Merate, viaggio a ritroso nel tempo/8: Giuseppe e Gina più noti come “Pepot e Ginota” della balera di Vicolo del Fosso
Stava in fondo al Vicolo del Fosso, una traversa dell'antica Via Roma. Si chiama ancora così, anche se naturalmente il fossato non c'è più da decenni. Prima della guerra, però, tutta la campagna era attraversata da questi fossi che servivano per l'irrigazione. E ce n'era uno anche in fondo a quel vicolo, che ancora oggi si allunga tra il negozio di macelleria che fu di "Sandro" e la sede della Pro loco, una volta, officina riparazioni bici e moto del "Rossini".
Poi, quando il Catenificio acquistò quegli stabili, fece "intubare" e interrare il corso d'acqua. Stava in fondo, dicevamo; ed era un bel bar con davanti un cortile coperto dal glicine. Lo gestiva la famiglia Pozzi, Giuseppe e Gina, più noti come "Pepot" e "Ginota".
Il locale durante il giorno era meta soprattutto di anziani che trascorrevano pomeriggi interi, al calduccio dentro il piccolo locale, d'inverno o al fresco sotto il glicine, d'estate, a giocare a carte.
Ma la sera si animava come per incanto. "Pepot" e "Ginota" avevano un bel grammofono che riproduceva, a tutto volume, i 78 giri più in voga del momento.
E i ragazzi e le ragazze ventenni del paese, accorrevano per ballare. Discoteche, allora, non ce n'erano.
A Merate si poteva danzare al bar di Carzaniga e, soprattutto, all'albergo Valsecchi, che, il fine settimana, chiamava persino un'orchestra per intrattenere la gente. Ma nei giorni feriali c'era poco da scegliere. Il bar Pozzi era così un riferimento per i giovani. Il sabato la...musica passava alla fisarmonica. La suonava un tizio del Pozzetto, molto bravo, dicono, di cui però si sono perse le tracce. La storia del Pozzi è andata avanti fino all'avvento massiccio del Juke-box che ha rapidamente soppiantato i vecchi grammofoni. Il venir meno del pubblico giovanile ha indotto "Pepot e Ginota" a chiudere. Anche la trippa, piatto forte del martedì, stava perdendo il suo fascino. Abitudini e costumi cambiavano velocemente. E chi non riusciva ad adeguarsi alle mutate esigenze del mercato era costretto inevitabilmente a chiudere. Così fecero "Pepot e Ginota". Era il 1953. Quattro anni dopo, il 1957, il Catenificio acquistava in blocco quei caseggiati per adibirli ad officina, sotterrava il fosso e faceva a pezzi cento anni di storia. Oggi è rimasta solo la scritta, rovinata dal tempo e dall'incuria: "Vicolo del Fosso". Ma chi sa perché si chiama così?
di Claudio Brambilla e Roberto Perego