Valletta: Franzosini racconta "Sotto il nome del cardinale"
"Ripamonti, chi era costui?" è la domanda che Edgardo Franzosini si è posto nell'elaborare il libro "Sotto il nome del Cardinale", presentato nella serata di sabato 11 novembre presso l'aula magna della scuola Secondaria di Primo Grado 'Don Piero Pointinger' di La Valletta Brianza.
Introdotto dall'assessore Anna Perego e dalla bibliotecaria Grazia Citterio, Franzosini ha raccontato la sua opera e dunque la storia narrata riguardo la figura di Giuseppe Ripamonti in un dialogo con il professore Lorenzo Zumbo, che ha descritto con queste parole la scrittura dell'autore: "Ogni opera di Edgardo ha come protagonisti dei personaggi realmente esistiti ed una ricca narrazione tessuta assieme dai vari documenti storici che egli consulta prima di scriverla". Le storie raccontate da Franzosini sono spesso però delle "biografie immaginarie", poichè lo scrittore sceglie di inserire particolari che rendono i fatti estranei alla realtà. "Scelgo sempre di appoggiarmi sia alla storia che alla falsità. Per Ripamonti mi son sentito in dovere di affidarmi molto ai documenti storici, come se mi sentissi in obbligo di narrare quel che è stata la sua vera storia e l'importanza delle sue opere ed azioni" ha raccontato l'autore.
Giuseppe Ripamonti, nato a Tegnone nel 1573 da una dignitosa famiglia contadina, ebbe una carriera fulminante e prestigiosa da sacerdote. Successivamente all'ordinazione divenne infatti professore al Seminario e poi Dottore della neonata Biblioteca Ambrosiana, dove entrò nelle grazie del cardinale Federico Borromeo. Dopo la pubblicazione della prima parte della sua "Historia Ecclesiae Mediolenensis" del 1617, cominciarono però per lui i guai. Dal 1618 al 1622 venne incarcerato e condannato a ulteriori tre anni di carcere. A Ripamonti vennero imputate le colpe più disparate, che andavano dal contenuto della sua opera, alla trascuratezza degli uffici religiosi, all’infamante pratica della sodomia, dalla quale venne però prosciolto. Quel che più pare strano del processo è che l'Inquisizione fu tenuta alla larga, mentre la gestione venne affidata completamente al Tribunale locale che rispondeva al cardinale Borromeo.
A questo enigma risponde Franzosini. Se infatti Federico Borromeo è noto come autore di una sterminata serie di opere latine di carattere teologico, morale, storico, erudito, Ripamonti sembra "sbugiardare" la fama letteraria del cardinale affermando, attraverso lettere inviate durante la prigionia, che: "non scrisse mai il signor Cardinale cosa nessuna in latino"; "ben venti volumi son quelli per me tradotti accuratissimamente dal volgare italiano in latino". Insomma, il Ripamonti sarebbe stato una sorta di traduttore e/o ghostwriter del Borromeo, il quale, per paura che potesse rivelare il suo segreto, gli volle dare una bella lezione. Finita la carcerazione l'aiuto linguistico al cardinale continuò e Ripamonti potè riappropriarsi della scena culturale milanese, tanto che, morto Federico Borromeo, divenne Storiografo Patrio e scrisse la sua opera cronistica più importante, il "De peste", a pochi anni prima di spegnersi nel 1643 a Rovagnate.
Uscito nel 1640 a Milano, il "De peste" ebbe importanza fondamentale per Alessandro Manzoni nel ricostruire i fatti della Milano colpita dal morbo e nell'ambientare la storia de "I Promessi Sposi". Come spiegato anche da Franzosini, Ripamonti fu quindi un punto di riferimento per lo scritto del Manzoni, sia per la storiografia che per l'ispirazione a diversi personaggi descritti da Ripamonti in sue diverse opere, tra cui l'Innominato e la monaca di Monza. Edgardo franzosini racconta dunque Giuseppe Ripamonti in modo completo, per quello che ha vissuto e per quello che ha fatto come scrittore e cronista. "Volevo ridare importanza al suo nome, spesso dimenticato se non legato unicamente alla via milanese a lui dedicata. Spero di aver reso omaggio in modo completo a colui che io ritengo la prima ispirazione di Manzoni per la stesura della sua opera".
Introdotto dall'assessore Anna Perego e dalla bibliotecaria Grazia Citterio, Franzosini ha raccontato la sua opera e dunque la storia narrata riguardo la figura di Giuseppe Ripamonti in un dialogo con il professore Lorenzo Zumbo, che ha descritto con queste parole la scrittura dell'autore: "Ogni opera di Edgardo ha come protagonisti dei personaggi realmente esistiti ed una ricca narrazione tessuta assieme dai vari documenti storici che egli consulta prima di scriverla". Le storie raccontate da Franzosini sono spesso però delle "biografie immaginarie", poichè lo scrittore sceglie di inserire particolari che rendono i fatti estranei alla realtà. "Scelgo sempre di appoggiarmi sia alla storia che alla falsità. Per Ripamonti mi son sentito in dovere di affidarmi molto ai documenti storici, come se mi sentissi in obbligo di narrare quel che è stata la sua vera storia e l'importanza delle sue opere ed azioni" ha raccontato l'autore.
Giuseppe Ripamonti, nato a Tegnone nel 1573 da una dignitosa famiglia contadina, ebbe una carriera fulminante e prestigiosa da sacerdote. Successivamente all'ordinazione divenne infatti professore al Seminario e poi Dottore della neonata Biblioteca Ambrosiana, dove entrò nelle grazie del cardinale Federico Borromeo. Dopo la pubblicazione della prima parte della sua "Historia Ecclesiae Mediolenensis" del 1617, cominciarono però per lui i guai. Dal 1618 al 1622 venne incarcerato e condannato a ulteriori tre anni di carcere. A Ripamonti vennero imputate le colpe più disparate, che andavano dal contenuto della sua opera, alla trascuratezza degli uffici religiosi, all’infamante pratica della sodomia, dalla quale venne però prosciolto. Quel che più pare strano del processo è che l'Inquisizione fu tenuta alla larga, mentre la gestione venne affidata completamente al Tribunale locale che rispondeva al cardinale Borromeo.
A questo enigma risponde Franzosini. Se infatti Federico Borromeo è noto come autore di una sterminata serie di opere latine di carattere teologico, morale, storico, erudito, Ripamonti sembra "sbugiardare" la fama letteraria del cardinale affermando, attraverso lettere inviate durante la prigionia, che: "non scrisse mai il signor Cardinale cosa nessuna in latino"; "ben venti volumi son quelli per me tradotti accuratissimamente dal volgare italiano in latino". Insomma, il Ripamonti sarebbe stato una sorta di traduttore e/o ghostwriter del Borromeo, il quale, per paura che potesse rivelare il suo segreto, gli volle dare una bella lezione. Finita la carcerazione l'aiuto linguistico al cardinale continuò e Ripamonti potè riappropriarsi della scena culturale milanese, tanto che, morto Federico Borromeo, divenne Storiografo Patrio e scrisse la sua opera cronistica più importante, il "De peste", a pochi anni prima di spegnersi nel 1643 a Rovagnate.
Uscito nel 1640 a Milano, il "De peste" ebbe importanza fondamentale per Alessandro Manzoni nel ricostruire i fatti della Milano colpita dal morbo e nell'ambientare la storia de "I Promessi Sposi". Come spiegato anche da Franzosini, Ripamonti fu quindi un punto di riferimento per lo scritto del Manzoni, sia per la storiografia che per l'ispirazione a diversi personaggi descritti da Ripamonti in sue diverse opere, tra cui l'Innominato e la monaca di Monza. Edgardo franzosini racconta dunque Giuseppe Ripamonti in modo completo, per quello che ha vissuto e per quello che ha fatto come scrittore e cronista. "Volevo ridare importanza al suo nome, spesso dimenticato se non legato unicamente alla via milanese a lui dedicata. Spero di aver reso omaggio in modo completo a colui che io ritengo la prima ispirazione di Manzoni per la stesura della sua opera".
M.Pen.