Novate: l'ultimo saluto a Massimo, spentosi a 45 anni

Si è svolto quest'oggi a Novate il funerale di Massimo Viganò, classe 1978, spentosi dopo una malattia incurabile. Persona solare, grande lavoratore, viveva da sempre nella frazione dove risiede ancora il papà Paolo. Tantissimi i parenti e soprattutto gli amici che quest'oggi hanno voluto dargli l'ultimo saluto nel corso della cerimonia che si è svolta nella parrocchia della frazione e che è stata celebrata da don Eugenio e da don Biagio, cappellano dell'ospedale dove Massimo si recava per assistere alla Messa festiva. 
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Al termine della funzione i colleghi di lavoro e i compagni della scuola elementare hanno voluto condividere un ricordo con tutti i presenti per raccontare qualcosa di quel ragazzo buono, volato via troppo presto...
“Pazienza. Ci vuole pazienza”. Lo ripetevi sempre e tu, nella tua breve vita, ne hai avuta tantissima. E se vogliamo essere sinceri, non si capisce nemmeno perchè. Il destino con te e papà Paolo è stato infausto, si è accanito con una ferocia inaudita e inspiegabile.

Eravamo alle elementari, un gruppetto nutrito. Tutti della Novate che aveva ancora la sua bella e frizzante scuola elementare in piazza Vittorio Veneto. Con noi per cinque anni c'è stata la maestra Giulia. Molto più di una maestra, per tutti eravamo i suoi “bambini” e forse anche oggi, adulti e svezzati, lo siamo ancora. Stavamo per concludere il primo ciclo di studi quando è venuta a mancare la tua mamma, Anna Rosa. Avevi solo 9 anni.

Tu di tutti sei stato quello che ha sempre avuto il volto e l'animo più buono, nel parlato corrente si direbbe “un patatone”. Mai una parola fuori posto, mai un pettegolezzo, mai un moto di rabbia manifestato in pubblico, nemmeno negli anni a venire quando, nuovamente, il destino era tornato ad abbattere con violenza la porta della vostra casa, portandosi via Luisa che era stata accanto a te e a papà con le premure e l'affetto discreto di una donna dal cuore grande.

Ma tu, seppur provato, eri rimasto il Massimo di sempre: sorridente, solare, pacifico.

Quello che si incontrava passando davanti al cancello di casa mentre era intento a guidare il trattorino e a lavorare nell'appezzamento di terra che tanto amavi. Tornato dal lavoro e nei giorni di festa lì c'era il tuo mondo. Nella natura, tra le cose semplici.

Appena ti accorgevi che al cancello c'era qualcuno che conoscevi ti fermavi e iniziavi una conversazione che, poi, in qualche caso era anche difficile terminare. Ti piaceva la compagnia, parlare, ridere. Apprezzavi il buon cibo con gli amici. Per te tutti erano amici, non c'erano nemici.

Le nostre lamentele quotidiane sono state probabilmente le tue di una vita intera.

Poi è arriva la malattia. Aggressiva, infausta. Le hai tenuto testa per diverso tempo, poi in meno di due anni tutto è precipitato. Il ricovero in ospedale, in hospice, poi in una casa di cura per la riabilitazione. Finalmente qualche mese fa eri tornato nella tua Novate con il papà, nella tua casa sistemata per accoglierti nella tua nuova condizione. Il tuo terreno, le tue cose avevano dato una ventata diversa a questa fase della vita che si apriva. Probabilmente avevi toccato il cielo con un dito.

E invece.

Un destino infame, egoista non ha guardato il dolore già patito e in poche settimane ti ha spento per sempre. Eppure dal letto della camera 12, dove da una finestra guardavi verso Aizurro e dall'altra le montagne bergamasche, hai detto ancora “Pazienza, ci vuole pazienza”. Guardavi, ascoltavi, spesso ti addormentavi, ma aprivi gli occhi all'arrivo e al congedo riuscivi ad alzare la mano destra e a stringere la nostra per un saluto. Che forse intimamente, sia tu che noi, sapevamo avrebbe potuto essere l'ultimo.

Così è stato e il momento è arrivato in tutta la sua crudezza.

Sei tornato ad abbracciare chi troppo presto ti ha lasciato. Forse l'unica consolazione ma comunque troppo poca per i tuoi 45 anni.

I tuoi compagni delle scuole elementari di Novate
S.V.
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