Fiducia supplicans: cambio di rotta?
Il Dicastero per la Dottrina della Fede ha formulato la dichiarazione «Fiducia supplicans» sul senso pastorale delle benedizioni. Questo scritto, che ha suscitato immediate e non poche polemiche, è stato pubblicato il 18 dicembre. È il frutto di un processo, iniziato con i Dubia inviati da alcuni cardinali al Sommo Pontefice circa la vita matrimoniale. Fiducia supplicans ha dato il via libera, con delle riserve, alla benedizione spontanea di coppie in unioni diverse dal matrimonio. Analizziamola meglio.
Il documento consta di 45 punti e possiamo dividerlo in cinque parti. La prima parte (1-6) è del tutto introduttiva ma non da trascurare: oltre al contesto di redazione, ci vuole proporre la chiave ermeneutica – a mio avviso - della questione. Ribadisce il fondamento del matrimonio quale “patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla generazione e educazione della prole” (CIC c.1055). Nella seconda e lunga parte (7-19) del documento, il Dicastero ripercorre tutto l’iter giuridico-biblico-teologico del senso delle benedizioni: dall’Antico Testamento, per passare alla figura di Cristo e delle lettere degli Apostoli per arrivare al n. 19 dove si definiscono le benedizioni come luogo di “inclusione, solidarietà e pacificazione (…) un messaggio positivo di conforto, (…) l’abbraccio misericordioso di Dio. La terza parte (20-30) l’ex Sant’Uffizio entra nel vivo della discussione, parlando del rapporto tra la benedizione e la condizione generale di peccato di una persona. Questa parte vuole essere quasi una introduzione “normativa” alla parte successiva, un fondamento teologico-pastorale di quando si dirà in seguito, nella quarta parte (31 – 41). I seguenti dieci numeri sono il cardine di tutto il documento, in particolare il n. 31: “Nell’orizzonte qui delineato si colloca la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso, la cui forma non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio. In questi casi, si impartisce una benedizione (…) su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo. Queste forme di benedizione esprimono una supplica a Dio perché conceda quegli aiuti che provengono dagli impulsi del suo Spirito – che la teologia classica chiama “grazie attuali” – affinché le umane relazioni possano maturare e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo, liberarsi dalle loro imperfezioni e fragilità ed esprimersi nella dimensione sempre più grande dell’amore divino”. Infine, nell’ultima parte (42-45) il documento si chiude con il memento che la Chiesa è il sacramento dell’Amore di Dio. Per questioni redazionali, non posso analizzare tutto il documento, seppur sia un lavoro interessante ma occuperei troppo spazio e stancherei il lettore. Ci soffermiamo sul pomo della discordia, ossia sulla terza parte.
Il documento consta di 45 punti e possiamo dividerlo in cinque parti. La prima parte (1-6) è del tutto introduttiva ma non da trascurare: oltre al contesto di redazione, ci vuole proporre la chiave ermeneutica – a mio avviso - della questione. Ribadisce il fondamento del matrimonio quale “patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla generazione e educazione della prole” (CIC c.1055). Nella seconda e lunga parte (7-19) del documento, il Dicastero ripercorre tutto l’iter giuridico-biblico-teologico del senso delle benedizioni: dall’Antico Testamento, per passare alla figura di Cristo e delle lettere degli Apostoli per arrivare al n. 19 dove si definiscono le benedizioni come luogo di “inclusione, solidarietà e pacificazione (…) un messaggio positivo di conforto, (…) l’abbraccio misericordioso di Dio. La terza parte (20-30) l’ex Sant’Uffizio entra nel vivo della discussione, parlando del rapporto tra la benedizione e la condizione generale di peccato di una persona. Questa parte vuole essere quasi una introduzione “normativa” alla parte successiva, un fondamento teologico-pastorale di quando si dirà in seguito, nella quarta parte (31 – 41). I seguenti dieci numeri sono il cardine di tutto il documento, in particolare il n. 31: “Nell’orizzonte qui delineato si colloca la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso, la cui forma non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio. In questi casi, si impartisce una benedizione (…) su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo. Queste forme di benedizione esprimono una supplica a Dio perché conceda quegli aiuti che provengono dagli impulsi del suo Spirito – che la teologia classica chiama “grazie attuali” – affinché le umane relazioni possano maturare e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo, liberarsi dalle loro imperfezioni e fragilità ed esprimersi nella dimensione sempre più grande dell’amore divino”. Infine, nell’ultima parte (42-45) il documento si chiude con il memento che la Chiesa è il sacramento dell’Amore di Dio. Per questioni redazionali, non posso analizzare tutto il documento, seppur sia un lavoro interessante ma occuperei troppo spazio e stancherei il lettore. Ci soffermiamo sul pomo della discordia, ossia sulla terza parte.
Con tale pronunciamento il Dicastero ammette la benedizione di coppie irregolari in virtù delle ragioni teologico pastorali. Tale benedizione rappresenta sia l’invocazione a Dio dei richiedenti di santificare il loro amore, sia l’aiuto di Dio a liberarsi delle loro imperfezioni e fragilità. Il documento ci tiene a specificare che tale “ritualità” non sostituisce il matrimonio e non legittima una unione irregolare, tanto è vero che non deve essere assolutamente celebrata nella sede dei matrimoni civili, al fine di non confondere o generale scandalo. Si introduce il così il principio della benedizione alle coppie irregolari in virtù dell’inclusione, del bisogno di pacificazione, della misericordia di Dio.
Questa nuova posizione della Chiesa può assumere alcune letture. A mio avviso si ribadisce il senso inclusivo ma si sottolinea che non sono da farsi né con i matrimoni civili né durante una liturgia, al fine di non confondere il popolo di Dio. Credo che i due principi non vadano molto in accordo. Di buono però c’è che chi vive in queste situazioni di irregolarità potrebbe sentirsi anche consolato da una dichiarazione del genere ma credo che un movimento così insapore serva a tale scopo.
Il n. 41 chiarisce che non ci saranno altre normative esplicative sull’argomento. Quindi, nella pastorale, i preti di parrocchia dovranno “arrangiarsi”: non avranno un rituale da seguire. In una novità – se lo è davvero – del genere, forse, il clero avrebbe bisogno di essere accompagnato e non di essere lasciato in una Babele di ritualità, frutto della fantasia del celebrante. In questo modo, poi, si andrà ad implementare un sistema che, purtroppo, è già presente nelle nostre parrocchie. I fedeli, infatti, scelgono il sacerdote che dice loro ciò che si vogliono sentir dire. Così si perde l’unità, l’uniformità nell’annuncio, nella predicazione e nell’amministrazione dei sacramenti. A volte si assiste già ad un conadificio delle parrocchie o, come diceva il mio prof. di Ecclesiologia Mons. Piazza, un sacramentificio.
Si benedice la coppia, non l’unione. E che significa? Che cos’è la coppia se non l’unione di due persone? Mi sembra più un gioco di semantica che una questione teologica.
Oltre a queste questioni pratiche, c’è una questione teologica che mi preoccupa. Prospero di Aquitania, uno dei primi autori della cristianità definisci il principio della “legem credendi lex statuat supplicandi”, secondo il quale ciò che si prega è contenuto di fede. Essendo una benedizione un momento di preghiera, tale forma di benedizione alle coppe irregolari diventerebbe legem credenti, per intenderci come è capitato per il dogma dell’Assunzione della B. V. Maria: un culto nato sin dalla fine del IV sec. ma diventato dottrina da credersi solo nel 1950, con la Munificentissimus Deus di Pio XII.
Ora, perché tutta questa tiepidità? Sulle coppie irregolari, quindi separati-divorziati e dello stesso sesso “per me le cose sono due”: o c’è un sì o c’è un no. “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,17-37). Con questo, per ora, non entro assolutamente nella questione cioè se sia giusto o meno regolarizzare queste coppie. Ritengo però che questa trovata di marketing generi altre divisioni in una Chiesa che sta già soffrendo. E poi: perché far dire una cosa del genere a un Dicastero e non al papa stesso? Forse si tratta di un espediente, per capire che reazioni genera ma questa modalità rischia di bruciare un argomento di grande portata. Speriamo davvero che lo Spirito faccia luce su questa questione davvero controversa, senza distinguendo il peccato dal peccatore e ricordandoci che dietro queste situazione “irregolari” se celano sempre gradi situazioni di dolore.
Grazie per lo spazio
Pietro Santoro