Comodamente sedute/106: cuor di polenta

Alle porte dell’inverno, quando il freddo comincia davvero a farsi sentire, non so se capita anche a voi, ma a me viene una gran voglia di preparare la polenta, piatto che amo moltissimo.

A casa mia, quando ancora vivevo con la mia famiglia d’origine, la domenica non era domenica se non veniva servito in tavola il coniglio in umido o arrosto assieme a una bella polenta.

Faceva tanto festa, era l’unico pranzo della settimana che ci vedeva  riuniti (eravamo sette!) e io lo amavo particolarmente.

Quando mi sono sposata ho cercato di portare questa tradizione in eredità, ma non sempre sono riuscita, il pranzo della domenica era importante, ma spesso la polenta veniva sostituita da nuove ricette con le quali mi cimentavo per sorprendere e stupire marito e figli, o qualche invitato di turno.

Siccome rimane sempre e comunque un cibo che amo tanto, qualche volta a sorpresa la propongo per cena, accompagnata da un bel piatto di ragù o di lenticchie in umido.
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La polenta è un alimento umile ma versatile che si abbina a tanti piatti senza mai sfigurare. Nel corso della storia ha salvato dalla fame tante persone, con dignità e fierezza.

Fare la polenta è un gesto antico, che scalda il cuore, prima ancora di saziare la fame.

Gian Paolo Spaliviero

Il mistero della sua riuscita è frutto della combinazione tra il vigore della fiamma e la sapienza nel mescolare.

C’è una bella storia che vorrei condividere con voi, scritta dal grande padre David Maria Turoldo, un uomo di fede, ma anche un grande scrittore e poeta.

E finalmente la polenta. “In tutto il paese, la sera, un dolcissimo odore di polenta appena rovesciata sul tagliere; ed era finalmente il richiamo per cui noi lasciavamo di giocare a bandiera sulla piazza. E la mamma non faceva più fatica a chiamarci perché una voce, quella dell’appetito, ci portava a casa tutti come rondoni. Polenta mia, guai se qualcuno parlerà male di te. Io non ho mai conosciuto il pane: a casa il pane lo mangiava soltanto chi si ammalava, ma era un caso raro. Ma la polenta! Cosa nascondevi dentro la tua sostanza per farci crescere tutti così grandi, in fretta? Tutti noi fratelli, alti come gambe di granoturco, forti, instancabili più degli altri (mai una malattia che ci abbia minati); e, ancora ragazzi, con il piccone, d’inverno, a estirpare i ceppi perché il focolare fosse sempre caldo. Mattina, latte e polenta; mezzogiorno, minestra e polenta; la sera, radicchio, e ancora polenta. E anzi, nei giorni duri, di magra, io ricordo mio padre che tagliava due fette dalla piccola montagna d’oro e me ne metteva una per mano e mi diceva: « Ecco, una la chiamerai polenta e l’altra formaggio». E io che ci credevo e addentavo ora da una mano ora dall’altra, fingendo di mangiare polenta e formaggio. E gli amici, quelli delle poche famiglie ricche del paese, mi prendevano in giro. Io piangevo, eppure non potevo pensar male della polenta, non potevo dir male di mio padre. A cuocerla era sempre la mamma, e mi sembrava che dentro vi cuocesse il cuore. E che fatica per renderla profumata, tirarla a giusta cottura, che non si attaccasse alla pentola nera di ghisa, che non sapesse di fumo; lei, che doveva preparare tutto il desinare, doveva soffiare dentro tanto da spolmonarsi, lei così minuta. Eppure sempre in silenzio, sempre serena, dentro una nube di fuliggine; perché noi non avevamo neppure il camino e tutto il fumo usciva dalla porta oppure dalla piccola finestra che metteva sulla «corte». Ed eravamo in nove attorno a quella tavola. Mi sembrava un’impresa quando potevo collaborare anch’io e ritornavo dai campi con qualche fascina di legna raccolta a stento lungo i fossati o i canali d’acqua. E le dicevo: «Ecco, mamma, puoi cuocerla meglio con questa legna.»

Vorrei dedicarla alle nostre mamme questa storia di polenta e di cuore, al loro calore, alla loro dolcezza, a quel bisogno incontenibile di elargire protezione e consigli con la stessa serenità con la quale cuocevano la polenta.

Mamme che con la scusa di riempire le pance tiravano fuori dal cuore segreti e dispiaceri, anche se non volevamo raccontarli.

A volte discrete e silenziose, altre volte invadenti e inopportune, ma sempre presenti, anche quando i pensieri e le preoccupazioni toglievano loro il sonno.
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C’erano sempre con il loro operato invisibile, come un collante leggero capace di tenere insieme i pezzi della famiglia: la parola pronunciata al momento giusto, l’abbraccio silenzioso quando serviva, quel profumo di cibo buono che scaldava cuore e stomaco, quel sorriso sempre attento, e spalle grosse quando servivano a difendere, sostenere o incoraggiare.

Le mamme cuor di polenta capaci di rimettere in riga tutto quello che andava storto, un muro fermo senza giudizio quando occorreva far riflettere.

Queste mamme che poi sono diventate nonne, hanno continuato a seminare con ostinazione e costanza la loro missione di dispensatrici di buoni consigli e di valori antichi, così che nulla di tutto quell’amore potesse andare perduto. A tutte queste mamme, e ne ho conosciute tante oltre la mia, una immensa gratitudine e tanta ammirazione per avermi indicato la strada dell’amore.

Da grande spero di diventare come voi. 

Vi auguro una buona domenica magari trascorsa a preparare una bella polenta e come sempre, se vi fa piacere, vi aspetto nel mio blog. www.comodamentesedute.com, per un saluto.

Alla prossima!
Rubrica a cura di Giovanna Fumagalli Biollo
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