LIBRI CHE RIMARRANNO/101: ''Abel'' di Alessandro Baricco
Ci sono scrittori dei quali pare faccia figo dire male. Uno di questi è Alessandro Baricco: amatissimo dai suoi lettori, snobbato – quando va bene – dai critici. Quando ho chiesto all’ufficio stampa di Feltrinelli di mandarmi una copia del suo ultimo romanzo, “Abel” (Feltrinelli 2023, pagg. 160, Euro 17,00), chi lavora con me è rimasto stupito: «Tu recensisci Baricco?».Mi incuriosiva questo suo lavoro, otto anni dopo il suo ultimo romanzo, “La sposa giovane”. Nel mezzo lo spettacolo “Furore”, tratto dal romanzo omonimo di Steinbeck, e la leucemia.
Apro “Abel” e ritrovo tutti i baricchismi che hanno reso così tipica e così critica la sua prosa: ogni scrittore vive in una propria bolla e in ogni libro parla di sé stesso, con la propria lingua. Dunque gergalismi misti ad aforismi, l’incipitario calviniano (o salingeriano), la fisica dei corpi ritratti nelle loro funzioni più carnali e la metafisica dei pensieri, un pistolero che cita Hume e Aristotele e solo dopo, molto più avanti, ti spiega perché li conosce, una trama scarna (un pistolero ventisettenne, Abel Crow, famoso per un suo colpo a pistole incrociate, parte insieme con i suoi fratelli per liberare la madre, ladra di cavalli, dalla forca) correlata da camei, personaggi minori, rivoli in cui si disperde e poi riaffiora. Insomma, poche piccole cose scritte molto molto bene: il Baricco che piace alla gente che piace.
Si era indispettito quando Giulio Ferroni su «Repubblica» l’aveva accusato di “profondità di superficie”, chiedendo di essere letto sul serio, fino in fondo, privo di pregiudizi estetici sui suoi lavori.
Gli otto anni trascorsi dal penultimo lavoro a questo devono averlo convinto che fosse meglio fare da sé piuttosto che aspettare, e “Abel” non è il solito romanzo di Baricco. È un western ambientato in un West per certi versi evanescente, senza riferimenti topografici, ma è anche un insieme di storie d’amore: quella tra Abel Crow e Hallelujah Wood, donna indipendente che va e viene ma ama, e quella tra i fratelli Crow, e tra loro e la loro madre, che li ha amati incestuosamente e poi se n’è andata senza mai andarsene del tutto. Mi accorgo che sto “bariccheggiando” anche io nel recensire Baricco, per girare attorno senza svelare del tutto la trama.
Vale la pena di leggere questo “Abel”? Sì.
Cosa ci si ritrova? Il misticismo violento di Quentin Tarantino e le storie lapidarie di Lee Masters, un po’ “Hateful eigth” un po’ “Spoon River”.
Piacerà a chi ama Baricco? Sì.
Piacerà a chi non lo ha amato finora o non lo conosce? Moltissimo.
Apro “Abel” e ritrovo tutti i baricchismi che hanno reso così tipica e così critica la sua prosa: ogni scrittore vive in una propria bolla e in ogni libro parla di sé stesso, con la propria lingua. Dunque gergalismi misti ad aforismi, l’incipitario calviniano (o salingeriano), la fisica dei corpi ritratti nelle loro funzioni più carnali e la metafisica dei pensieri, un pistolero che cita Hume e Aristotele e solo dopo, molto più avanti, ti spiega perché li conosce, una trama scarna (un pistolero ventisettenne, Abel Crow, famoso per un suo colpo a pistole incrociate, parte insieme con i suoi fratelli per liberare la madre, ladra di cavalli, dalla forca) correlata da camei, personaggi minori, rivoli in cui si disperde e poi riaffiora. Insomma, poche piccole cose scritte molto molto bene: il Baricco che piace alla gente che piace.
Si era indispettito quando Giulio Ferroni su «Repubblica» l’aveva accusato di “profondità di superficie”, chiedendo di essere letto sul serio, fino in fondo, privo di pregiudizi estetici sui suoi lavori.
Gli otto anni trascorsi dal penultimo lavoro a questo devono averlo convinto che fosse meglio fare da sé piuttosto che aspettare, e “Abel” non è il solito romanzo di Baricco. È un western ambientato in un West per certi versi evanescente, senza riferimenti topografici, ma è anche un insieme di storie d’amore: quella tra Abel Crow e Hallelujah Wood, donna indipendente che va e viene ma ama, e quella tra i fratelli Crow, e tra loro e la loro madre, che li ha amati incestuosamente e poi se n’è andata senza mai andarsene del tutto. Mi accorgo che sto “bariccheggiando” anche io nel recensire Baricco, per girare attorno senza svelare del tutto la trama.
Vale la pena di leggere questo “Abel”? Sì.
Cosa ci si ritrova? Il misticismo violento di Quentin Tarantino e le storie lapidarie di Lee Masters, un po’ “Hateful eigth” un po’ “Spoon River”.
Piacerà a chi ama Baricco? Sì.
Piacerà a chi non lo ha amato finora o non lo conosce? Moltissimo.
Rubrica a cura di Stefano Motta