"Se parlen", nell'altro il proprio futuro

"Se parlen"
Settanta-ottanta anni fa, quando un ragazzo si interessava a una ragazza, faceva di tutto per agganciarla, magari attraverso amici o amiche.
Allora cominciava la fase del "se parlen", riferita ai brevi incontri e alle parole che i due si scambiavano, magari sul sagrato della chiesa all'uscita di messa, mentre gli altri si tenevano a rispettosa distanza. "Se parlen" si confidavano allora amici e amiche, sussurrandosi un dolce segreto e assistendo ad una parentesi magica, un fiore che stava sbocciando e che poteva evolversi in un frutto. Non c'erano automobili complici e protettive, tutto si svolgeva in piazza, nella penombra di un portone, sulle scale tra due piani nelle case a ringhiera. Sguardi, pensieri, speranze, parole dette a bassa voce. Se parlen. Due parole che contenevano tutto: l'incontro tra due anime, la speranza di aver trovato l'altra metà della mela, la prudenza, il pudore, il rispetto, la trepidazione, l'immagine di un futuro che si immaginava roseo, l'affettuosa e cauta partecipazione e aspettativa da parte dei parenti.
Come non pensare a questa bella e dolce tradizione adesso che la morte ci ha strappato persone ancora nel pieno dell'età, persone che 30-40 anni fa avevano cominciato a "parlarsi", a vedere nell'altro il proprio futuro, a schiudersi al proprio destino. Il loro futuro è arrivato ma è finito troppo presto (cosa sono 30 anni per chi ha amato ed è stato amato? un soffio), lasciando in chi resta dolore, rimpianto, afflizione, ferite che non guariranno. Le uniche cose che possediamo veramente sono quelle che abbiamo donato.
Tutto il resto fa parte di un usufrutto al quale dovremo rinunciare quando verrà la nostra ora.
L. C.
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