Merate, viaggio a ritroso nel tempo/7: l’osteria del ''Madio''. Per 100 anni su via Fiori e tra i clienti anche un futuro Papa
Era giovane Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, quando da Madonna del Bosco, prima di tornare a Sotto il Monte, scendeva a Merate e si fermava a mangiare un boccone dal "Madio". Ma era già un personaggio. Appena ventenne stupiva gli avventori del locale per cultura e bonomia. Almeno così ricordava "Cecco Madio"- al secolo Francesco Bonfanti - di quanto gli raccontava sua madre, Maria Teresa Scaccabarozzi, che gestì l'osteria col marito, Stefano Bonfanti, per diversi decenni. Il "Madio" era tra i bar più antichi di Merate.
L'aveva aperto un bisnonno di Maria Teresa, che di nome faceva Amedeo. Col tempo, come usava allora - e un po' anche adesso - il nome fu storpiato in Amadio e di lì, nella versione dialettale "Madio". Per cento anni, quello che si affacciava sull'imbocco di Via Fiori, angolo Via Trento, è stato il locale di Madio, e i Madio sono Cecco e suo fratello Carlo, che si affiancarono ai genitori dietro il bancone.
Perché allora l'azienda che dava lavoro a tutti era proprio il Catenificio Regina, "cacciato" in cima a quella viuzza, con alle spalle il bellissimo "cannocchiale" verde del Marchese Brivio. Merate allora viveva un po' in simbiosi col Catenificio. C'erano già altre aziende, Laurora, Diana, la Tessitura, l’Agnesini, ma il Catenificio, posto in pieno centro storico, pulsava come il cuore stesso del vecchio borgo. Il fischio delle 7.35 avvertiva le tute blu che era quasi l'ora; e per i ritardatari c'era il secondo fischio, delle 7.55. Così per il pomeriggio.
La presenza di tante lavoratrici e lavoratori, fino a 600 tra gli anni cinquanta e sessanta, assicurava al centro una vitalità oggi del tutto dimenticata. Ben pochi ora sanno dov'è la Via Fiori; forse molti nemmeno conoscono la storia del Catenificio, e quella del mondo che girava intorno. In questo mondo, un posto speciale l'ha avuto proprio "Madio". Il fiume di operai in uscita si disperdeva in tanti rivoli, il più grosso dei quali finiva inevitabilmente in quell'antico locale che fa angolo con la Scoladriga. I contadini d'inizio secolo bevevano un calice di vino, seduti sulle fascine disposte accanto alle pareti. Trippa e cassoela erano i piatti tipici di braccianti, operai, ambulanti e sensali. Una scodella fumante poi subito un giro di briscola con davanti un buon bicchiere di vino. Nel '34, quando la paga oraria di un manovale era di 2 lire e mezzo i Bonfanti decisero di ristrutturare il locale e allargare l'abitazione. La nuova distribuzione degli arredi prevedeva un lungo bancone mescita, i tavoli disposti al centro e, sulla parete principale un grande camino che conferiva all'ambiente un senso di calore e un'atmosfera famigliare. La spesa, racconta Cecco, fu molto alta: 23.236 lire, più o meno quattro anni di paga di un operaio. Ma furono soldi ben investiti: il lavoro aumentò e ben presto presero servizio anche Cecco e il fratello Carlo, mentre l'altro fratello, Piero, prese un'altra strada.
Quando però tornava a Merate, trascorreva gran parte del tempo al bar a raccontare ai clienti le sue avventure all'estero da cui tornava sempre con le monete del posto, suscitando notevole ammirazione. Naturalmente ci fu festa grande nel 1958, quando "don Angelo" salì al soglio di Pietro, e tanta commozione quando nel 1963 il papa Buono se ne andò per sempre. Ma c'era un altro sacerdote, che avrebbe percorso anche lui molta strada nella gerarchia ecclesiastica, che frequentava il " Madio": Gianfranco Ravasi, oggi cardinale, Prefetto della biblioteca Ambrosiana. I suoi erano originari di Merate e col nonno e il papà, era spesso in paese.
Una visita dal "Madio", per i vecchi meratesi, era d'obbligo. Col passare degli anni, la fatica - il locale apriva alle 5 e chiudeva a mezzanotte inoltrata - la progressiva decadenza del Catenificio e l'avvento di nuovi bar, "all'americana", indussero i fratelli Cecco e Carlo a domandarsi se non fosse giunto il momento di chiudere. Ci pensarono su a lungo poi, il 30 dicembre 1972, la dura decisione. Il locale serrò per l'ultima volta i battenti. I "Madio lo avevano aperto; i "Madio" lo chiusero; esempio più unico che raro di un locale rimasto sempre di proprietà della medesima famiglia. In quegli anni chiudeva anche il Cantinun e, di lì a poco, la Taverna. Merate mutava volto e girava il gran libro della storia. Per trani e osterie non c'era più spazio. Sono subentrati bar spesso rumorosi con una clientela che predilige stare all’aperto, indifferenti al disturbo che arreca. Allora, girando per il paese anche a notte fonda, si udivano le voci provenire dal Madio, dalla Taverna, dal Cantinun, dal Circulin. Voci non urlate, che davano sicurezza, che infondevano linfa vitale in un paese assai più povero di oggi ma tanto, tanto più ricco di voglia di vivere in comunità.
7/continua
di Claudio Brambilla e Roberto Perego