Ospedale: unire le forze per far sentire la voce del territorio
appare del tutto evidente che esiste una narrazione politica locale che a settimane alterne ripete il mantra che l’ospedale di Merate non chiuderà e che verrà potenziato, che stride con quello che in realtà accade giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese. Le continue dimissioni di primari e professionisti che ormai toccano tutti i reparti, sono la prova che l’ospedale nei fatti non è più attrattivo, non da garanzie di crescita professionale e che nel tempo è destinato a essere trasformato in un presidio focalizzato alla gestione dei lungodegenti. Diciamo che saremo fortunati se verrà trasformato in ospedale di comunità perdendo, come qualcuno ha scritto, la capacità di gestire le emergenze e gli acuti.
Se siamo arrivati a questo punto, probabilmente è necessario ricordare ciò che accadde a partire dalla seconda metà degli anni novanta, quando Formigoni decise di superare il concetto di sanità privata “integrativa”, paradigma introdotto dalle leggi nazionali di fine anni settanta, con il concetto della “libera scelta” e quindi di fatto introducendo la parificazione fra sanità privata e sanità pubblica. Da quel momento la sanità privata incrementa anno dopo anno il proprio fatturato, anche grazie a enormi investimenti che i privati possono permettersi, mentre quella pubblica annaspa, vittima dei continui tagli agli investimenti, del blocco delle assunzioni e con salari davvero poco concorrenziali che disincentivano i professionisti a lavorare nel pubblico. Tant’è che oggi ad esempio, assistiamo a un vero e proprio pendolarismo verso la Svizzera di medici e infermieri italiani.
Con queste premesse, è come far gareggiare una fuoriserie contro una utilitaria: non c’è partita. Le riforme che si sono poi succedute hanno via via smantellato lai sanità di prossimità e i medici di base. Solo nella nostra ATS mancano circa 130 medici di base e dato che non si è mai fatta una programmazione e considerando che ci vogliono sette anni per un percorso universitario completo, la situazione è davvero critica. Giusto come esempio, ci sarebbe da spiegare, come mai si continua ad affermare che manca il personale per riaprire il reparto di psichiatria. Ma quelli che erano in servizio prima della chiusura causa Covid, ora dove sono? Si sono accorti dopo la chiusura che mancavano i medici? Al dottor Favini sarebbe interessante chiedere (domanda puramente metafisica sia chiaro), come mai non c’è una programmazione del fabbisogno del personale.
Se vogliamo pensare ad una inversione di tendenza a mio modesto parere, è necessario saltare a piè pari i dirigenti della sanità locale, che sono dei meri esecutori, dei ragionieri che fanno quadrare i conti e che, come il direttore generale dottor Favini mi disse qualche anno fa, a margine di un evento rotariano a Lecco, che loro, i dirigenti, rispondono alla direzione regionale e non ai sindaci o ai consiglieri regionali. Qualsiasi domanda o richiesta viene rimbalzata. Con il senno di poi, devo dire che da Sindaco, fui molto fortunato a poter interloquire con il dottor Lovisari, con il quale lavorai insieme per portare la risonanza magnetica a Merate. Con l’attuale dirigenza il dialogo si limita a comunicati di nessun valore.
Ci si deve quindi muovere con forza, chiedendo un incontro immediato qui a Merate con l’assessore Bertolaso. I sindaci a mio avviso, dovrebbero evitare di accontentarsi dei comunicati scritti dagli uffici stampa della direzione ospedaliera e iniziare a mobilitarsi per davvero, in prima persona e a sensibilizzare le proprie comunità. Si dovrebbero organizzare dei consigli comunali straordinari, in tutti i comuni, nei quali approvare una mozione unitaria indirizzata al presidente della Regione e allo stesso Bertolaso e contemporanemente dar vita ad un tavolo permanente straordinario sull’emergenza Mandic, nel quale siano presenti sindaci, amministratori, consiglieri regionali di maggioranza e opposizione, parlamentari lecchesi, associazioni che operano in ambito socio assistenziale, una rappresentanza dei medici di base e di chi opera nella sanità pubblica.
C’è una responsabilità morale che va oltre le appartenenze politiche: in questo momento serve unire le forze e far sentire la voce del territorio perchè la tutela della salute è un diritto universale che prescinde dalle convinzioni personali dei singoli.