Tra presidi, petizioni e vertici il Mandic è il tema del giorno
Riproviamo a scriverlo nonostante l’approssimarsi dello sfinimento: l’ospedale di Merate San Leopoldo Mandic NON chiude. Lo ripetiamo a quanti leggono superficialmente e si affidano al passa parola e a chi sa benissimo che non chiude ma usa questa iperbole per contrastare le giuste critiche.
Per esempio, a chi è abile nel dare i (suoi) numeri diciamo che se al Manzoni ci sono dieci sedute operatorie di chirurgia e al Mandic solo due la responsabilità sarà pure di qualcuno non certo della collera divina o di congiunzioni astrali sfavorevoli. Ma dire questo non significa certo affermare che la Chirurgia di Merate chiude. Dunque abbiamo ribadito che l’ospedale NON chiude. Ma certamente negli ultimi cinque anni ha subìto una drastica cura dimagrante avvertita dal personale e da qualche organo di stampa. Politica locale non pervenuta.
Dopo anni di assordante silenzio, però, ora il presente e, soprattutto, il futuro del San Leopoldo Mandic è diventato l’argomento del giorno. Bene così. Va detto subito che parte del merito di aver portato alla luce la questione è del Partito Democratico cittadino, guidato dal segretario Mattia Salvioni che ha organizzato il presidio, la raccolta firme “Salviamo il Mandic” che si avvicina alle 10mila sottoscrizioni e ha proposto la stesura unitaria di una mozione da sottoporre all’approvazione di tutti i Consigli Comunali del distretto meratese.
Il confronto tra i sindaci e i consiglieri regionali si è chiuso con un nulla di fatto mentre il direttore generale è sceso al Mandic ben due volte in una settimana: la prima programmata con i primari, mercoledì mattina, la seconda, improvvisata dopo la notizia apparsa su un quotidiano dell’intenzione di Paolo Favini di fare dell’ospedale di Merate un centro di alta specializzazione come Villa Beretta.
In realtà il Dg ha fatto riferimento alla prestigiosa struttura di Costa Masnaga solo per rafforzare la sua idea di conferire al Mandic una specializzazione, che lui vede nella Pneumologia e nella Geriatria, ma dentro il perimetro del presidio di I° Livello che quindi ricomprende tutti i reparti che costituiscono il Dipartimento Emergenza e Accettazione (DEA), tra cui ad esempio, Pronto Soccorso, Rianimazione, terapia intensiva cardiologica ecc.
Del resto non potrebbe apportare modifiche a quanto contenuto nel Piano Organizzativo Aziendale Strategico (Poas), tuttora vigente, approvato anche da Regione Lombardia.
Semmai sono proprio le prestazioni previste dal Poas e che ora non vengono erogate sulle quali si deve puntare l’attenzione.
Il quadro più generale vede l’approssimarsi del cambio della direzione strategica. Paolo Favini potrebbe restare in servizio mentre Vito Corrao, il direttore sanitario – la figura più concreta e operativa della direzione – ha raggiunto i limiti di età. La nomina dei nuovi vertici dovrà essere attentamente monitorata dai consiglieri regionali che, chi più chi meno, hanno preso atto delle criticità esistenti.
Criticità che per certi versi sono comuni alla gran parte delle strutture ospedaliere pubbliche, carente di medici da un lato e ridondante di società e cooperative private dall’altro. Fermare il processo di espansione del fenomeno cooperativistico è condizione primaria per restituire alle aziende ospedaliere la loro funzionalità organizzativa e gestionale. Il presidente Fontana in campagna elettorale aveva promesso un intervento in questo senso. Che però stenta ad arrivare.
L’incontro di personalità diverse per la stesura della bozza di mozione fa ben sperare, anche se spiace l’assenza del centrodestra in servizio attivo. Permane il vizio di non disturbare i vertici, di temere che una critica possa intralciare una carriera per quanto solo comunale. Sintomo questo di grande debolezza perché chi è forte sa di avere i voti e non ha bisogno del segretario provinciale o regionale. Chi invece deve essere indicato, vedi la signora Hofmann alla guida della Provincia, evita come la peste di spendere una parola per un bene comune come l’ospedale.
Da queste controfigure non c’è da aspettarsi nessun colpo di reni. E neanche un’alzata di testa.
Per esempio, a chi è abile nel dare i (suoi) numeri diciamo che se al Manzoni ci sono dieci sedute operatorie di chirurgia e al Mandic solo due la responsabilità sarà pure di qualcuno non certo della collera divina o di congiunzioni astrali sfavorevoli. Ma dire questo non significa certo affermare che la Chirurgia di Merate chiude. Dunque abbiamo ribadito che l’ospedale NON chiude. Ma certamente negli ultimi cinque anni ha subìto una drastica cura dimagrante avvertita dal personale e da qualche organo di stampa. Politica locale non pervenuta.
Dopo anni di assordante silenzio, però, ora il presente e, soprattutto, il futuro del San Leopoldo Mandic è diventato l’argomento del giorno. Bene così. Va detto subito che parte del merito di aver portato alla luce la questione è del Partito Democratico cittadino, guidato dal segretario Mattia Salvioni che ha organizzato il presidio, la raccolta firme “Salviamo il Mandic” che si avvicina alle 10mila sottoscrizioni e ha proposto la stesura unitaria di una mozione da sottoporre all’approvazione di tutti i Consigli Comunali del distretto meratese.
Il confronto tra i sindaci e i consiglieri regionali si è chiuso con un nulla di fatto mentre il direttore generale è sceso al Mandic ben due volte in una settimana: la prima programmata con i primari, mercoledì mattina, la seconda, improvvisata dopo la notizia apparsa su un quotidiano dell’intenzione di Paolo Favini di fare dell’ospedale di Merate un centro di alta specializzazione come Villa Beretta.
In realtà il Dg ha fatto riferimento alla prestigiosa struttura di Costa Masnaga solo per rafforzare la sua idea di conferire al Mandic una specializzazione, che lui vede nella Pneumologia e nella Geriatria, ma dentro il perimetro del presidio di I° Livello che quindi ricomprende tutti i reparti che costituiscono il Dipartimento Emergenza e Accettazione (DEA), tra cui ad esempio, Pronto Soccorso, Rianimazione, terapia intensiva cardiologica ecc.
Del resto non potrebbe apportare modifiche a quanto contenuto nel Piano Organizzativo Aziendale Strategico (Poas), tuttora vigente, approvato anche da Regione Lombardia.
Semmai sono proprio le prestazioni previste dal Poas e che ora non vengono erogate sulle quali si deve puntare l’attenzione.
Il quadro più generale vede l’approssimarsi del cambio della direzione strategica. Paolo Favini potrebbe restare in servizio mentre Vito Corrao, il direttore sanitario – la figura più concreta e operativa della direzione – ha raggiunto i limiti di età. La nomina dei nuovi vertici dovrà essere attentamente monitorata dai consiglieri regionali che, chi più chi meno, hanno preso atto delle criticità esistenti.
Criticità che per certi versi sono comuni alla gran parte delle strutture ospedaliere pubbliche, carente di medici da un lato e ridondante di società e cooperative private dall’altro. Fermare il processo di espansione del fenomeno cooperativistico è condizione primaria per restituire alle aziende ospedaliere la loro funzionalità organizzativa e gestionale. Il presidente Fontana in campagna elettorale aveva promesso un intervento in questo senso. Che però stenta ad arrivare.
L’incontro di personalità diverse per la stesura della bozza di mozione fa ben sperare, anche se spiace l’assenza del centrodestra in servizio attivo. Permane il vizio di non disturbare i vertici, di temere che una critica possa intralciare una carriera per quanto solo comunale. Sintomo questo di grande debolezza perché chi è forte sa di avere i voti e non ha bisogno del segretario provinciale o regionale. Chi invece deve essere indicato, vedi la signora Hofmann alla guida della Provincia, evita come la peste di spendere una parola per un bene comune come l’ospedale.
Da queste controfigure non c’è da aspettarsi nessun colpo di reni. E neanche un’alzata di testa.
Claudio Brambilla