Comodamente sedute/102: Braccialetti rossi. La fiction che spezza il cuore ma poi lo ricompone

Nonostante sia in assoluto il mio mese preferito, Ottobre si presenta sempre venato di malinconia.
Forse perché è il mese in cui ricorre il mio anniversario di matrimonio e non esiste altro giorno nel quale la tristezza e la gioia fanno veramente a pugni per avere la meglio.
Ripenso a tutti gli anniversari belli trascorsi con mio marito, perché era importante per noi celebrare questa tappa e quindi sceglievamo sempre con cura il luogo nel quale festeggiarlo.
GiovannaFumagalliBiollo1.jpg (27 KB)Ma poi inevitabilmente non posso fare a meno di pensare agli anniversari che verranno, con i quali dovrò fare i conti con un’assenza che, inutile nasconderlo, certi giorni pesa come un macigno.
E siccome quando sono malinconica, vado in cerca di occasioni per piangere, stavolta ho deciso di scegliermi una serie TV (di cui sono appassionata) che fosse in grado di soddisfare questo bisogno.
Era lì che mi aspettava da anni, se pensate che la prima volta in cui è andata in onda risale a Gennaio 2016.
Sto parlando di Braccialetti rossi.
Per chi, credo molto pochi, non ne avesse mai sentito parlare, ecco una breve trama.
Braccialetti rossi racconta le vicende di un gruppo di ragazzi sulla soglia dell’adolescenza che ricoverati in ospedale per varie cause, fanno amicizia tra loro. Uno di loro, Leo, regala a ciascuno uno dei braccialetti di colore rosso, che aveva ricevuto come identificativo in occasione dei suoi interventi chirurgici e che diventano il simbolo del loro gruppo. È una storia che parla di malattia e di sofferenza, ma anche di amicizia e di riscatto.
Ciò che forse non tutti sanno, è che questa fiction di tre stagioni, è tratta dal libro autobiografico di Albert Espinosa  che racconta di quando a 13 anni gli è stato diagnosticato un osteosarcoma a causa del quale ha subito l’amputazione di una gamba, e dei successivi 10 anni trascorsi entrando e uscendo dagli ospedali.
Ho amato questa serie TV per tante ragioni, ma più di tutte perché ha trovato il coraggio di portare sullo schermo la malattia, utilizzando storie di ragazzi che riescono nonostante tutto, a trovare il modo di starci dentro e invitando chi vive attorno a loro, a fare lo stesso, senza lasciarsi sopraffare dal dolore e dalla disperazione, che pure non mancano mai.
Come dice l’autore:
“Il cancro ti permette di capire te stesso,
le persone che hai attorno,
ti fa conoscere i tuoi limiti.
Soprattutto ti toglie la paura di morire, forse la cosa più importante in assoluto”.
Parlare della malattia è un rischio che pochi si assumono, eppure fa parte della vita, ed è qualcosa che come la morte, tutti prima o poi sperimentiamo, a volta in prima persona, altre accompagnando una persona cara.
La malattia ci trova lì dove siamo.
Qualche volta fa più paura a chi non la sperimenta, a chi la guarda da lontano e pensa che se capitasse a lui, non ce la farebbe di certo ad affrontarla.
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In realtà le persone malate e chi vive accanto a loro, spesso riconoscono in essa un’opportunità per riscoprire valori importanti, ricostruire affetti, trovare nuovi ruoli.
Certo l’esperienza della malattia ci rende vulnerabili, arrabbiati, fragili, impauriti, e soprattutto impotenti, ma come dice papa Francesco:
“La malattia impone una domanda di senso, una domanda che cerca un nuovo significato e una nuova direzione all’esistenza, e che a volte può non trovare subito una risposta. Gli stessi amici e parenti non sempre sono in grado di aiutarci in questa faticosa ricerca”.
Quello che in realtà ci sembra assurdamente incomprensibile è come la felicità possa essere compatibile con la malattia.
Questa fiction ne è la prova.
E questa è la seconda ragione per cui l’ho amata.
Perché mi ha fatto piangere, ma anche ridere, mi ha spezzato il cuore ma poi l’ha ricomposto un milione di volte, mi ha fatto così arrabbiare per tutto quel dolore in cui ho rischiato di annegare più volte, ma poi mi ha anche fatto fare pace perché mica sempre la malattia ti sconfigge, anzi qualche volta accade che la sconfiggi tu e  quando non succede, a tempo debito, ne comprendi anche l’infinito mistero, e lo sguardo che hai sui giorni, cambia dimensione, perché capisci che nella vita c’è spazio per tutto, anche per la sofferenza.
Dei giorni in cui mio marito era malato, cerco di ricordare soprattutto quelli buoni, quelli in cui si svegliava e il dolore era sotto controllo, e c’era spazio per una passeggiata con il nostro cane, o appetito per assaggiare il suo dolce preferito, o desiderio di leggere un buon libro.
Nei giorni buoni si riusciva ad assaporare le piccole cose, a elargire gesti gentili e parole d’amore, a non sprecare nemmeno una briciola di tempo, perché la malattia rende tutto prezioso.
I giorni buoni sono quelli che la vita ci concede risparmiandoci la fatica di viverli.
Sono quelli che si susseguono uno uguale all’altro, ma che privilegio possederli!
Significa che nessun mutamento è venuto a spezzarci il cuore, significa che per oggi non moriremo. Dio benedica i giorni buoni.
Amiche care vi auguro una buona domenica, se avete guardato questa fiction, mi piacerebbe leggere che effetto vi ha fatto, potete come sempre scrivermi a gio.fumagalli66@gmail.com oppure passare per un saluto nel mio blog www.comodamentesedute.com
Alla prossima

Giovanna Fumagalli Biollo
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