Risposta alla lettera "Sulla stella cometa"

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Egregio Direttore,

qualche lettore mi ha chiesto spiegazioni circa la questione della stella cometa come simbolo satanico in virtù dei miei studi universitari come dottore in teologia. Dopo la lettura del testo ho ritenuto opportuno scrivere qualche chiarimento. Ringrazio sin da ora per lo spazio che mi concederete. 

La Stella di Betlemme, impropriamente chiamata stella cometa, nei testi canonici, compare solo nel Vangelo di Matteo, cap. 2, versetto 2b. «Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo» (Mt 2,2): sono le parole dei Magi al Re Erode intenti nella ricerca del Messia. Erode, temendo per il suo trono, riunì «tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo» (Mt 2, 4) per capire se nei testi anticotestamentari si parlasse di una stella collegata alla nascita di un re. Inoltre chiede ai Magi di trovare il bambino e di ritornare da lui affinché, conosciuta la sua dimora, potesse anch’egli adorarlo. Dopo l’incontro dei Magi con il neonato, Matteo sottolinea che «avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2,12).             
Per uno studio scientifico del testo, andiamo all’originale, al greco. A tal fine userò la versione del Vangelo Interlineare nella edizione del 2005. Il testo greco è tratto dal Nestle-Aland. La pericope ci parla di τὸν ἀστέρα, accusativo singolare di ἀστήρ. Nella traslitterazione si legge astera, da qui il nostro italiano astro. Anche nella Vulgata di Girolamo, la parola è tradotta con il termine stellam, accusativo singolare di stella. I testi, quindi, non parlano di nessuna cometa ma solamente di un astro, un corpo celeste, una stella. I cristiani dei primi secoli sapevano che quella era semplicemente una stella; anche nelle iconografie orientali e nella iconografia paleocristiana, la stellaa non ha nessuna coda. Dobbiamo al Medioevo la tradizione della cometa legata ai Re Magi. Una delle prime rappresentazioni della stella cometa è presumibilmente di Giotto, nella “Adorazione dei Magi” della Cappella degli Scrovegni, a Padova. Nel corso dei secoli poi molti studiosi hanno cercato di dare una spiegazione scientifica circa la presenza di questo fatto astronomico nei testi biblici su cui però non mi soffermerò.  
Stando all’esegesi dei testi, la presenza della stella è legata all’Antico Testamento: il testo evangelico di Matteo è scritto per la comunità giudeo-cristiana della Palestina che da poco aveva da vissuto il dramma della prima Guerra Giudaica, conclusa dal figlio di Vespasiano, Tito, che portò alla distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme. In pratica tale distruzione segna una crisi identitaria del popolo di Israele poiché li costringe a ricalibrare il culto che perdeva il suo fulcro: l’Arca dell’Alleanza, custodita nel Sancta Sanctorum del Tempio. Si riprende così il culto sinagogale, nato dopo la prima distruzione del Tempio di Salomone e la cattività babilonese, conosciuta come “esilio babilonese”.           
La stella, nell’Antico Testamento, rappresenta la Sapienza: la sua prima comparsa è nel libro dei Numeri, al capitolo 24 quando Balaam, invece che maledire il popolo di Israele, pronuncia una lunga benedizione che culmina con «una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele». I padri della Chiesa hanno visto in questa stella la profezia della stella citata da Matteo. Tale metafora poi viene ripresa anche da Luca, che redige il suo Vangelo sicuramente dopo il 70 d.C. – poiché in Lc 21, 5-38 ci racconta la rovina della Città Santa – ma molto più precisamente dopo l’80 d.C.. Egli stesso, nel prologo, ci dice: «Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, (…) così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato (…)» (Lc 1, 1-4). Per questo si può affermare che Luca conoscesse gli scritti di Matteo (o quelli a lui attribuiti) poiché è il più antico dei Vangeli Canonici (70 d.C. circa). Dopo la nascita di Giovanni, Zaccaria loda Dio. Luca gli fa pronunciare il famoso Cantico del Benedictus Dominus (Lc 1, 68 – 79) in cui sul finale si legge «per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre». La traduzione in italiano non è felicissima: la parola utilizzata per indicare il sole che sorge è ἀνατολή, termine greco usato per indicare il sorgere di un qualsiasi corpo celeste. Diversamente da ἐπιτολή utilizzato per tutti i corpi celesti, ἀνατολή è utilizzato per le stelle e soprattutto per il sole.
Quindi la metafora della stella, nei testi sacri, non è mai utilizzata per indicare qualche manifestazione diabolica et similia. Nei testi biblici solo le tenebre indicano momenti nefasti, il peccato o il δαίμονας (demonio).  

Concludo solo con una breve spiegazione circa la frase “meno male che Maria e Peppino con quei doni andarono in Egitto”. Come quella della stella è una metafora, così anche i doni sono puramente simbolici. Tutto il racconto è simbolico: in principio i tre Magi rappresentano i tre figli di Noè. Nel testo di Matteo non si dice che fossero tre. Rappresentano quindi tutta la nuova umanità – quella sopravvissuta al diluvio universale. Presumibilmente fanno parte della casta sacerdotale persiana e la tradizione li ha fatti diventare re poiché gli ha attribuito i testi di Is 60,3 e Sal 72, 10s. I doni, invece, erano tre e anche questi sono simbolici. Come insegnavo ai miei alunni in seconda elementare, Matteo con i doni ci svela l’identità di Gesù: l’oro, simbolo della discendenza davidica; incenso, simbolo della divina paternità; la mirra, simbolo della sua condizione umana. Possiamo dire che l’evangelista ci propone una sorta di carta di identità del Messia con una simbologia molto cara ai destinatari del suo testo. Quindi la Famiglia non scappò con il bottino.

I testi sacri non possono essere letti svuotati dal loro contesto e con una mentalità purista – letterale.

Grazie per lo spazio.
Pietro Santoro - Dottore in Teologia
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