi del compianto Bertoni l’associazione cittadina si è mantenuta distinta e distante dall’Amministrazione comunale. Negli ultimi anni, invece, sembra una branca collaterale ad essa. Una propaggine, con la sua Presidente che ha libero accesso al Municipio e che senza ritegno invia alla stampa il calendario eventi 2024 ancora prima che la Giunta lo analizzi e lo approvi (dato che poi lo dovrà anche finanziare). La Presidente della Proloco ha tutto il diritto di candidarsi alle prossime elezioni e la sua popolarità le regalerà quasi certamente un bel numero di preferenze. Ma è necessario che si dimetta dall’associazione cittadina, almeno in ossequio ai primi due articoli dello statuto se si vuole ignorare un minimo di pudore. Ci chiediamo come mai Mattia Salvioni, segretario del Circolo del PD, candidato sindaco del centrosinistra e socio di Proloco non abbia ancora posto il problema. Forse non se n’è accorto tutto preso nei suoi funambolici calcoli pre elettorali.
Comunque sia, la conclusione è che la Consigliatura che volge al termine non lascia una eredità degna di memoria. Tolto via Verdi e la piazza (900mila euro per rifare la pavimentazione, opera peraltro non completata) non c’è altro nel dossier.
A parte i danni di cui sopra.
Claudio Brambilla